L’IRAN, OVVERO LA QUADRATURA DEL CERCHIO


L’Iran vuole la bomba atomica, è in grado di fabbricarsela e intende distruggere Israele. Non sorprendentemente, Israele non è d’accordo ed è a sua volta armato di bombe nucleari, più numerose e più progredite di quelle che potrebbe avere l’Iran. Ma mentre l’Iran può distruggere Israele con due o tre bombe, distruggere l’Iran è impossibile, date le sue dimensioni. Tuttavia, in caso di guerra atomica, mentre morirebbero circa cinque milioni di israeliani, potrebbero morire da venti a quaranta milioni di iraniani e gli altri rimanere intossicati. Chi può volere un risultato del genere? Nessuna persona ragionevole. Ma il punto è che qui ci sono in campo anche persone non ragionevoli.
Nella primavera del 1945 Hitler sarebbe stato disposto a lasciar uccidere tutti i tedeschi se questo avesse potuto procurargli la sopravvivenza politica o un’impossibile vittoria. Disprezzava l’intero popolo tedesco, che giudicava vile e imbelle, e pensava, come Caligola, che era un peccato non avesse una sola testa: glie’avrebbe tagliata volentieri. Lui personalmente, però viveva sotto sette metri di cemento armato. Nello stesso modo, il fanatismo islamico, che si fa forte di “non temere la morte, come la temono gli infedeli”, potrebbe imbarcare l’Iran in una guerra in cui, dal punto di vista delle perdite umane, avrebbe largamente la peggio. Ma i capi continuerebbero a predicare dai loro sicuri rifugi. Non c’è da contare sulla loro ragionevolezza.
A questo punto è ovvio: bisognerebbe impedire all’Iran di procurarsi l’armamento atomico. Ma come?
Un’azione militare come quella di Israele nel 1981, quando distrusse l’Osirak, non è possibile. I siti iraniani sono numerosi; non si può essere sicuri di conoscerli tutti; alcuni sono dentro le montagne o sottoterra: dunque sarebbe necessaria un’azione lunga e approfondita, con l’intervento di truppe di terra. Una vera guerra.
Inoltre, non potendo contrastare l’esercito americano, israeliano o ambedue nell’aria, nel mare e sulla terra, l’Iran potrebbe afferrare la giugulare dell’Occidente bloccando lo stretto di Ormuz e tagliando i rifornimenti di petrolio a buona parte del mondo. La cosa sarebbe tecnicamente facile da realizzare disseminando di mine lo stretto. Questa operazione non richiederebbe infatti l’impiego di grandi navi da guerra: basterebbero piccole e numerose imbarcazioni. Poi basterebbe che una sola petroliera saltasse in aria perché nessun altro armatore si sentisse di rischiare. Per giunta, anche a conflitto cessato, il pericolo di qualche mina non rimossa rimarrebbe presente, e la crisi si prolungherebbe per un tempo imprevedibile.
L’unica soluzione militare è la distruzione della flotta iraniana e di tutti i natanti iraniani prima dell’attacco. È facile immaginare quanto questa operazione sarebbe popolare, nel mondo.
E non basta. Ammesso che si riuscisse a distruggere tutte le installazioni atomiche, che cosa bisognerebbe fare? Rimanere lì a tempo indeterminato? Rischiare, una volta partiti, che gli iraniani ricomincino? Per non parlare della reazione delle opinioni pubbliche dinanzi alle migliaia e migliaia di morti che comporta una guerra guerreggiata. L’Italia, solo per sei soldati, ha decretato funerali di Stato.
Si potrebbe sperare di annullare il pericolo dei missili atomici iraniani con uno scudo di missili-antimissile, ma come essere sicuri che non ne sfugga uno che cada su Tel Aviv o Gerusalemme? In quel caso l’incendio mondiale sarebbe inevitabile.
E allora si parla di sanzioni. Queste, come si sa, non hanno una storia gloriosa. Ne ha potuto ridere perfino l’Italia degli Anni Trenta. Oggi la più seria sarebbe il taglio delle forniture di benzina, dal momento che l’Iran, seduto sul petrolio, non è in grado di raffinarlo nelle quantità che gli servono. Ma la Russia tentenna e può fornire a Tehran, via terra, tutto il carburante  necessario. Mosca vuole contenere l’iperpotenza statunitense ma i suoi  moventi non importano: importa che le sanzioni non valgono nulla se non coinvolgono tutti. E oggi non è così.
C’è pure chi spera che, ancora una volta, Israele “faccia il lavoro sporco”. Non solo è già odiata; non solo non ha interessi geostrategici, a parte la propria sopravvivenza, ma sulla base dei discorsi di Ahmadinejad è giustificata dal punto di vista del diritto internazionale. Purtroppo anche questa speranza è vana. Israele, per attaccare l’Iran con l’aviazione, deve sorvolare l’Iraq, e questo coinvolgerebbe gli Stati Uniti nella guerra, volenti o nolenti. Inoltre Israele non potrebbe invadere l’Iran via terra e certo non potrebbe in seguito presidiarlo. Infine non avrebbe sufficienti forze per tenere aperto lo Stretto di Ormuz.
Il futuro, come si vede, è più che preoccupante. Potrebbe divenire roseo se il regime degli ayatollah crollasse e fosse sostituito da un governo ragionevole. Ma quante speranze ci sono che ciò avvenga in tempo?
Oggi è dunque inutile irridere Obama per la sua indecisione e per la fatuità dei suoi sorrisi. Che sia un grande Presidente o un Presidente per ridere, nessuno può risolvere la quadratura del cerchio.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
P.S. Per chi fosse interessato, su www.pardo.ilcannocchiale.it, ancora per qualche giorno un forum dal titolo Conversazione Teologica, introdotto da uno scritto dello stesso autore.
27 settembre 2009

L’IRAN, OVVERO LA QUADRATURA DEL CERCHIOultima modifica: 2009-09-27T15:33:00+02:00da gianni.pardo
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