IN DIFESA DI D’ALEMA

Va subito messo in chiaro che chi scrive ha avuto due nonni più o meno contadini e due nonne analfabete: è dunque inutile pagare un istituto araldico per ritrovarsi qualche antenato di sangue blu. E tuttavia, ad esaminare la realtà italiana, anche un nipote di contadini può arricciare il naso.
L’abbiamo sentito cento volte, questo schifo, a proposito del comportamento dell’opposizione riguardo a Berlusconi – ma c’è mezza Italia che lo condivide – e oggi lo sentiamo a proposito dei giornali nei confronti di D’Alema.
D’accordo, questo politico non è un po’ antipatico: è molto antipatico. E non solo a chi vota per il centro-destra. C’è da temere che sia stato antipatico anche a sua madre. Ma questo non impedisce che, a suo tempo, ci indignammo quando qualcuno andò a verificare quanto avesse pagato un paio di scarpe. Come se, per essere di sinistra, dovesse per forza approvvigionarsi allo spaccio dei ferrotranvieri. Non diversamente da come si è criticato Epifani, capo del sindacato rosso, per avere, in occasione di una riunione a Milano, passato la notte in un albergo che è costato al sindacato un occhio della testa. Miserie.
Ma queste miserie sono nulla rispetto a quello che oggi occupa il posto d’onore nel Corriere della Sera. Qual è l’avvenimento epocale di cui si occupa il grande quotidiano di Via Solferino? Sapere se sì o no D’Alema conosceva tale Tarantini, un pugliese procacciatore di “escort” come gadget per ottenere simpatie e concludere affari. “Non lo conosco”, aveva detto Massimo. “Mi conosce eccome”, replicava l’altro. Ora risulta – grande giornalismo investigativo! – che hanno cenato insieme, e infatti è stato intervistato anche il padrone del ristorante, e sono stati nella stessa barca andando o tornando da Ponza. D’Alema però insiste: “Questo non significa che io lo conosca”. Ah ah! Però l’ammette! Accidenti. Perché occuparsi ancora delle ragioni che spinsero Stalin ad allearsi con Hitler? Ecco un problema storico molto più importante.
Secondo la nostra Costituzione, nessuno è colpevole fino a sentenza passata in giudicato (per esempio, il caso di Adriano Sofri). Se dunque qualcuno è imputato di qualcosa, e un politico si rifiuta di frequentarlo, prima ancora che contro l’umanità va contro la Costituzione: infatti discrimina un innocente. Inoltre, nel caso specifico, al momento della cena e della traversata in barca, Tarantini non era imputato di nulla: perché mai dunque bisognerebbe cercare una colpa di D’Alema? È un ragionamento modello D’Avanzo: Tarantini è imputato di corruzione (forse); Tarantini dunque è colpevole; Tarantini conosceva D’Alema; dunque D’Alema dovrebbe essere imputato di corruzione; dunque D’Alema è colpevole di corruzione.
Questo è uno strano Paese in cui  ci si è chiesto senza ridere se Enzo Tortora spacciasse droga agli angoli delle strade;  in cui si dà del mafioso a Berlusconi perché, quindici anni prima che si occupasse di politica, aveva alle sue dipendenze (non che cenasse ogni sera con lui!) un ex-carcerato condannato per mafia;  un Paese in cui si discute seriamente, sul più venduto giornale d’Italia, se D’Alema, fra le migliaia di mani che ha stretto in vita sua, abbia stretto anche la mano di Tarantini.
Non sappiamo se la campagna di odio di “Repubblica” le abbia fatto o no aumentare la tiratura, ché anzi ne dubitiamo. Ma anche ad ammettere che questo bel risultato abbia ottenuto, è triste che il “Corriere della Sera”, con tutta la sua tradizione, si accodi a un comportamento di questo genere.
L’unico commento degno di un grande giornale sarebbe stato: “Non lo sappiamo e non importa. Fino ad oggi D’Alema non è solo innocente, è anche al di sopra di ogni sospetto”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
13 settembre 2009

IN DIFESA DI D’ALEMAultima modifica: 2009-09-13T11:40:18+02:00da gianni.pardo
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