L’IRA DELL’ELEFANTE INTERCETTATO

Un giorno faceva particolarmente caldo, nella savana, e tutti gli animali avrebbero voluto beneficiare dell’ombra dell’unico, grande baobab. Sotto le fronde si ripararono dunque gnu, facoceri, leopardi e gazzelle e, visto quanto si stava meglio, lì, la siesta sotto l’albero divenne una sorta di gradevole abitudine. Purtroppo presto non ci fu abbastanza posto per tutti e gli animali furono costretti a tenere consiglio per stabilire un turno.
Bisognava beneficiare dell’ombra in ordine alfabetico, proposero le antilopi, con grandi proteste delle zebre. No, in ordine di grandezza, dissero i bufali. E qui si udirono molte voci contrarie:  dal momento che un bufalo occupava uno spazio in cui sarebbero entrati chissà quante gazzelle di Thomson, bisognava attribuire i metri per specie. Alla fine ci si mise d’accordo su quest’ultima soluzione, escludendo però gli elefanti, le cui dimensioni erano incompatibili con una normale democrazia. La cosa fu votata all’unanimità, con l’eccezione dei pachidermi, naturalmente. Questi prima si opposero con validi argomenti giuridici, poi, visto che non erano ascoltati, persero la pazienza e fecero ruzzolare via a colpi di proboscide tutti quelli che gli si pararono davanti. Incluso un paio di increduli leoni. E così l’ombra del baobab fu tutta per il loro branco.
Nella savana si seppe così che il leone non è “il re della foresta”: in primo luogo perché vive nella savana e poi perché se c’è un re, nella savana, si chiama elefante.
Tutta questa storia è un apologo riguardante la nuova legge sulle intercettazioni. Politici, magistrati e giornalisti si sono divertiti un mondo, con le intercettazioni. Indubbiamente esse sono anche servite a catturare delinquenti – si badi all’“anche” – ma la funzione che oggi fa tanto discutere è stata la possibilità di denunciare scandali, veri o falsi, formulare mille accuse, raccontare infiniti pettegolezzi e infine di dar luogo a continue battaglie politiche. In particolare contro il centro-destra: infatti la maggior parte dei media, dei giornalisti e dei magistrati è di sinistra.
Tutti hanno dimenticato che anche in democrazia il governo, quando è sostenuto da una solida maggioranza, è l’elefante. Esso tollera a lungo – è un erbivoro, infatti, non un carnivoro – ma a tutto c’è un limite. Se i magistrati passano documenti riservati ai giornalisti, se i giornalisti li usano per le loro battaglie politiche (anche contro privati che poi sono assolti, o anche contro terzi innocenti ed estranei), è normale che alla fine l’elefante reagisca con la forza che ha. In questo caso il potere legislativo. Se, per un amore tutt’altro che disinteressato per la “democrazia” si vuole addirittura ribaltare la legge di natura per cui prevale il più forte, si induce quest’ultimo a fare uso del suo nudo potere.
Questo ragionamento trova una dimostrazione elementare considerando che il problema non esisterebbe se i magistrati osservassero il dovere del segreto istruttorio. Essi invece lo violano con impudente regolarità e poi,  dal momento che chi dovrebbe indagare su questo delitto (così lo qualifica il codice) sono loro stessi, avviene che per caso non trovino mai un colpevole. Il comportamento di troppe procure della Repubblica fa pensare al crimine di fellonia: l’infedeltà al potere da cui si dipende e dei cui benefici si vive. Il risultato è che il sovrano alla fine va giustamente in collera e non è detto che la sua spada si limiti ad accarezzare i colpevoli.
Il vero scandalo delle intercettazioni è l’uso esagerato ed immorale che se ne è fatto. Che ciò poi comporti reazioni pesanti e magari esagerate, non stupisce. Anche l’uomo più mite è indotto, in certe condizioni, a profittare dell’esimente della legittima difesa.
Proprio per queste ragioni non ci si sente di sostenere le proteste dei giornalisti e di ascoltare con simpatia le loro grida da vergini violentate a proposito della libertà di stampa. Un Paese in cui i magistrati violano costantemente le leggi non ne può invocare la sacralità.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
25 maggio 2010
P.S. Queste considerazioni sarebbero valide se, nel nostro caso, l’elefante non fosse alto settanta centimetri.

L’IRA DELL’ELEFANTE INTERCETTATOultima modifica: 2010-05-26T09:28:27+02:00da gianni.pardo
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