LA SQUALIFICA

LA SQUALIFICA

L’Italia non ha partecipato alla conferenza di Ginevra Durban II e, a giudicare da come è andato il primo giorno, ha fatto bene. In nostro atteggiamento, come del resto quello degli altri Paesi che hanno detto no, corrisponde alla convinzione che in certi casi o con certe persone non c’è speranza. Qualunque dialogo, qualunque tentativo di gettare un ponte, qualunque apertura di credito si risolveranno in un disastro. E questo pone un problema generale: è lecito, è opportuno squalificare così qualcuno?

Il dilemma non è nuovo. Quando i greci attuarono l’inganno suggerito da Ulisse, Laocoonte sconsigliò in tutti i modi di accogliere nella città il famoso cavallo, un insolito regalo d’addio: “Timeo Danaos et dona ferentes”, ho paura dei greci anche quando portano doni, disse. Ed aveva ragione. Il problema è: in quale momento, per quali ragioni si può squalificare l’interlocutore possibile, fino a negargli il contatto?

Una volta un uomo, cui la sorella aveva intentato una causa annosa ed assurda, rispose così a chi proponeva una riconciliazione: “Voi dite che dopo tutto non ha tentato di ammazzarmi ed è vero. Ma non si tratta più di ciò che ha fatto. Si tratta di ciò che è”. Appunto: quand’è che una persona merita una così totale squalifica?

Purtroppo non si può dare una risposta generale. Gli esempi si potrebbero moltiplicare ma non si arriverebbe a superare l’ostacolo perché ogni caso è diverso dall’altro. Tutto quello che si può azzardare –solo per dare il calcio d’avvio alla discussione – è formulare due principi generali.

Possono esistere dei casi in cui la squalifica è giusta e meritata. Certi comportamenti non ammettono perdono. Se un giovane tenta di uccidere lo zio che l’ha nominato erede solo per ereditare al più presto, dopo non potrà pretendere di “riaprire il dialogo”.

Inoltre, se si parla di “riaprire il dialogo”, per prima cosa il colpevole deve riconoscere i suoi torti. Diversamente si tratterebbe chi ha tenuto un comportamento biasimevole al di là del tollerabile come chi si è comportato bene.

Alla luce di questi elementari principi è chiaro che i paesi europei hanno sbagliato, quando hanno partecipato alla conferenza di Ginevra. Durban I aveva offerto uno spettacolo orribile di parzialità, fanatismo, antisemitismo, stupidità e bisognava dunque pretendere, prima di accettare, che la nuova riunione non fosse una passerella per personaggi e tesi indecenti. Prima di sedersi nella sala per ascoltare Ahmadinejad, avrebbero dovuto pretendere che egli rinnegasse le molte frasi piene di un antisemitismo delirante di cui ha inondato i media. E soprattutto che rinfoderasse le sue minacce di distruzione per Israele. Non l’hanno fatto e si sono ridotti ad uscire dall’aula, con un gesto tanto plateale quanto insufficiente.

Forse non sappiamo definire in teoria quale sia l’ “atto che merita la squalifica definitiva”, ma sappiamo che Ahmadinejad questa squalifica la merita.

Sergio Romano, sul Corriere della Sera di oggi (1), sostiene che bisognava partecipare e battersi, ricordando – come sempre in questi casi – l’errore dell’ “Aventino” nel periodo fascista. C’è tuttavia una fondamentale differenza. Lasciando campo libero a Mussolini gli si lasciò la possibilità di governare l’Italia senza opposizione, mentre non è che essendo assenti da Ginevra si sarebbe permesso ad Ahmadinejad, e a chi gli regge il sacco, di governare il mondo. In questo caso si trattava di una tribuna, di una photo opportunity, di un evento pubblicitario e l’assenza di tutti i grandi paesi occidentali e dell’Unione Europea avrebbe tolto significato e attrattiva alla manifestazione. Come un festival cinematografico senza divi.

L’errore commesso da tanti, per quel che riguarda l’attuale Iran, è credere che Fedro, con la sua favola del lupo e dell’agnello, sia fuori moda. Certi coloni statunitensi dicevano dei pellerossa che “l’unico indiano buono è quello morto” e Ahmadinejad pensa la stessa cosa degli israeliani. Per questo, non che proporre il dialogo, bisognerebbe rispondergli con la stessa moneta. Bisognerebbe dirgli: “Se l’Iran continuerà a desiderare di ammazzare tutti gli israeliani, sappiate che ci ripromettiamo di sterminare tutti gli iraniani. E abbiamo i mezzi per farlo”. Chissà che una frase del genere non farebbe riflettere qualcuno, dalle parti di Tehran. Possibilmente persone più influenti di quelle che accolgono con fiori e applausi il nostro eroe di ritorno da Ginevra.

