IL CASO BERTOLASO


Oggi due articoli in sequenza, sul caso Bertolaso. Uno serio, uno di costume

BERTOLASO SALVEREBBE CAPRA E CAVOLI


Per quanto riguarda i lavori pubblici, in Italia le cose stanno così. Se si cerca di farli seguendo l’iter legale, o non si fanno o ci si mettono decenni. Se invece si adottano le procedure previste per le emergenze, tutto si realizza nei tempi desiderati. Naturalmente saranno scontente le imprese che sono state escluse e reputavano, magari a ragione, di essere più meritevoli di altre. Naturalmente ci sarà il rischio di qualche abuso d’ufficio o di qualche peculato: però ogni volta che lo Stato per realizzare delle opere non ha disposto di molti anni ha solo potuto battezzare “emergenza” ciò che tale non era. Solo così se l’è cavata. Naturalmente sempre che l’uomo alla testa – è il caso di Guido Bertolaso – fosse molto valido.
Ora è scoppiato un caso giudiziario e, giustamente, l’opposizione dice: “Vanno bene le case per i terremotati dell’Abruzzo, vanno bene gli interventi per l’alluvione di Giampilieri, ma che c’entrano le regate della Vuitton Cup, le Olimpiadi invernali, i lavori per il G8 della Maddalena e il resto? O volete solo offrire agli amici l’occasione di rubare senza controlli? Qui non c’è niente di imprevisto, queste non sono emergenze, queste sono mangiatoie”.
Il governo potrebbe rispondere: “Innanzi tutto, se sono stati commessi dei reati, è giusto che siano puniti ed anche severamente. Poi è vero, non sono emergenze. Ma se, avendo a disposizione tre anni, siamo sicuri che con l’iter normale non ce la facciamo, o trattiamo queste opere come emergenze  oppure ci rinunciamo. Del resto, fateci caso: in Italia un’opera pubblica che debba realmente essere completata entro una data certa è già per questo un’emergenza”.
Il problema ricorda il rompicapo infantile del traghettatore che deve trasportare al di là del fiume la capra, il lupo e il mazzo di cavoli. Con l’aggravante che, in questo caso, si può portare solo uno dei tre alla volta. Il problema sembra insolubile ma non lo è, malgrado l’ulteriore difficoltà. Se non posso lasciare insieme il lupo e la capra, lego il lupo ad un albero e comincio col traghettare i cavoli. La corda non era prevista? Poco importa, ce la metto io.
Tornando ai lavori pubblici, chi impedisce di riformare il sistema in modo che ci siano meno controlli nell’iter normale, anche se più di quanti ce ne sono per le emergenze, in modo da lasciare alla Protezione Civile solo i veri imprevisti? Si tratta solo di rinunziare a qualche guarentigia, di limitarsi a colpire l’illecito piuttosto che a cercare di prevenirlo.
Sembra una proposta semplice ed in effetti lo è. Ma è irrealizzabile. Lo Stato italiano impone una miriade di norme confuse e minuziose. È scassato; inefficiente; ingiusto; sprecone e incapace: ma quando si tratta di emanare nuove leggi per il suo funzionamento il Parlamento si trasforma in un’assemblea di angeli che vogliono realizzare la Città di Dio. Tutto deve essere perfetto. Dinanzi ad una nuova regolamentazione che non faccia posto a tutte le esigenze, anche paralizzanti, che non preveda questo, quello e anche quell’altro, molti si straccerebbero le vesti e chiederebbero che si torni alla normativa precedente. Cioè a quella che prevedeva mille visti, mille ricorsi, mille denunce: e non permetteva di realizzare le opere.
Il mio amico arch.Antonio Pavone, un uomo sulla cui onestà e sul cui disinteresse conterei come sulla morte, divenuto capo della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Artistici mi raccontava che non riusciva a lavorare perché riceveva continuamente denunce. Passava la maggior parte del suo tempo al Palazzo di Giustizia e con gli avvocati. Per fortuna era costantemente assolto. Ma era un modo di lavorare, era un modo di vivere quello? E infatti si è dimesso.
Non che si vogliano favorire i delinquenti. Con l’eventuale nuova regolamentazione,  abuso d’ufficio, truffa, turbativa d’asta, concussione e corruzione rimarrebbero punibili. Basterebbe passare al setaccio l’iter amministrativo dopo, a lavori effettuati, colpendo severamente i casi chiaramente illeciti. Ma si sa, i puri di cuore vorrebbero che la normativa quei reati li rendesse addirittura impossibili. E il risultato è che rimangono possibili i reati e divengono impossibili i lavori.
Il nostro è un Paese che non ha mai imparato il senso dell’adagio per l quale l’ottimo è nemico del buono.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
11 febbraio 2010

