L’ASSENZA DELLO STATO

Nei giorni della crisi di Rosarno lo Stato è intervenuto per tenere a freno i disordini e per mandar via gli extracomunitari, ma in precedenza non ignorava la presenza di tanti irregolari e di tanto lavoro in nero. Molti si sono dunque chiesti dove fosse prima. E dove erano i carabinieri, la magistratura, l’ufficio del lavoro e la stessa Chiesa che oggi parla di razzismo e di sfruttamento.
La risposta è semplice: non c’erano. Immaginiamo una Rosarno teorica in cui maturano le arance e bisogna raccoglierle. I proprietari non possono pagare manovalanza italiana a prezzo pieno e nel rispetto delle leggi e se a questo fossero obbligati, sarebbero costretti dalle leggi economiche a lasciare i frutti sugli alberi. Naturalmente protesterebbero fieramente. Per altro verso, ci sono degli extracomunitari irregolari che cercano un lavoro purchessia e sono disposti ad accettare una paga minore del minimo sindacale: se nessuno li assumesse o si darebbero a delinquere, o patirebbero la fame, o provocherebbero disordini. Dunque nessuno, nella Rosarno teorica, fino a un mese fa, sarebbe stato contento di un severo intervento dello Stato. E si arriva alla realtà che spesso abbiamo sotto gli occhi: intere regioni o città si arrangiano per sopravvivere violando più o meno apertamente la legge e il governo, per amore della quiete e per non perdere voti, fa finta di non vedere.
È vero che se l’azione dello Stato si prolungasse sufficientemente la popolazione capirebbe che è meglio vivere in un ambiente regolato dalla legge che nell’ anarchia, ma dal momento che una simile azione durerebbe forse un decennio, nessun governo può ragionevolmente iniziarla: o ne ricaverebbe soltanto una grande impopolarità oppure, avendo successo, di questo successo beneficerebbe il governo successivo. Dunque meglio il quieto vivere.
Naturalmente, quando capita un guaio, tutto cambia. Tutti sono pronti a strillare e lo stesso Stato promette fuoco e fiamme. Promette. Ma la realtà prende presto il sopravvento: l’economia non accetta altre leggi che le proprie e  Rosarno non è diventata più ricca ora che non ci sono più i neri.
Nel Sud si cerca innanzi tutto il quieto vivere. Meglio essere amici degli amici. Meglio non elevare contravvenzione al figlio del sindaco che ha lasciato la macchina in divieto di sosta: non sarebbe contento il sindaco e non sarebbero contenti i vigili, se ne ricavassero qualche conseguenza negativa. E alla fine la cosa fa valanga.
La mafia, la camorra, la ‘drangheta – o comunque si chiami un’organizzazione che arriva a controllare il territorio – in tanto si possono affermare, in quanto lo Stato sia debole. È questa debolezza che fa nascere le organizzazioni delinquenziali, non l’inverso. E tutto dipende alla fine dalla natura democratica della nostra nazione.
Se un autocrate decidesse di sradicare la mafia, manderebbe uno sceriffo senza scrupoli che sparerebbe a chiunque fosse colpevole o sospetto di delitti di mafia. Si noti quel “ sospetto”: l’azione sarebbe radicale se fosse, appunto,  antidemocratica, incurante dei diritti del cittadino, contraria alla nostra civiltà giuridica e se si estendesse anche a chi si permettesse di criticare il governo. Questa ipotesi è assurda in un paese civile ma l’esempio può servire a chiarire il perché della debolezza dello Stato.
Lo Stato, in un regime democratico, è sempre spaventato dalla reazione della piazza e della stampa demagogica che l’asseconda. Se cinquecento facinorosi scendono in piazza e minacciano sfracelli perché licenziati da un’impresa fallita – e fallire fa parte dell’economia di mercato – allo Stato non interessa se abbiano ragione o torto: la protesta deve cessare a qualunque costo. Diversamente i sindacati, i partiti di opposizione, la Chiesa e legioni di anime belle in tutto il Paese impiccheranno il Primo Ministro. Lo Stato allora sovvenziona l’impresa (e poi si criticano gli aiuti alla Fiat!), fa in modo che non fallisca, offre altre soluzioni, e a nessuno viene in mente di fare ai dimostranti questo discorso: “Vi rendete conto che ogni giorno ci sono migliaia di padri di famiglia licenziati da imprese con meno di dieci dipendenti, di cui nessuno si occupa? Ognuno di loro avrà lo stesso identico problema che qui avete in cinquecento: e allora, in che cosa siete diversi, perché bisognerebbe risolvere il vostro problema e non il loro?” Se qualcuno facesse questo discorso, sarebbe linciato in piazza e poi, se sopravvivesse, non sarebbe mai più rieletto a nessuna carica.
La debolezza dello Stato nasce dalla sua esigenza di popolarità. E nel Sud non sarebbe molto popolare, se applicasse seriamente le leggi. In queste condizioni c’è solo da sperare che, come è molto moderata l’azione statale (chiunque sieda al Viminale), moderata sia anche l’azione della criminalità. A gentlemen’s agreement dove non ci sono gentlemen.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
13 gennaio 2010

L’ASSENZA DELLO STATOultima modifica: 2010-01-15T10:13:20+01:00da gianni.pardo
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