GLI EBREI NON ESISTONO

Gli ebrei appartengono al popolo di Israele. Ma che significa “appartenere”? La comunità, indipendentemente dalla nazionalità, riconosce come proprio membro a) chi è figlio di una donna ebrea e poi, eccezionalmente, b) chi si converte al giudaismo (che non è apostolico). Il postulante dunque sarà riconosciuto come membro della comunità non perché israelita osservante ma solo dopo che avrà superato un apposito esame delle autorità rabbiniche. Non basta, per essere ebrei, avere un padre giudeo ed essere di religione ebraica. Fondamentale ed essenziale è che la comunità fornisca il riconoscimento: gli altri eventuali criteri vanno esclusi. Viceversa rimane ebreo anche colui che rinnega la religione, e diviene ateo e perfino antisemita. Queste formulazioni comportano delle conseguenze.
Se il criterio di appartenenza è il riconoscimento della comunità, l’essere ebrei non è né un fatto religioso né un fatto razziale: è un fatto giuridico. Come la nazionalità. Questa infatti nulla dice sulle caratteristiche di una persona, salvo il fatto che il soggetto è iscritto nella lista dei cittadini. E tuttavia gli israeliti rifiutano con sdegno l’ipotesi dell’“ebreitudine” come nazionalità. Sono talmente convinti che l’appartenenza a questo fantomatico “popolo” sia un fatto, che a loro parere – come si è detto – si rimane ebrei anche se si rifiuta tutto dell’ebraismo. Per essere d’accordo con loro sarebbe però necessario identificare un carattere che, come la razza, sia inerente alla persona al di là della sua volontà. 
Il criterio della nascita non è sufficiente. Esso fornisce da un lato connotati giuridici (si è italiani se figli di italiani) e dall’altro connotati fisici (si è negri se figli di negri). Ma dal momento che nessuno sostiene che gli ebrei abbiano speciali caratteristiche fisiche, quella degli ebrei non è una razza. Sono ebrei anche i falasha, neri di pelle. E per questo verso si è obbligati a tornare al punto di partenza, quello che non piace agli interessati: essere ebrei sarebbe un fatto giuridico come la nazionalità.
Come se non bastasse, la trasmissione della qualità solo per via materna lascia interdetti. Potrebbe infatti trattarsi di un principio che fa riferimento a caratteristiche fisiche e genetiche: sapendo che la madre era sempre sicura mentre il padre non lo era mai (per i romani il padre era “il marito della madre”), gli antichi  potrebbero aver voluto essere sicuri che almeno uno dei due genitori fosse ebreo. E questo riporterebbe alle caratteristiche fisiche, se non che una madre ebrea non trasmette al figlio nulla di diverso rispetto a ciò che trasmettono le altre madri. Il figlio non eredita nulla che non possa trasmettere una madre gentile. Sicché dire che il figlio di una donna ebrea è per ciò stesso ebreo è come se si dicesse che chi ha una madre che ama giocare a scacchi sarà scacchista.
A questo punto non si sa più dove sbattere la testa. Normalmente essere ebrei dovrebbe dipendere soltanto dal professare la religione ebraica, ma gli interessati non sono d’accordo; non li turba l’obiezione che una religione non si eredita; non vedono il connotato “giuridico” della necessità del riconoscimento dei rabbini, in caso di conversione; accettano la possibilità delle conversioni dei gentili, e questo non basta a far loro capire che essere ebrei non è un dato fisico. Non è che un bianco che si converta ad essere negro divenga nero di pelle! Arrivano all’assurdo di ritenere ebreo un ateo figlio di una donna ebrea, mentre non considerano ebreo un ebreo ortodosso nato da padre ebreo e madre gentile. Da capogiro.
Gli israeliti sono convinti che l'”ebreitudine” sia un fatto, non un’opinione, e purtroppo questa idea fa torto alla loro intelligenza. Infatti non è molto diversa da quelle degli antisemiti. Il rabbino che dice all’ebreo ateo “tu sei ancora un ebreo” potrebbe sentirsi rispondere: “E tu sei ancora un imbecille “.
Purtroppo, questa idea del fantomatico “carattere indelebile” è stata a suo tempo condivisa da Hitler. Proprio per questo non bastava la conversione al cristianesimo, per salvarli. Ma quel dittatore, almeno, credeva all’esistenza di una fantomatica “razza ebraica”: cioè era coerente con una delle sue fantasie di paranoico.
Benché gli israeliti credano che “essere ebrei” sia qualcosa di oggettivo, in realtà è solo  una convenzione non diversa da quella per cui si porta il nome del padre e non quello della madre. Una convenzione che purtroppo contribuisce, con la loro collaborazione, a discriminarli.
Gli ebrei non esistono. Sono persone assolutamente identiche a tutti noi, solo di religione ebraica.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
25 aprile 2010

