L’ANM: IL DIFETTO È NEL MANICO


Un articolo del “Corriere della Sera” dà conto delle reazioni della magistratura all’attuale temperie politica. Il presidente del sindacato delle toghe Luca Palamara riassume: “diciamo no a riforme punitive contro la Magistratura”, e  tra queste riforme cita quella sulla separazione delle carriere, quella del Csm o quella sulla revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Una riforma dell’amministrazione della giustizia è certo necessaria, ammette poi. E conclude magnanimo: l’Associazione Nazionale Magistrati “non dice sempre no”.

Ci siamo talmente abituati a questo florilegio di dichiarazioni e proteste da non vedere più l’errore di fondo. Per spiegarlo, ricorreremo ad un parallelo del tutto improprio come ambiente ma giuridicamente corretto e pertinente.

Immaginiamo che sorga una vertenza tra un protettore di prostitute e le sue “lavoratrici”. È adeguata la somma che quel signore pretende, o è eccessiva? E la protezione che le passeggiatrici ricevono corrisponde alle loro aspettative? È in relazione a quello che pagano? La discussione ha tutta l’aria di una vertenza economica o sindacale e tuttavia è surreale: il problema infatti non è il quantum della protezione, ma se si abbia o no il diritto di sfruttare la prostituzione. E visto che non lo si ha, l’unica cosa che bisogna chiedersi è: perché il protettore non è stato arrestato?

Anche per quanto riguarda l’Anm – e i magistrati in generale – il problema non è se le loro proteste, riguardo ai provvedimenti del legislativo o dell’esecutivo, siano fondate o no, ma se i magistrati abbiano o no il diritto di esprimerle.

In un grande film del 1961, “Vincitori e vinti”, un giudice dell’epoca nazista è processato, dopo la guerra, per avere applicato delle leggi eugenetiche o razziali. Con sorpresa degli spettatori, benché dal film risulti che il giudice non ha fatto che il proprio dovere nei confronti dello Stato, l’imputato è condannato. La morale è che, di fronte a certi abomini legali, il giudice ha il dovere di dimettersi. Tesi notevole di un film notevole e infatti indimenticato. Esso però non insegna a disobbedire alle leggi, in certi casi: insegna a farsi da parte. Se i magistrati italiani non sono d’accordo con le leggi dello Stato, nessuno li obbliga ad applicarle: è sufficiente che lascino la magistratura. Che poi siano disposti a farlo per la separazione delle carriere o per una diversa modulazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, sarebbe cosa che ci sorprenderebbe al di là di ciò che riusciamo ad esprimere.

La verità è che i magistrati si credono investiti del potere di giudicare le leggi non soltanto nel momento della loro applicazione – e di questo abbiamo avuto esempi impressionanti – ma perfino nel momento della loro gestazione. Come se le leggi, invece di essere dello Stato, fossero cosa loro. Ecco perché sono scandalose le parole di Palamara quando concede che l’Anm “non dice sempre di no”. In primo luogo perché implicitamente – excusatio non petita, accusatio manifesta – ammette che si possa fare l’ipotesi di un’opposizione costante e preconcetta dell’Anm nei confronti del governo; in secondo luogo perché non sembra minimamente accorgersi che l’Anm – a termini di Costituzione e in quanto rappresentante eventuale dei magistrati – manca assolutamente del potere di dire di sì o di no.

Non sarebbe male se la riforma della giustizia, quale che sia, insegnasse ai magistrati a stare al loro posto. Essi possono protestare in quanto cittadini, ma fuori dall’orario di lavoro,  fuori dai Tribunali e senza avere la toga sulle spalle. Il fatto che essi, per giudicare l’azione del legislativo, convochino e tengano riunioni nei locali sacri alla giustizia, e non alla politica, è un evidente abuso che va represso.

Sono cittadini come gli altri, nessuno lo nega, ma bisognerebbe vietare a loro, come alle forze dell’ordine e come all’esercito, il diritto di sciopero e di iscrizione ai partiti politici. Ci sono funzioni dello Stato che non deve essere possibile identificare con fazioni. La giustizia, l’ordine pubblico e la difesa della Patria non hanno e non devono avere colore politico: e non si deve neppure poter sospettare che l’abbiano.

Per la politica, fino a farcene fare indigestione, basta e avanza il Parlamento

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

30 ottobre 2009

 

L’ANM: IL DIFETTO È NEL MANICOultima modifica: 2009-10-30T12:50:00+01:00da gianni.pardo
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