FRANCESCHINI, LATORRE E BERLUSCONI



A volte ci si accorge improvvisamente di non avere mai parlato di un argomento di cui parlano molti: e stavolta si tratta di Dario Franceschini.

Quando comparve sulla scena, questo politico si caratterizzò per il suo aspetto di bravo bambino cui la mamma ha finito di ravviare il ciuffo.  La sua aria linda, i suoi occhiali, il suo parlare puntuto e pedante, lo facevano identificare con il primo della classe: quello che siede al primo banco e dà sempre la risposta che s’aspetta il maestro. Poi le vicende della vita gli hanno messo sotto il sedere la sedia su cui stava prima Veltroni e si è rivelato del tutto diverso. Il bravo bambino si è messo a sputare veleno, a mordere a destra e a manca, per mostrare che Franti non gli fa paura ed è in grado di battere sul suo stesso terreno perfino Di Pietro.

L’effetto, agli occhi di molti, è stato patetico. Il ruggito del leone è orrendo, ma almeno parla della forza del leone: che dire, invece, del ruggito del topo? Inoltre, questa aggressività è stata inconcludente, se si guarda alla sostanza. È comprensibile che un leader dell’opposizione critichi il governo, meno comprensibile è che critichi a testa bassa, a base di accuse tanto roventi quanto vaghe, qualunque provvedimento. Inoltre non ha senso attribuire costantemente la paternità di tutto al solo Berlusconi, sbarazzandosi poi di lui col definirlo brutto e cattivo. L’antiberlusconismo è l’argomento di chi non ha argomenti. Questa frase, di solito attribuita all’insulto, è del resto adeguata come non mai: perché l’antiberlusconismo si nutre più di ingiurie, travisamenti e calunnie che di precise e costruttive critiche politiche. Gridare al lupo, e basta, non salva le pecore.

Il risultato di questa linea politica non è comunque del tutto negativo. Nella convention del Pd, quando Franceschini si è lasciato andare all’antiberlusconismo più violento e gridato (“Ha fatto un comizio” ha detto Gianni Pittella, uno del suo stesso partito) ha riscosso vasti applausi. Prosit. Infatti in questo modo fa un’ottima concorrenza a Di Pietro: ma con due controindicazioni.

La pubblicità non ha copyright perché, se si imita uno slogan, la gente pensa all’originale e il risultato è che si reclamizza l’altro prodotto. “Se uno dice che chi beve chinotto campa cent’anni, la gente si ricorda della birra e magari va a bere un boccale di birra”, diceva un pubblicitario. Se si copia Di Pietro c’è il rischio che si faccia pubblicità non al proprio partito ma a Di Pietro.

La seconda controindicazione nasce dallo scopo da raggiungere. Per Di Pietro si tratta di crearsi un piccolo partito sufficiente per le sue ambizioni, politiche e di altro genere, ma nemmeno da ubriaco l’uomo di Montenero di Bisaccia potrebbe immaginare un’Idv che diviene partito di maggioranza nel Paese. E questo suona come una campana a morto per il Pd, che invece vuole proporsi come una credibile alternativa a Berlusconi.

Tutte queste considerazioni non sono il distillato del pensiero malevolo di chi non ama la sinistra: sono semplici constatazioni. Prova ne sia che Nicola Latorre – dalemiano convinto, ma certo politico accorto – ha potuto dire: “Fossi in Berlusconi, manderei i miei a votare per Franceschini alle primarie: con lui continua a vincere tranquillo”.

Ed effettivamente nel centro-destra ci possiamo chiedere: per chi dobbiamo fare il tifo, se pure teorico? E la risposta di molti di noi forse sorprenderebbe Latorre: non certo per Franceschini.

Questo bravo bambino che giura sulla Costituzione insieme col suo papà e spara vacue esagerazioni è l’ideale per Berlusconi, non per l’Italia. In un Paese democratico l’opposizione è importante quanto la maggioranza proprio perché domani potrebbe divenire essa stessa maggioranza ed avere la responsabilità del governo. Per questo è necessario che sia composta da persone capaci: prima per vincere le elezioni, poi, non riuscendoci, per pungolare il  governo con una critica intelligente e costruttiva.

E si potrebbe chiedere ai sostenitori del Pd: reputate Franceschini capace d’essere un buon primo ministro? Reputate che, stando all’opposizione, riesca a fare un’opposizione intelligente e costruttiva?

Se la risposta è no, si capirà perché Berlusconi non invierà nessuno a votare per Franceschini, quand’anche potesse. Perché ama l’Italia più del suo stesso partito.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

13 ottobre 2009



FRANCESCHINI, LATORRE E BERLUSCONIultima modifica: 2009-10-13T08:55:00+02:00da gianni.pardo
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