GLI EBREI NON ESISTONOultima modifica: 2010-04-27T09:21:22+02:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “GLI EBREI NON ESISTONO

  1. Sono sostanzialmente d’accordo sulla frase: ” l’essere ebrei non è né un fatto religioso né un fatto razziale: è un fatto giuridico”. Ma è sul termine “giuridico” che bisognerebbe discutere, perché il soggetto trascurato in questo rapporto è quello più importante: Dio. La nascita della nazione ebraica è avvenuta nella forma giuridica di un patto: quella tra Dio e Abramo.
    Aggiungo qualche stralcio dal mio libro “Dalla parte di Israele, come discepoli di Cristo”:

    «E’ noto che alla domanda “chi è ebreo?” sono state date innumerevoli risposte. E’ un interrogativo che oggi travaglia in modo particolare lo Stato d’Israele, perché dalla risposta a questa domanda può dipendere l’ottenimento della cittadinanza israeliana. Ma prima ancora di questa domanda se ne può porre un’altra, che in forma volutamente piatta e banale può suonare così: chi viene prima, gli ebrei o il popolo ebraico? Di solito si procede così: dal magma confuso e disperso su tutta la faccia della terra di individui che per qualche motivo si dicono o sono detti “ebrei” alcuni scelgono una qualche proprietà comune a una parte di loro e arrivano alla conclusione che il vero popolo ebraico è costituito da coloro che soddisfano quella certa proprietà. E’ un processo di generazione dal basso che pone prima i singoli, poi la società. E’ chiaro che la quantità di “popoli ebraici” che si possono generare con procedimenti induttivi di questo tipo è «come la sabbia del mare, tanto numerosa che non la si può contare» (Genesi 32:12).
    Anche gli italiani sono diversi fra loro sotto moltissimi aspetti, e tuttavia l’elemento unitario del popolo italiano non è costituito da qualche proprietà etnica o morale comune a tutti, ma dall’appartenenza ad un’unica nazione, esistente da prima che tutti gli attuali italiani fossero venuti al mondo ed espressa formalmente da una precisa persona: il Presidente della Repubblica.
    Si può dunque dire che sul piano giuridico, che non è pura formalità ma è il piano reale su cui avvengono i rapporti fra gli uomini, esiste prima la nazione, poi il popolo, poi i cittadini.
    La stessa cosa è vera per gli ebrei: prima viene la nazione ebraica, poi il popolo ebraico, poi gli ebrei.

    Non sono gli ebrei che costituiscono la nazione ebraica, ma è la nazione ebraica che genera i suoi figli; non sono gli ebrei che formano il popolo ebraico, ma è il popolo ebraico che iscrive gli ebrei tra i suoi membri. I figli della nazione possono essere degeneri, e i membri del popolo possono rivelarsi trasgressori, ma questo non altera né la posizione costitutiva della nazione, né la funzione statutaria del popolo.

