GLI ECCESSI DEL PRECARIATO

Per oggi, sabato 9, è prevista una manifestazione in piazza dei precari. Si tratta di giovani che vivacchiano in un limbo. Non sono disoccupati ma lo stesso non possono fare progetti per il futuro: infatti non sanno se, alla fine del “contratto”, saranno mandati a casa o se saranno “riassunti”. E che accadrà, alla fine di questo secondo periodo di precariato? Certo non possono sposarsi, certo non possono mettere su casa.
Ecco il problema: è giusto che qualcuno sia assunto con un contratto di fantasia che alla scadenza ha la caratteristica di poterlo presto mandare a spasso, senza spiegazioni? Ed è giusto che il “precario” rimanga a lavorare, ma riassunto più volte, col contratto “rinnovato”? Qui è come se il datore di lavoro dicesse: “Sì, mi sei ancora utile; sì, sei un buon lavoratore, ma voglio riservarmi ancora il diritto di buttarti fuori senza spiegazioni”. Tutto questo è inaccettabile. Dicono.
Ora vediamo come la vede il datore di lavoro. Questi pensa: “Io ho bisogno di un lavoratore, ma se lo assumo a tempo indeterminato corro due rischi: o dovrò tenermelo quando non mi servirà più (e rappresenterà un notevole onere economico), o dovrò tenermelo quando, pur servendomi, si sarà rivelato un pelandrone, uno scansafatiche, un sabotatore. A questo punto rinuncio ad assumerlo. Produrrò di meno, guadagnerò di meno, ma non commetterò un errore irreparabile. Forse con un precario corro meno rischi…”
La soluzione per le anime delicate e per i prelati è che il lavoro precario sia solo una brevissima anticamera rispetto all’assunzione a tempo indeterminato. Purtroppo un proverbio anglosassone avverte: you can take a horse to water, but you can’t make him drink, si può portare un cavallo all’abbeveratoio, ma non lo si può costringere a bere. Si possono fare tutte le leggi sociali di questo mondo, ma non si può obbligare un salumiere ad ingaggiare un banconista. Gli imprenditori non assumono i lavoratori per nobili scopi sociali: lo fanno per ottenere un aiuto che gli costi meno di quanto gli rende. E per questo hanno l’assoluta necessità di liberarsi di chi non gli serve o non gli rende. Lo Stato si può permettere di essere più generoso perché opera istituzionalmente in perdita e si mantiene con le imposte. E infatti assume a tempo indeterminato lavoratori che lavorano poco: come si sa, la produttività della macchina statale è molto bassa. Il privato invece ha il limite del fallimento. Se i ricavi non sono superiori ai costi, l’impresa chiude.
La soluzione non è quella del contratto rinnovabile di precario, che giustamente non piace. Ma non è neppure l’assunzione a tempo indeterminato. Con la legislazione attuale questa invischia il datore di lavoro in un rapporto, più solido del matrimonio, che è comprensibile si voglia evitare a qualunque costo.
La soluzione è quella suggerita dal buon senso e dall’economia classica: l’assunzione a tempo indeterminato, con la licenziabilità ad libitum per un notevole periodo di tempo.
Si noti che la situazione non è diversa dall’attuale: oggi il lavoratore è assunto come precario e può essere scaricato alla scadenza. Solo dopo un certo numero di rinnovi, quando il datore di lavoro si è convinto che quell’uomo gli è utile ed è un lavoratore per bene, conquista la stabilizzazione a tempo indeterminato. Se invece si assumesse il lavoratore a tempo indeterminato, ma si desse al datore di lavoro, per uno, due, tre anni (il tempo medio attuale dei contratti precari “rinnovati”, che ignoriamo), la possibilità di licenziarlo senza spiegazioni, la situazione sarebbe identica, ma si rientrerebbe nella normalità.
Chi ha assunto qualcuno a tempo indeterminato, dopo un paio d’anni ha avuto tutto il tempo per valutarlo. Dunque non si vede perché dovrebbe poter licenziare senza spiegazioni un lavoratore che ha organizzato la sua vita intorno a quel reddito. Dopo due o tre anni è impazzito? Che il padrone lo dimostri al giudice del lavoro e gli sarà permesso di liberarsene. Ecco la lezione del buon senso.
Ma il buon senso non prevarrà mai perché tutti si fermeranno al dato iniziale: la possibilità di licenziare qualcuno senza spiegazioni nel primo periodo. Questo mai! diranno molti. E allora teniamoci l’ipocrisia del precariato a ripetizione, che conduce esattamente alla stessa situazione. Oppure spingiamo gli imprenditori a non assumere nessuno, se non in caso di strettissima necessità, collaborando così al prolungarsi della recessione.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
8 aprile 2011

GLI ECCESSI DEL PRECARIATOultima modifica: 2009-04-14T20:29:00+02:00da gianni.pardo
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