IL MISTERO DELL’ARTE NEL TEMPO

Quasi ogni italiano legge pochissimo. E quasi ogni italiano alfabetizzato ha scritto un libro. Persino personaggi pubblici già benestanti e famosi si affacciano nei talk show preceduti dalla venale pubblicità dei conduttori che annunciano il loro libro, mostrandone la copertina, per sedurci irresistibilmente.
Questo dimostra due cose: che vendere o non vendere non dipende tanto dal valore di ciò che si scrive, ma dalla pubblicità che si riesce a dargli. E in secondo luogo che anche i libri con la migliore pubblicità, e quelli che da prima hanno venduto parecchio, dieci o vent’anni dopo sono totalmente dimenticati. Il progresso tecnologico ha fatto sì che io possa inviare il mio libro a migliaia di lettori con un clic, senza la fatica e la spesa di farlo stampare, solo che quelle migliaia di lettori non ci sono, e quando ci sono, non bastano a darmi un posto nella letteratura o nella storia del pensiero.
Il fenomeno è tanto diffuso e costante che alla fine uno si chiede come mai alcuni libri – “La lettera scarlatta”, per esempio – hanno fama eterna. Il romanzo di Hawthorne ha almeno il merito di mettere in evidenza l’ipocrisia dei moralisti; ma che spiegazione dare per la notorietà imperitura di un romanzaccio come “I Miserabili”? Victor Hugo fu un grande poeta, ma certo mediocre prosatore. Né maggiori meriti si vedono ne “I Promessi Sposi” di Manzoni che, a differenza di Hugo, non era nemmeno un grande poeta. Migliaia di persone colte, intelligenti e pensanti che hanno meditato e scritto sui più diversi temi, sono scomparse dalla memoria comune, mentre c’è ancora gente che parla seriamente dell’“umorismo del Manzoni”. Per non parlare della sua “alta lezione morale” sulla (del resto latitante) Divina Provvidenza.
In questo campo è particolarmente drammatico il caso del Ventesimo Secolo. Il passato ha avuto geni incommensurabili, come Shakespeare, o almeno autori glorificati forse al di là dei loro meriti, come Wolfgang Goethe. Lo scorso secolo è invece riuscito nella strabiliante impresa di non produrre un nome che lo caratterizzi. E non si è neanche illuso di averlo prodotto.
Siamo agli eccessi. Per l’Ottocento non si sa chi scegliere e per il Novecento non c’è chi scegliere. Anche i casi di celebrità grandi e perfino planetarie, come quella di Jean-Paul Sartre, trent’anni dopo sono pressoché dimenticati e fanno parte più della cultura storica che della struttura della nostra anima.
Dall’ultimo quarto del XIX Secolo il mondo della cultura si è contorto per individuare nuove strade di successo senza trovarle. Presto si è anzi accorto non soltanto di non aver inventato niente, ma di avere addirittura assassinato un genere, la poesia. E reso asfittico, addirittura morente, il teatro. Né meglio è andata alla musica. Nell’assurda speranza di superare Mozart e il sinfonismo melodico, nessuno è arrivato alla caviglia di Rimskij Korsakof, con la sua “Sheherazade”. E non stiamo citando il più grande degli autori. Forse Korsakof di grandioso non ha scritto altro, ma questo basta a illuminare un’epoca. Il Novecento che cosa ha prodotto? La “grande” musica si è chiusa nella sua stanza per guardarsi allo specchio e ammirarsi, mentre la gente rimaneva fuori, a cantare canzonette e strapazzare chitarre. Chi ha continuato ad amare la musica ha dovuto sempre cercare nel passato. La bellezza, in questo campo, vive di archeologia.
Certo, il Ventesimo Secolo ci ha dato un genere che non esisteva e che potrebbe essere il sostituto del teatro: il cinema. Ma i suoi prodotti sono deperibili. “I fratelli Karamazof” sopravvivranno nei decenni, anche se quel romanzo ha grandi difetti, perché è illuminato dal genio artistico di Dostoewskij e perché i suoi personaggi si muovono nell’immaginario di ogni lettore. E proprio per questo è incapace di invecchiare. Viceversa i film invecchiano. Prova ne sia che ogni tanto nasce un “remake”, cioè lo stesso film con nuovi attori, nuovi sfondi e nuove tecniche, senza per questo fare un passo avanti rispetto alla vecchia edizione. Il remake è la prova della povertà creativa del presente.
Tutto ciò che si è detto non vuol dimostrare nulla. Vuol soltanto esprimere la meraviglia per le sorti attuali dell’arte. Il Ventesimo Secolo, in cui ha trionfato la prosperità e la tecnologia, è stato poverissimo. Naturalmente nulla impedisce che, senza una ragione, in un secolo futuro improvvisamente la creatività si metta a fiorire come nell’Atene di Pericle. E non sapremo mai perché.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
24/01/2021