    … l’elemento primario della questione ebraica non è l’ebreo come individuo e neppure il popolo come aggregato multiforme di singoli, ma il concetto di nazione ebraica. L’atto giuridico costitutivo di questa nazione si trova nella promessa fatta da Dio ad Abramo: “Io farò di te una grande nazione” (Genesi 12:2), che più volte è stata ripetuta ed espressa nella forma giuridica di un patto:

    “Quando Abramo fu d’età di novantanove anni, l’Eterno gli apparve e gli disse: «Io sono l’Iddio onnipotente; cammina alla mia presenza, e sii integro; e io fermerò il mio patto fra me e te, e ti moltiplicherò grandissimamente»” (Genesi 17:1-2).

    Quando si fa riferimento a quello che fonda l’unità politica di una nazione e ne stabilisce le regole di comportamento si parla di “patto sociale”. Questo semplice fatto evidenzia che per fissare i fondamenti di una comunità umana vivibile è necessario l’uso adeguato della parola, perché il semplice riferimento allo stato di natura non garantisce niente. O meglio, garantisce soltanto l’anarchia e il dominio del più forte. Non a caso si parla di legge della giungla.
    L’elemento unitario della nazione ebraica si trova nella parola rivolta da Dio ad Abramo, comprendente anche le promesse per la sua discendenza. Ogni volta che il popolo trascura questo elemento unitario proveniente dall’Alto, la sua unità scompare e gli ebrei si disperdono in tutte le direzioni.»

  2. mi dispiace non essere quasi mai in contrasto e quindi rendere il mio commento poco interessante.

    Sono totalmente daccordo con quanto scritto. Inoltre aggiungo che questo e’ un discorso difficilissimo, in quanto la gente reagisce molto male a qualsiasi critica nei confronti del popolo ebraico, per ovvi motivi storici.

    Non credo che G. Pardo non la pensi come me sul seguito: io personalmente trovo assurda la questione di Israele, vedo israele come uno stato eterogeneo, fatto da persone che arrivano da tutte le parti, Russia, Europa America, e adesso si trovano uniti da un credo religioso in una terra che e’ stata continuamente invasa da stranieri, che non e’ la loro.

    Io sono personalmente convinto che la posizione di Israele e’ insostenibile, e il fatto che l’occidente parli solo in cieca difesa, sia controproducente per tutti. Tutta la violenza palestinese che vediamo nella zona, e probabilmente parte di quella che osserivamo nel mondo, credo che abbia come base il problema di Israele e la Palestina. Gli israeliani sono visti come estranei e occupatori.

    Credo che fino a quando coloro che prendono decisioni, e la gente in generale, continueranno a ritenere gli uomini e donne di religione ebraica come speciali, come popolo che ha diritti extra, non risolveremo nulla, non ci sara’ mai pace nella zona.

    Comandassi io, fossi io in una posizione in grado di prendere decisioni, per me la soluzione sarebbe un approccio simile a quello che e’ successo con alcune ex colonie dell’occidente, per esempio Hong-Kong. Si fa un atto di riconoscimento della loro terra ai palestinesi, e si da un certo tempo per restituirle di fatto agli autoctoni, per esempio 50 anni o similia.

    Solo l’annuncio di una cosa simile, porterebbe credo gia’ ad una diminuzione delle ragioni della violenza palestinese, e forse anche nel mondo.

    Certamente ci vogliono politici coraggiosi, che abbiano il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome, che sappiano esprimersi nel rispetto degli ebrei, ma anche riuscendo a fargli capire i diritti storici delle popolazioni locali. Politici anche che riescano a dare i giusti toni di condanna alle incredibili aggressioni violente dei palestinesi, e riescano soprattutto a non presentare la concessione come un premio alla violenza, ma come via per sconfiggerla. Tutto molto difficile insomma.

