OBAMA SBATTE CONTRO LA REALTA’

La parabola discendente di Barack Hussein Obama si presta a considerazioni che vanno oltre l’interessato.

Tutti gli Stati hanno dei problemi. Alcuni di essi sono immutabili perché dipendono dalla geografia: per esempio l’accesso ai mari caldi per la Russia; altri si possono risolvere ma solo a prezzo di grandi sacrifici: per esempio la rinuncia all’Algérie Française; altri infine sfociano in una guerra che è impossibile vincere e che tuttavia è necessario combattere: i Parti per i Romani, il terrorismo per gli statunitensi. E infatti una notevole parte dell’impopolarità di George W.Bush derivò dalla stanchezza del popolo americano dinanzi a due guerre, quella dell’Iraq e quella dell’Afghanistan. Molti pensavano che in primo luogo era stato un errore cominciarle, tutti comunque rimproveravano all’Amministrazione di non sapere come uscirne.

In questi casi il popolo comincia a sognare l’intervento di un uomo superiore: più risoluto, più saggio, più illuminato. Qualcuno capace di fare ciò che non sa fare l’imbecille che siede alla Casa Bianca. È cavalcando questo malcontento che Obama è stato trionfalmente eletto. Purtroppo i dati di fatto della geopolitica e le necessità della guerra al terrorismo (per esempio la prigione di Guantánamo) sono testardi: non si lasciano impressionare né da bei sorrisi né da grandi ideali. Dunque il nuovo Presidente è stato costretto, in questo come nei rimanenti settori, a confermare pressoché al cento per cento la politica dell’Amministrazione precedente. E ciò ha deluso i moltissimi americani che hanno votato per lui.

Dinanzi al calo dei sondaggi, e anche per non apparire come un bugiardo e un imbonitore, Obama ha disperatamente cercato di mantenere alcune delle promesse fatte. Ma gli è andata malissimo. Con un umile sorriso si è presentato in Europa per lanciare quella politica del dialogo e del multilateralismo che pare Bush avesse trascurato, e non ha ottenuto niente;  è stato conciliante con la Cina, perfino tacendo dei diritti umani, e in totale è solo riuscito ad irritare profondamente quel grande Paese; ha cercato di favorire il processo di pace in Palestina e nessuno gli ha dato ascolto; ha teso la mano all’Iran e ne ha ricevuto insulti e minacce; quando infine ha cercato di mantenere, almeno in Patria, una grande promessa, quella della riforma sanitaria, le cose si sono messe male e a quanto sembra dovrà rinunciarci. In questi mesi i democratici hanno perso due governatori e quel preziosissimo seggio al Senato che gli dava libertà di manovra. Né migliori prospettive ci sono per le elezioni di mid term.

Obama più che un cinico demagogo è forse un ingenuo idealista. Magari ha creduto veramente che, con l’aiuto di Dio, sarebbe riuscito a fare miracoli: ma i miracoli non li fa nessuno e attualmente egli sembra perfino sfortunato. È bene che non sogni un secondo mandato.

Tutta la vicenda offre una serie di insegnamenti. Non bisogna credere facilmente che il problema insolubile per un politico sia poi facile per un altro politico. Il famoso cambiamento non sempre è possibile e soprattutto non sempre, quando è possibile, costituisce un miglioramento. Questo principio andrebbe ripetuto fino alla noia ai molti che chiedono “un nuovo modo di fare politica”, “un cambiamento di rotta”, una “discontinuità”  e altre spelacchiate e fumose palingenesi. Finché si rimarrà sul vago – e si parlerà di “Change” come faceva Obama – ci staremo facendo vento con le parole. Né più serio è che si indichino solo i fini – ad esempio una diminuzione delle imposte e un miglioramento dei servizi – perché di sognare siamo capaci tutti.

Chi propone un cambiamento dovrebbe esattamente specificare che cosa intende ottenere, con quali modalità e a spese di chi. Non appena si scende sul concreto, infatti, molti entusiasmi si spengono. Qualunque riforma lede infatti interessi consolidati, tanto che, se si potesse promettere la vita eterna, si provocherebbe uno sciopero dei becchini, futuri disoccupati.

La situazione dell’America non è colpa né di Bush né di Obama. Il nostro è un mondo imperfetto. Se gli statunitensi sono delusi, è perché sono stati capaci di illudersi. La democrazia permette l’impero della parola, della demagogia, del sogno: lo stato d’animo dominante ad Atene prima della spedizione in Sicilia. Se poi la realtà azzera i sogni, non per questo bisogna dir male della democrazia. È il meno peggio che l’umanità sia riuscita ad inventare.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

22 febbraio 2010

OBAMA SBATTE CONTRO LA REALTA’ultima modifica: 2010-02-22T18:26:28+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “OBAMA SBATTE CONTRO LA REALTA’

  1. Beh, se Obama fosse salito al potere prima secondo me, non essendo un petroliere, non puntando al voto fondamentalista ed essendo meno condizionato dalle lobby filo-sioniste, non avrebbe certo fatto l’immensa stupidaggine di invadere l’Iraq e, cinicamente, ma più intelligentemente, avrebbe cercato di vincere la quella contro l’Afganistan.
    Forse, ma questa un’ipotesi forse più fumosa, l’irrigidimento della Cina è dovuto al fatto che Obama, a parte i proclami di amicizia, stia cercando di svincolarsi di uscire dal pantano iraqeno e dalla politica estera anti-islamica dell’Era Bush per concentrare meglio le proprie energie e indirizzarle contro l’ascesa cinese.

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