IL MISTERO DELL’ARTE NEL TEMPOultima modifica: 2021-02-21T09:46:58+01:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “IL MISTERO DELL’ARTE NEL TEMPO

  1. Ennò, ennò, non mi tocchi I promessi sposi: come sceneggiatura da film “storico” è insuperabile. Certo, manca una scena di sesso (indispensabile in un film), ma ovviabile: ad esempio, nel lazzaretto, in secondo piano, in qualche modo, si possono mettere un maschio e una femmina che “fanno cose”. Aprendo quindi una discussione che farà gonfiare gli incassi: lui è senza dubbio un “infermiere”, lei è quella stessa che prima, in qualche scena, avevamo visto dialogare da sana con “lui”; ma in quel momento è “violenza” o “amore che supera la morte”? Sì, non c’è nel romanzo, ma perché Manzoni si autocensurò; e poi si può escludere che sia invece avvenuto? E’ razionale, quindi reale. E poi la ribellione del popolo, la Chiesa, la scienza, l’ecologia… Fantastico.
    Sul resto, non eccepisco, anche se qualche nome – italiano e straniero – lo salverei, ma la cosa sarebbe lunga. Sulla musica, verissimo, specie negli ultimi decenni. La botta finale, in quella “leggera”, è il rap, del quale il “divin maestro” di nome Fuma (!?) è oggi elevato agli altari quale martire e santo, con gente pronta a immolarsi sulla sua pira.

  2. Nella mia vita è avvenuto qualcosa di divertente, in materia.
    A 15 anni, a scuola, ho letto con piacere i Promessi Sposi, anche se non mi sono molto piaciute le scene caricaturali (Don Abbondio).. Ma nel complesso ho giudicato il romanzo positivamente.
    Poi, a mano a mano che passavano gli anni, più ci ripensavo e meno mi piaceva. E lo dissi a una collega che insegnava all’università. Costei, del resto molto intellettualmente coraggiosa, prese cappello. Avevo torto. Era un grande libro. Che lo rileggessi, e avrei visto.
    La presi in parola e rilessi il libro. Non soltanto lo trovai sc ritto in un mediocre italiano (cosa di cui mi stupii) ma, se prima l’aveva immaginato cattivo, ora lo trovai pessimo, con tre uniche eccezioni: la storia di Gertrude, la peste e i moti di Milano. Manzoni sarebbe stato un accettabile storico.

  3. Lei ha ragione sulla “morte” sostanziale della poesia, del teatro, e della musica classica, ma forse si è trattato solo di uno spostamento di collocazione.
    La poesia in rima si è spostata nei testi delle canzoni, il teatro si è spostato nel cinema e la musica classica nella musica da film.
    Non dico che il livello medio non sia tragicamente crollato, ma qualche geno (mutatis mutandis) mi sembra che sia rimasto.

  4. Il suo commento mi ricorda una barzelletta. Due vecchi amici si riincontrano dopo molti anni,.
    E tus sorella, quella che voleva divenire professoressa d’università?
    È maestra elementare. Non è lo stesso, ma siamo nello stesso ramo.
    E tuo fratello che voleva divenire capitano di marina?
    Fa il pescatore. Non è lo stesso, ma…
    E il più piccolo, il più ambizioso, quello che voleva divenire ministro?
    Dirige un bordello. Non è lo stesso, ma…

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