Fra l’altro, in troppi, a proposito di frasi famose, hanno dimenticato questa: “La caccia all’ebreo non è più gratis”.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

Se esprimerete il vostro parere, positivo o negativo che sia, su questo testo, mi farete piacere.

21 aprile 2009

(1) DOVEVAMO PARTECIPARE. E BATTERCI.

Come la conferenza precedente, anche «Durban II» si è conclusa con un comunicato pasticciato, zeppo di buoni propositi ed esortazioni generiche, privo probabilmente di pratiche conseguenze. Le posizioni, dentro e fuori la conferenza, erano troppo distanti. I Paesi ex coloniali credono, non senza qualche ragione, che «razzismo» fosse quello dei conquistatori e non accettano lezioni morali dai loro vecchi padroni. I Paesi musulmani pensano che le critiche all’islamismo e il dileggio delle loro credenze siano colpe più gravi della durezza con cui i loro governi trattano gli oppositori. I Paesi arabi, in particolare, ritengono che lo Stato israeliano abbia usurpato le loro terre e trattato i loro connazionali come cittadini di seconda categoria. I Paesi occidentali non intendono rinunciare agli illuminati principi della loro migliore tradizione filosofica e chiedono al mondo di rispettarli. Ma quando un membro della loro famiglia li ha platealmente violati nel carcere di Abu Ghraib, a Guantanamo, nella pratica delle «consegne straordinarie» e persino nelle istruzioni impartite dal suo governo ai propri servizi di sicurezza, i cugini occidentali hanno chiuso un occhio o, addirittura, prestato la loro collaborazione. Sperare, in queste circostanze, che la conferenza di Ginevra potesse produrre una linea concordata, utile ed efficace, era ingenua illusione. Come tutti gli esercizi inutili, anche questo potrebbe lasciare una coda di risentimenti e rendere le grandi crisi internazionali ancora più imbrogliate e avvelenate.
Che cosa avremmo dovuto fare di fronte a un tale mostro diplomatico? Partecipare o restarne fuori? Per rispondere a queste domande sono state espresse molte opinioni, fra cui quelle, appassionate e bene argomentate, di Angelo Panebianco e Paolo Lepri sul Corriere degli scorsi giorni contro la partecipazione. Proverò a sostenere la tesi opposta.
La conferenza di Ginevra non è una iniziativa privata. È un incontro promosso dall’Onu, nell’ambito delle sue attività istituzionali, e inaugurato dal suo segretario generale. Sapevamo che sarebbero stati pronunciati discorsi intolleranti e inaccettabili. Ma è forse la prima volta che propositi di questo genere turbano un dibattito delle Nazioni Unite? Decidemmo di boicottare l’Assemblea generale quando Nikita Kruscev si tolse la scarpa per batterla sul leggio del suo scranno e annunciò che il comunismo ci avrebbe sepolti? Gli assenti, a Ginevra, hanno dato agli altri la sensazione di non tollerare la sconfitta, di non voler essere minoranza.
Questa non è diplomazia: è una forma di presuntuosa arroganza. Noi italiani, in particolare, abbiamo dimenticato le parole di Giovanni Giolitti ai deputati che si erano ritirati sull’Aventino dopo il delitto Matteotti: «A mio avviso dovreste rientrare alla Camera». E quando il socialista Giuseppe Modigliani replicò «Per fare a revolverate?», il vecchio di Dronero rispose «Può darsi». Intendeva dire che persino la durezza del dibattito può essere preferibile a un atteggiamento che si propone d’inceppare un meccanismo istituzionale.
Avremmo dovuto andare a Ginevra per affermare le nostre verità, rintuzzare le faziose parole di Ahmadinejad, separare i faziosi dai ragionevoli (esistono anche quelli), comprendere le ragioni degli altri, lasciare agli atti della Conferenza programmi e concetti a cui avremmo potuto fare riferimento in altri momenti e circostanze. La Santa Sede lo ha fatto e ci ha dato, in questo caso, una lezione di laico buon senso.

LA SQUALIFICAultima modifica: 2009-04-22T10:48:09+02:00da gianni.pardo
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