IL PREZZO DELLA VITA AD HAITI

L’istinto di conservazione è qualcosa su cui non si discute. Un’evidenza al di là di ogni dubbio. In un libro di psicologia di decenni fa si cominciava col descrivere la reazione di un unicellulare che, percependo l’esistenza di un acido, si allontanava. Quell’ameba aveva una reazione all’ambiente, interagiva con esso e per questo lo scienziato la metteva, per così dire, a pagina uno del trattato di psicologia.
L’ameba non sbagliava, gli uomini invece sono capaci di sbagliare. Socrate sosteneva che tutti vogliono il bene ma il problema è identificarlo: per lui l’etica era un problema intellettuale e lo stesso potremmo noi dire dell’amore per la vita. Nessun essere vivente  vuole morire ma non si può dire che ogni essere vivente faccia la cosa giusta a questo scopo: per stupidità, per ignoranza, per infantilismo. L’esempio più semplice è che molti continuino a fumare mentre si sa che il fumo provoca facilmente il cancro. E tuttavia fumano anche parecchi medici. E poi ci sono gli alcolisti, i drogati, gli adepti degli sport estremi e perfino coloro che fanno l’amore senza protezione col primo venuto. Gli sciocchi che rischiano la loro integrità fisica non sono rari.
Nei paesi sviluppati, dove la vita sembra facile e sicura, non raramente si chiudono gli occhi sui pericoli. L’atteggiamento infantile è: perché non dovrei spendere questo denaro? Se rimango senza soldi una soluzione troverò. E per i mali più gravi: perché dovrebbe capitare proprio a me? Perché dovrei avere il cancro? Perché questa bella ragazza dovrebbe essere sieropositiva? Perché dovrei sempre pensare al peggio? Quasi che l’ottimismo fosse un’assicurazione. Troppi sperano che la sorte non osi accanirsi contro persone splendide come loro. Troppi non comprendono che la realtà è dominata da un ottuso rapporto causa-effetto.
Nelle classi povere e nei paesi sottosviluppati si ha una ragione in più, per osare: non tanto l’ignoranza dei pericoli quanto una rassegnazione che rende noncuranti dinanzi al proprio destino. Se si trattasse di costruire una casa in una zona sismica, qualunque persona ragionevole adotterebbe seri criteri antisismici. Ma i poveri dicono: “Se dovessimo spendere tutti questi soldi, non potremmo costruire la casa. Dunque la facciamo come capita. Come la facevano i nostri padri e i nostri nonni. Poi, se ci sarà un terremoto, vuol dire che moriremo. Che altro possiamo fare?” Lo stesso vale per gli infortuni sul lavoro, per gli eccessivi impegni economici – il televisore al plasma nel tugurio! – per la sigaretta e perfino per le violazioni di legge.
I poveri sono in parte responsabili delle disgrazie che li affliggono. Se la coppia guadagna a malapena di che non morire, perché mettere al mondo dei figli? Che cosa darà loro da mangiare? Se non ci si può permettere una casa antisismica, perché abbandonare la capanna che, quanto meno, non rovinerebbe a causa di un terremoto?
Tragedie immani come quelle di Haiti stringono il cuore ma è pur vero che lo stesso terremoto in Giappone non avrebbe provocato questo massacro. Un’intera città di milioni di abitanti distrutta non è una disgrazia: è un crimine commesso in danno proprio da centinaia di migliaia di persone.
L’istinto di conservazione dovrebbe lasciarsi aiutare dall’intelligenza. Bisognerebbe smetterla di confidare nella buona stella: infatti non c’è nessuna buona stella. Se la terra trema e gli edifici non sono adeguati, muoiono i vecchi e i bambini, le donne e gli uomini, i buoni e  i cattivi. La buona stella non salva nessuno o salva a caso.
L’istinto di conservazione dovrebbe indurci a curare la nostra salute con la prevenzione; dovrebbe spingerci a regolare la nostra esistenza sulla nostra economia, dovrebbe insegnarci che se noi attribuiamo poco valore alla nostra vita e la mettiamo a rischio, poi non dovremo stupirci se la perdiamo.
Chi gioca ai dadi deve sapere che può anche perdere.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
15 gennaio 2010

IL PREZZO DELLA VITA AD HAITIultima modifica: 2010-01-16T09:20:24+01:00da gianni.pardo
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