LA LEZIONE DEL PAKISTAN

ad uso dei buonisti della politica


Viviamo in un’epoca in cui fanno fare un’indigestione quotidiana di morale, di ideali, di legalità. Per questo, se chiedessimo a chiunque: “Perché il Pakistan si è alleato con Bush contro i Taliban?” probabilmente avemmo come risposta: “Perché i Taliban proteggevano i terroristi e maltrattavano la popolazione”. Una risposta ingenua. I più colti e i più avvertiti risponderebbero: “Perché questo corrispondeva per qualche motivo ai loro interessi. Tutti gli Stati agiscono solo nel proprio interesse: è l’égoïsme sacré, il sacro egoismo di cui si parlava una volta”. Naturalmente questo punto di vista è infinitamente più serio di quello delle anime belle. È rispettabilissimo e normalmente il più valido, ma nel caso specifico è ancora “troppo buono”.
Su Stratfor, la stimatissima rivista americana di geopolitica, il 28 aprile 2010 è comparso un articolo firmato da Peter Zeihan dal titolo “Three Points of View: The United States, Pakistan and India”, in cui apprendiamo fra l’altro come mai il Pakistan – un paese musulmano che è nato proprio per essere musulmano – si sia trasformato nel migliore alleato degli Stati Uniti contro i Taliban.
Scrive Zeihan (1) che: dopo gli attentati dell’11.9.2001 “L’allora segretario di Stato Colin Powell chiamò l’allora presidente pakistano Gen.Pervez Musharraf per informarlo che egli avrebbe assistito gli Stati Uniti contro al Qaeda e, se necessario, contro i Taliban. La parola-chiave, qui, è “informarlo”. La Casa Bianca aveva già parlato con i leader di Russia, Regno Unito, Francia, Cina, Israele e, soprattutto, India, e ne aveva avuto il consenso. A Musharraf non si dava la scelta, nella questione. Gli si rendeva chiaro che se rifiutava l’assistenza, gli americani avrebbero considerato il Pakistan una parte del problema piuttosto che una parte della soluzione, e tutto questo con la benedizione della comunità internazionale”. Naturalmente l’imposizione non poteva far piacere a Musharraf, ma il suo Paese non aveva scelta. Per questo, “il Pakistan si apprestò ad obbedire non soltanto per paura degli americani, ma anche per paura di un possibile e devastante schieramento di Stati Uniti ed India contro il Pakistan riguardo al terrorismo islamico nel solco degli attacchi di militanti del Kashmir contro il parlamento indiano che condusse quasi alla guerra l’India e il Pakistan a metà del 2002. Per tutto questo il governo di Musharraf si adeguò, ma soltanto nella misura in cui poteva permetterselo, data la sua posizione delicata (2)”.
Come si vede, nessun grande ideale, nessuna condivisione politica sulla necessità di combattere un fenomeno orribile come il terrorismo, nessun preciso interesse del Pakistan: puramente e semplicemente una pistola puntata alla tempia. Una minaccia non solo dei malvagi Stati Uniti, ma anche della Francia, della Gran Bretagna, e perfino della Cina, così a lungo terzomondista. “O fai come diciamo noi, quali che siano i costi che dovrai pagare, o guai a te”. Con buona pace della sovranità del Pakistan.
Riportiamo l’episodio per irridere i molti che, quando si discute di politica internazionale, obiettano che ciò che viene loro citato, riguarda il passato. “Oggi cose del genere non sono più possibili”, dicono. In realtà gli Stati si comportano fra loro come bestie selvagge. Finché è sazio, il leone guarda distrattamente la gazzella che gli passa vicino; viceversa qualunque animale, anche un erbivoro, se si sente in pericolo di vita, diviene feroce. Il facocero è un suino ed evita i predatori: ma se è costretto a difendersi, può essere pericoloso per qualunque animale. Nel caso del terrorismo islamico, dopo l’11 settembre del 2001, si è avuta la combinazione più esplosiva: non si è sentito in pericolo di vita il facocero, ma addirittura l’elefante. In quei giorni, ascoltando le parole di George W.Bush, si è capito che non ci sarebbe stata tolleranza per nessuno. Il pachiderma statunitense, ferito e spaventato, avrebbe attaccato chiunque e tutti avrebbero fatto bene a non mettersi di traverso, perché il carro armato della Casa Bianca gli sarebbe passato addosso senza pietà.
La politica internazionale non è ciò di cui si ciancia all’Onu; non è ciò che si legge sui giornali, quando si discetta di diritto internazionale, di rispetto della sovranità dei popoli, ecc.: tutte le regole della buona creanza valgono quando la casa non va a fuoco. Quando il pericolo è mortale, sopravvive solo il più forte; e se per farlo deve uccidere, lo farà. Inutile illudersi.
A volte l’alternativa non è tra guerra e trattativa, come credono molti, ma tra guerra e morte.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
30 aprile 2010

(1) “Then-U.S. Secretary of State Colin Powell called up then-Pakistani President Gen. Pervez Musharraf to inform him that he would be assisting the United States against al Qaeda, and if necessary, the Taliban. The key word there is “inform.” The White House had already spoken with — and obtained buy-in from — the leaders of Russia, the United Kingdom, France, China, Israel and, most notably, India. Musharraf was not given a choice in the matter. It was made clear that if he refused assistance, the Americans would consider Pakistan part of the problem rather than part of the solution — all with the blessings of the international community”.
(2)Pakistan complied not just out of fears of the Americans, but also out of fears of a potentially devastating U.S.-Indian alignment against Pakistan over the issue of Islamist terrorism in the wake of the Kashmiri militant attacks on the Indian parliament that almost led India and Pakistan to war in mid-2002. The Musharraf government hence complied, but only as much as it dared, given its own delicate position.

LA LEZIONE DEL PAKISTANultima modifica: 2010-04-30T12:28:43+02:00da gianni.pardo
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