NIENTE IDEE IN TELEVISIONE

La televisione non è il veicolo delle idee: è il veicolo delle suggestioni.
Ciò dipende dalla natura stessa del mezzo. Per milioni di anni l’uomo è stato un cacciatore. Fisicamente svantaggiato rispetto ad altri predatori, se l’è cavata con l’intelligenza e usando soprattutto la vista. Ancora oggi egli è per così dire schiavo di ciò che vede. Di fronte alla parola conserviamo qualche riflesso critico ma dinanzi al messaggio visivo siamo quasi senza difese. Ciò che vediamo è “vero” per definizione e “ci crediamo” anche se ci ripetiamo che è falso: ecco perché soffriamo durante le scene di tortura al cinema.
Già i bambini amano i libri illustrati ma il colmo dell’attrazione lo posseggono, per tutti, le immagini in movimento: perché le prede si muovono e i sassi no. E infatti fino a qualche decennio fa c’erano delle fastidiose insegne a luce freneticamente intermittente: perché l’occhio è irresistibilmente attratto da ciò che si muove. Anche se è solo il piccolo particolare di un quadro altrimenti immobile. Questo spiega perché moltissimi preferiscano il cinema e la televisione alla lettura: un libro o un giornale ci forniscono il pensiero disincarnato di un altro uomo ma nessun uomo primitivo è mai andato a caccia di pensieri.
Il cinema e la televisione presentano il loro messaggio come innegabile.  Se un testo parla di un cane volante lungo sei metri, ci viene da sorridere. Se il cinema, come ne “La Storia Infinita”,  ci mostra un cane lungo sei metri che vola, rimaniamo incantati. Ciò che è scritto è inverosimile, ciò che vediamo è “vero”. Ed è questa la ragione per cui lo schermo può facilmente barare. Se si manda in onda un documentario sugli orrori della guerra, affermando che i più grandi torturatori sono i soldati di Biancolandia, ma durante tutto il servizio si mostra una tortura inflitta da soldati di Nerolandia, gli spettatori rimarranno convinti che questi ultimi sono i più crudeli.
I talk show politici, presunto regno delle idee in televisione, sono poi il peggio del peggio. Per cominciare sono noiosi. I partecipanti normalmente sono prolissi, ignorano che i primi venti secondi sono preziosi e perdono tempo in introduzioni. Nei dibattiti non si preparano quasi mai una risposta fulminante. A chi parlasse di un governo di tecnici non bisognerebbe opporre lunghi ragionamenti, bisognerebbe chiedere: “Secondo lei, per guidare un’impresa avicola, bisogna saper deporre uova?” Per questo il ministro Brunetta ha tanto successo, in televisione: perché in generale è conciso ed esplosivo.
Ma il loro peggior cancro è il vizio – ormai consentito – di interrompere. Il risultato è che il primo non riesce a dire la sua idea – anche per colpa sua, perché ha sprecato l’attenzione iniziale – e il secondo non riesce ad obiettare: sia perché il primo cerca di difendersi gridando pure lui, fino ad arrivare ad un’immonda caciara, sia perché il conduttore del dibattito finisce con l’interrompere tutti e due, dando la parola a un terzo. Questi comincia a dire qualcosa di interessante ed è subito interrotto da un quarto. Infine parla un signore che quasi ci incuriosisce ed il conduttore lo interrompe: “Dirà tutto questo dopo la pubblicità”. E dopo un secolo di pubblicità quel tale non completerà un bel niente.
Qui si  vede ancora una volta l’enorme superiorità dello schermo sui messaggi che giungono attraverso le orecchie. Se in un dibattito alla radio le voci si accavallassero come in tv, si cambierebbe programma. Se invece questo avviene in televisione, continuiamo come imbecilli a guardare le facce. La rissa è uno spettacolo.
Spesso i talk show non tendono ad informare ma ad indottrinare. Per questo, oltre a “guidare” il dibattito in modo fazioso, i conduttori lo condiscono con “interviste” e “servizi”. Si tratta del terremoto dell’Aquila? Ed ecco che si intervistano i pochi che hanno avuto già una casa nuova (tutto per il meglio nel migliore dei mondi) oppure i pochi che non l’hanno avuta (tutto per il peggio nel peggiore dei mondi). Si può dimostrare qualsiasi cosa. Per esempio che il caffè dei bar non è più buono come una volta. Basta intervistare venti persone chiedendo loro: “Com’è, il caffè, migliore o peggiore che in passato?” E poi mandare in onda tre o quattro di quelli che hanno detto “peggiore”. Gli spettatori, pur sapendo che questo può essere imbroglio, rimarranno con l’idea che “il caffè non è più buono come una volta”.
La televisione va bene per documentari naturalistici, telefilm polizieschi, varietà. E anche in campo politico, religioso, intellettuale è solo spettacolo,  quando va bene. Quando va male  – e va spesso male – è indottrinamento e lezione di maleducazione. Le idee, la cultura, la riflessione – i fatti, perfino! – vanno cercati fuori dalla televisione.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
9 marzo 2010

NIENTE IDEE IN TELEVISIONEultima modifica: 2010-03-10T09:47:00+01:00da gianni.pardo
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