    MF

  3. Caro Ferraro,
    sono piuttosto imbarazzato, nel risponderle, perché lei è stato tante volte cortese e benevolo, nei miei confronti, che il dissenso di oggi mi è doloroso. Sia magnanimo e me lo consenta.
    1) Non riesco a ben capire una nazione che crea i suoi cittadini piuttosto che l’inverso. Per me i cittadini esistono e la nazione è un’astrazione. Ma forse non capisco bene quello che lei vuol dire. Lo ricordi: sono uno che ragiona terra terra. Ritraggo dalla sua citazione questo concetto: che non è chiaro che cosa sia “il popolo d’Israele”, e che esistono parecchie opinioni, al riguardo, anche presso gli interessati. Mentre per me – il solito viaggiare raso terra – è necessario un criterio identificabile: il registro di stato civile, la qualità dei genitori, le caratteristiche fisiche, ecc.
    2) Non capisco perché gli ebrei sarebbero estranei, in Palestina, mentre non lo sarebbero i giordani (una Palestina come nazione non è mai esistita). Gli ebrei sono molto aumentati con l’immigrazione, dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo il 1948, ma in Palestina ci sono sempre stati. L’intolleranza è un fatto recente: ché anzi riguardo a loro è stata più intollerante l’Europa (anche prima di Hitler) che l’Asia e l’Africa del Nord. Quando gli ebrei furono scacciati dalla Spagna (1492) fu il Califfo che li accolse benevolmente.
    Ma questi sono discorsi lunghissimi. Parliamo d’altro, vuole?

  4. Mi sembra che Pardo non si sia accorto che i commenti all’articolo sugli ebrei sono due. Comunque, per quella parte che mi riguarda (Marcello Cicchese) evidentemente il mio intervento era troppo stringato per essere chiaro e quindi non è stato capito. Chiudiamola qui.

  5. Mi sembra che Pardo non si sia accorto che i commenti all’articolo sugli ebrei sono due. Comunque, per quella parte che mi riguarda (Marcello Cicchese) evidentemente il mio intervento era troppo stringato per essere chiaro e quindi non è stato capito. Chiudiamola qui.

  6. Egregio Cicchese, mi scuso per non avere capito che le firme erano due. Sono un distratto. Come lei, in fondo, che inserisce due volte lo stesso commento. Suvvia, perdoniamoci.
    Rimango invece stupito del fatto che lei reputi “stringato” un commento di quasi settecento parole. E la sfido a dirmi – visto che la prende con qualche alterigia – con non più di cinquanta parole che cosa fa sì che un ebreo sia un ebreo.
    La mia tesi è brevissima: non lo so. Ora aspetto la sua.

  7. Il mio intervento era stringato rispetto al libro sull’argomento da cui è tratto. In ogni caso, il mio voleva essere uno spunto di riflessione, non una competizione. Non raccolgo quindi la sua sfida a duello: si consideri pure vincitore per abbandono. La tesi vincente sarà: «Gli ebrei non esistono».
    P.S. Ho apprezzato i suoi articoli su Fini. Veramente azzeccati.

  8. Caro Cicchese, ma che dice mai? Chi vuole vincere? E come potrei vincere contro uno che sullo stesso argomento ha scritto un libro? Mi creda, non affermo di essere in possesso della Verità e non voglio insegnare niente a nessuno: mi limito a dire che, su questo argomento, non c’è una risposta chiara come questa: è cittadino di un determinato paese chi è nato in quel paese. Questo, in diritto, si chiama cittadinanza iure soli. Sarà discutibile ma è chiarissimo. Ebbene, mi concederà che, riguardo agli ebrei, non c’è nessuna chiarezza comparabile. E se lei stesso ha dovuto scrivere un libro per dare la stessa risposta, è evidente che essa non è affatto semplice ed è dunque molto, molto più discutibile, per non dire opinabile.
    Prima di scrivere su questo argomento ho scambiato qualche lettera con due amici israeliti, uno americano e uno italiano, ambedue colti e in buona fede, che tuttavia non sono riusciti ad aiutarmi, nella mia ricerca, ed anzi – in qualche caso – mi hanno allargato le braccia, parlando di fede, credenze, convinzioni, opinioni, ma niente di razionale. È anche per questo che ho pubblicato il mio articolo: per vedere se tra i lettori ci poteva essere qualcuno che ci illuminasse. Come vede, non cercavo qualcuno da battere, ma qualcuno da cui imparare.
    La ringrazio per il suo apprezzamento riguardo agli articoli su Fini.

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