CASO BERTOLASO: LE VOLGARITÀ

Certe tesi sarebbero facili da sostenere se non disturbassero chi deve ammetterne la validità. Chi affermasse: “Nessun marito può essere sicuro che sua moglie non l’abbia mai tradito, nemmeno una volta”, direbbe qualcosa di evidente. Nessuno ha sorvegliato costantemente la consorte; nessuno l’ha avuta sempre sott’occhio; nessuno può essere sicuro, soprattutto se ha il sonno pesante, che la moglie non gli abbia fatto le corna nella stessa camera da letto. Ma è inutile insistere: l’affermazione sarebbe evidente, se tutti non temessero di doverla trasformare in: “Forse sono cornuto”.
Detto di passaggio: se qualcuno fosse appassionatamente sincero, nel dire che no, per sua moglie non è possibile, starebbe solo dicendo che è troppo poco appetibile perché qualcuno “ci provi”. Insulterebbe così sua moglie e sarebbe presuntuoso: quel “qualcuno” potrebbe avere gusti diversi dei suoi.
Lo schema vale in molte direzioni. A volte ci contorciamo per non chiamare col suo nome una cosa evidente. Anzi per non parlarne neppure. Chi si permetterebbe di dire che la Regina d’Inghilterra defeca tutti i giorni? Eppure non solo il fatto è vero, ma è anche consigliabile, se quell’anziana ed amabile signora malgrado la sua alta carica resta umana.
Tutto questo viene in mente quando vengono pubblicate intercettazioni telefoniche. In questi casi si scopre un linguaggio innegabilmente turpe e tutti si indignano come se esso fosse raro e inammissibile. O come se gli intercettati si fossero espressi in quel modo alla radio o dal pulpito di una cattedrale. In realtà i due dialogavano fra loro, in confidenza, come fanno, quando parlano con i loro amici, quegli stessi che ora si stracciano le vesti. Se li intercettassimo scopriremmo che sono altrettanto cinici, empi e coprolalici.
La verità è che tutti hanno flatulenze, tutti hanno un alito orribile dopo aver mangiato aglio e tutti gli uomini, se sono sani, amano immensamente il sesso. Non necessariamente con la moglie. Noi italiani abbiamo un sentimento di disagio quando in qualche film americano un uomo corteggiato da una donna risponde: “I’m a married man”. Che vuol dire, che è sposato? Il matrimonio è forse un problema erettile?
Ecco perché tutto questo parlare che si fa di sesso, nella politica italiana, è francamente tedioso. Che interessano le escort, i tradimenti, e perfino la droga, se assumere droga non è reato? Nel caso di Marrazzo, la cosa grave è che abbia mentito in pubblico e si sia reso ricattabile; nel caso di Delbono, la cosa grave è che avrebbe usato denaro dello Stato; nel caso della Protezione Civile, ciò che ha a che vedere col sesso, col cinismo verbale, con le parolacce e il resto non ha nessuna importanza: l’unica cosa che importa sono i reati e quelli devono essere perseguiti senza pietà. Ma le parole!
Se dei pompieri, durante un terremoto, scavano per salvare delle vittime e uno di loro dice: “Stramaledetta pioggia! Quelli là sotto, almeno, non si bagnano”, bisogna impiccarlo a quelle parole? Essenziale è che scavi, poi che preghi la Madonna, mentre lo fa, o stramaledica Giove Pluvio, è indifferente. Eppure, che direbbero i giornali se, all’Aquila, quel birbante di Berlusconi avesse fatto quella battuta? Claudio Scaiola, per qualcosa del genere, dovette dimettersi
E come si permettono, in tanti, di essere severi e draconiani a proposito di parolacce se poi il sottoscritto, per quanto ne sa, è l’unico che non ne dice?
Le intercettazioni telefoniche sono eccessive. Bisognerebbe limitarle ai casi in cui sono necessarie, senza mai pubblicarle. Perfino nel giudizio dovrebbero essere mondate da ciò che è sconveniente. Infatti gli intercettati si esprimono in privato, non diversamente da uno che, solo in casa sua, emetta un peto sonoro. Se poi qualcuno si apposta con un registratore e lo mette su YouTube non sta dimostrando quanto quell’uomo sia uno sporcaccione ma quanto lui stesso sia un maleducato.
Ma questa è una predica al vento. Chiediamo scusa alla Regina Elisabetta II. Sappiamo benissimo che non è mai andata al gabinetto.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
12 febbraio 2010

