LA PEDOFILIA, LA CHIESA E LA LEGA CALCIO


Nei mesi recenti si è parlato fin troppo di pedofilia nella Chiesa. Questo scandalo sarebbe stato comprensibile se non avesse avuto due caratteristiche insolite: i fatti, invece di essere recenti, risalgono ad anni, spesso a decenni fa e poi si è voluto che il biasimo, invece di ricadere sui colpevoli, ricadesse sui prelati e sul Papa. Alle alte gerarchie si è rimproverato di non avere denunciato i colpevoli all’autorità giudiziaria, preoccupandosi più del buon nome della Chiesa che dei minori violentati.
Per quest’ultima accusa la risposta è facile: potendo evitare un danno, chiunque lo evita, sia pure a spese del codice morale o del codice penale. Per conseguenza, prima di ergerci a giudici dei prelati, dovremmo dimostrare che noi, se una sera abbiamo guidato dopo avere abbondantemente bevuto, la mattina dopo siamo andati volontariamente a consegnare la patente nella caserma della polizia stradale; che quando nostro figlio ha pomiciato con la servetta, invece di fargli un’enorme lavata di capo, l’abbiamo denunciato per corruzione di minori, ecc. Prima di chiedere agli altri virtù eroiche, dovremmo essere in grado di praticarle noi stessi. E se al contrario siamo tutti peccatori, è bene lasciare da parte la legna del rogo.
Non si cercano giustificazioni: nessuno tuttavia ignora che la tentazione dell’omosessualità e della pedofilia è più forte in tutti i casi in cui la sessualità non può avere la sua normale espressione. È questa la ragione per la quale questa peste ha tendenza ad attecchire nei collegi, nelle carceri, sulle navi e dovunque non si abbia la normale possibilità di incontri con l’altro sesso. Fra coloro che conoscono per esperienza il peso della castità ci sono i vescovi, gli abati e i cardinali e questo potrebbe contribuire a spiegare qualche comportamento indulgente. E comunque essi non hanno, come i pubblici ufficiali, l’obbligo della denuncia.
A parte queste ovvie considerazioni, stupisce che non sia stata avanzata, a proposito delle gerarchie ecclesiastiche, un’osservazione che fa vedere l’intero caso sotto una luce particolare.
Certe organizzazioni tendono a formare un blocco unito ed autonomo, quasi chiuso all’esterno. Se un giocatore di calcio, commettendo un fallo, rompe la tibia ad un avversario, i tifosi e i giornali si aspettano che la “giustizia sportiva” reagisca adeguatamente; che il colpevole sia espulso, che sia multato, che abbia due, tre, quattro “giornate” di squalifica; ma non si pensa al fatto che si tratta di lesioni specificamente previste dal codice penale. Nella mentalità corrente questo è un “illecito sportivo” di cui si deve occupare la giustizia sportiva.
E se questo vale per la Lega Calcio, figurarsi se non vale per la Chiesa Cattolica.     Da secoli, essa si regola con un codice di diritto canonico, giuridicamente apprezzabilissimo, e fino alla Rivoluzione Francese, salvo errori, ha avuto il diritto esclusivo di giudicare i religiosi, qualunque reato avessero commesso. In Italia l’indipendenza del clero ha addirittura preso, per secoli, l’aspetto di uno Stato indipendente. Si comprende allora che per i religiosi l’idea di ricorrere ai carabinieri non è normale come per noi laici. Gli appare incongrua come arrestare sul campo di calcio un giocatore colpevole di lesioni.
L’ordinamento giuridico della Chiesa è naturalmente fondato, oltre che sul diritto romano, sulla dottrina cristiana. Anche se in passato si è fatto ricorso agli autodafé e anche se, ai tempi del Papa Re, Mastro Titta ha saputo maneggiare benissimo la ghigliottina, la massima pena per la religione cattolica non è il carcere: è l’inferno. Dunque le prime pene cui pensano le gerarchie vaticane, quando si tratta del clero, sono di tipo religioso: il trasferimento, la sospensione a divinis, la riduzione allo stato laicale e, al limite, la scomunica. Cioè la condanna all’inferno.
È vero che a proposito della pedofilia la Chiesa è divenuta molto più sensibile a questo genere di denunce; è vero che, molto più di un tempo, si dimostra disposta ad accettare l’intervento dell’autorità civile: e tutto questo è un bene. Ma giudicare il passato col metro del presente è – a dir poco – antistorico.
I prelati e i Papa non sono colpevoli di nulla e dovrebbero essere lasciati in pace. In passato sbrigavano la faccenda in segreto, oggi invitano alla pubblica denuncia, in ambedue i casi appartengono al loro tempo. E forse tutta questa levata di scudi risponde soltanto al vile desiderio di pugnalare una Chiesa già ferita dalla progressiva scristianizzazione.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
26 aprile 2010

LA PEDOFILIA, LA CHIESA E LA LEGA CALCIOultima modifica: 2010-05-01T10:07:58+02:00da gianni.pardo
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