L’AGGRESSIVITA’


L’aggressività, nella lingua corrente, designa l’atteggiamento bellicoso di chi “cerca la lite”. Il termine ha dunque una connotazione negativa. Rimane però da trovare un termine che designi lo stesso atteggiamento quando la lite non la si cerca, ma la si subisce.
Un gatto che si veda attaccato da un cane mostra tutti i segni di una scatenata “aggressività”: scopre i denti, soffia, abbassa le orecchie, rizza il pelo, sgrana gli occhi e se l’aggressore si avvicina partono sventagliate di unghie. È aggressivo, il gatto? No. Se appena gli fosse data la possibilità di allontanarsi senza danni, è quello che farebbe. Aggressivo è il cane.
Esiste dunque un’aggressività come iniziativa e un’aggressività come reazione. E mentre la prima rientra nell’ambito della violenza, la seconda rientra nell’ambito della legittima difesa. E tuttavia, anche in questo secondo caso, ci sono uomini aggressivi ed uomini pressoché passivi. Come mai?
La guerra è sempre un pericolo. Anche quando si è ragionevolmente sicuri di avere le maggiori briscole in mano, esiste la possibilità che qualcosa vada storto. Può perfino avvenire che si finisca col vincere e la vittoria costi talmente caro da pentirsi d’aver dato inizio alla guerra. Per questo tutte le potenze, in caso di contrasto, cercano innanzi tutto di risolvere la vertenza per via diplomatica: la pace è sempre nell’interesse di tutti.
Lo stesso vale per gli individui: l’ideale è quello di non essere obbligati allo scontro ed è normale fare di tutto per evitarlo. Ma se allo scontro si è costretti?
Quando la guerra è inevitabile alcuni – come a Maratona nel 490 a.C. – si buttano nella mischia e combattono al limite delle loro forze, anche se dubitano della vittoria. Sono quelli che poi sono chiamati “aggressivi”. Altri invece sono talmente scoraggiati da avere tendenza a cedere subito. Prima di giudicare male questi ultimi, bisogna vedere la situazione. Se la Cecoslovacchia, nel 1968, avesse deciso di resistere con tutte le proprie forze all’Unione Sovietica, non avrebbe concluso nulla. I patrioti avrebbero forse ammazzato qualche decina di incolpevoli soldati dell’Armata Rossa, ma il Paese sarebbe stato invaso lo stesso. In quel caso la “mitezza” non corrispose a “codardia” ma a “realismo”. Al contrario gli afghani, forti della natura del territorio e del proprio temperamento, sono riusciti nel tempo a tenere testa agli inglesi, ai russi e infine alla coalizione attuale.
A volte un più debole, soprattutto se è personalmente disposto a pagare prezzi più alti dell’aggressore, può creare tali fastidi da essere il sostanziale vincitore. I professori mediocri e privi di autorità naturale hanno certo il potere, in classe, e gli alunni dovrebbero essere le vittime: in realtà la cattedra non difende un adulto inetto e vile da un ragazzo forte e ribelle.
La capacità di reazione è cosa positiva. Chi ha avuto una vita facile è quasi sorpreso dall’aggressione altrui e potrebbe non sapere come comportarsi o non avere coraggio. Viceversa, chi ha avuto una vita difficile ed ha dovuto lottare molto, se subisce un attacco si dice: “Ecco un’altra battaglia. Prendiamo le armi”.
L’ipotesi spiegherebbe perché bisogna temere gli uomini di bassa statura e le donne. Costoro, se pure per motivi biologici, sono sempre stati considerati esseri di seconda categoria. Tuttavia, se alla loro situazione esistenziale hanno reagito con energia, c’è da stare attenti: in caso di crisi un uomo di Stato potrebbe tendere ad un costoso appeasement, una donna capo di Stato non ha né cedimenti né debolezze. Se è arrivata a quella posizione è perché ha molto lottato ed ora l’aggressore deve solo aspettarsi la risposta più dura e risoluta che si possa immaginare: anche se, come la Thatcher, bisogna mandare la flotta dall’altra parte del mondo.
Quanto agli uomini, basterà citare un nome per tutti: Renato Brunetta. Quest’uomo è affetto da una forma di nanismo ma intellettualmente ha un’energia che lo fa sembrare capace di affrontare Ercole a mani nude. Chi è stato troppe volte obbligato a combattere alla fine ha la sicurezza di sé del veterano.
Naturalmente la regola ha le sue eccezioni. De Gaulle e Federico il Grande – alti quasi due metri – erano molto aggressivi,  e Vittorio Emanuele III, quasi un nano, era pressoché pavido. Rimane però vero che la difficoltà allena all’aggressività meglio  di quanto non faccia la serenità. All’uomo alto, bello e fortunato non rimane che augurare che non cambi il vento.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
5 agosto 2009
P.S. Anche un testo scritto all’inizio del mese per uomini bassi va benissimo per avvenimenti che si sono verificati alla fine del mese e per uomini alti come Vittorio Feltri.

L’AGGRESSIVITA’ultima modifica: 2009-08-30T08:56:26+02:00da gianni.pardo
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