IL CASO BERTOLASOultima modifica: 2010-02-13T10:15:18+01:00da gianni.pardo
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7 pensieri su “IL CASO BERTOLASO

  1. Non è un reato dire parolacce, e nemmeno cercare sesso al di fuori del matrimonio: potrebbe invece esserlo se in cambio di quel sesso si favorisce qualcuno, un’impresa per un appalto ricoprendo una funzione pubblica.

  2. Sentenza Pardo: Bertolaso assolto

    Motivazioni della sentenza: trattasi semplicemente di persona con comportamenti privati assimilabili ad un normale scorreggione. Era a capo di un’istituzione che appaltava tutto a gente che si fregava le mani in seguito ad un terremoto ad un terremoto e che rubava i nostri soldi? Non fa niente, le leggi italiane impongono di rubare per realizzare qualcosa.

    Complimenti

  3. Fabrizio, lei oggi ha fatto un invidioso: La Palice.
    Raffaele: lei invece ha fatto un altro invidioso, Mark Twain. Ma forse anche La Palice, visto che dice le stesse cose.
    Per i sordi, o forse per i ciechi: ” l’unica cosa che importa sono i reati e quelli devono essere perseguiti senza pietà”. Per chi avesse un senso dell’orientamento simile alla sua capacità di leggere: si trova alla fine del quarto paragrafo.

  4. Carissimo Pardo quello che i giudici possono accertare si chiama responsabilità penale. La responsabilità penale, lei che è cosi erudito, saprà sicuramente che è personale. Bertolaso alla fine potrebbe anche non aver commesso alcun reato, ma dal suo ruolo di responsabilità ha permesso che lo compiessero altri. Quelli di cui sopra, e cioè coloro che si fregavano le mani perchè era successo il terremoto visto che già sapevano che, grazie a Bertolaso, gli appalti erano tutti i loro e potevano fregarsi allegramente tutti i soldi che volevano. Al di là delle responsabilità penali mi sembrano deprimenti e scandalose responsabilità “politiche” per un capo della Protezione Civile. L’unica mia domanda è se lei proprio non veda oppure facia finta di non vedere tutto questo.

  5. Se ha permesso che lo compiessero altri è penalmente responsabile. Se non lo ha permesso o – più semplicemente – non ne ha saputo nulla, non è né penalmente né politicamente responsabile. Questo oggettivamente. Perché la responsabilità penale non è oggettiva e non lo è neppure neanche quella politica. Ma de facto le possono stare diversamente.
    Se Bertolaso de facto si dimetterà, la “responsabilità politica” nel senso in cui l’intende lei, avrà prevalso, se invece non si dimetterà la “responsabilità politica” sarà stata rigettata dalla maggioranza che sostiene Bertolaso.
    Ma c’era o non c’era, questa responsabilità politica? Ecco il punto che ci divide: lei crede di avere la risposta, io no. Per questo bisogna attendere la storia e, vedi caso, su questo argomento potrà leggere qualcosa nell’articolo di oggi, su Bersani e i tempi della politica.

  6. Quando è uno è il capo della Protezione Civile è responsabile politicamente di quello che fa la Protezione Civile e di come lo fa. Non vedo come si possa vederla, essendo obiettivi, in modo diverso Penalmente, è tutto un altro discorso. Le responsabilità penali vanno assodate in un processo. Talvolta non risulta possibile manco quando queste ci siano. Ma ciò non implica certo che uno è un degno capo della Protezione Civile qualora un Tribunale lo assolva. Lapalissiano, per usare una parola che le piace tanto.

  7. Un capo è degno quando sa fare bene il suo lavoro e Bertolaso ha fatto un ottimo lavoro, il resto sono solo chiacchiere e propaganda.

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