GIORGIO NAPOLITANO HA TORTO

Nel trentesimo anniversario del disastro di Ustica Giorgio Napolitano ha inviato un messaggio (1) di partecipazione al lutto e al dolore alla presidente dell’associazione Parenti delle Vittime. Ma ha aggiunto anche quanto segue: “Occorre il contributo di tutte le Istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera di quanto accaduto, che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni”. E queste parole non sono per nulla condivisibili.
La ricerca della verità è un piacere: si pensi agli scienziati e agli storici. Essa è però un dovere quando avviene un fatto delittuoso. In questo caso, anche in vista della punizione degli eventuali colpevoli, ufficiali di polizia giudiziaria, magistrati ed esperti di ogni branca fanno tutto il possibile per stabilire come sono veramente andate le cose e infine presentano le loro conclusioni in pubblici dibattiti, quali sono i processi penali. Infine, sulla base delle risultanze, il giudice emette il suo verdetto. La sentenza, naturalmente, non rappresenta “la proclamazione della verità” (concetto vagamente filosofico e comunque estraneo al diritto) ma l’affermazione di una “verità processuale”. È come se il giudice – singolo o collegiale – dicesse: “Io sento che le cose sono andate così”. E infatti “sentenza” deriva dal verbo “sentire”.
Qualcuno, sconsolato, potrebbe a questo punto osservare che, proprio sui fatti che più allarmano la società e suscitano un’autentica ansia di giustizia, dobbiamo fermarci all’opinione di uno o pochissimi uomini. E infatti è proprio così. Non c’è una soluzione migliore. Tutto quello che si poteva fare – e che si fa – è innanzi tutto scegliere una persona che, competente di diritto, non sia implicata emotivamente nella vicenda (“giudice naturale”, cioè predeterminato), in modo da avere un giudizio quanto più è possibile spassionato (“giudice terzo”); poi si evita che sui fatti più gravi decida un solo uomo e infatti la Corte d’Assise è composta di parecchie persone;  infine si fa sì che la stessa materia possa essere giudicata da più di un giudice: ed ecco i gradi di giudizio, fino alla Corte di Cassazione; ma oltre la Corte di Cassazione non si va. A quel punto, che la conclusione sia plausibile o discutibile, la giustizia umana ha detto la sua. Al massimo si può sperare – solo sperare – che gli storici stabiliscano meglio i fatti, quando fossero disponibili fonti più complete o più affidabili. Nulla di più.
Napolitano, dopo trent’anni, parla di “ulteriore sforzo” “che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni” e gli si potrebbe chiedere quale ulteriore sforzo, e compiuto da chi, dal momento che l’iter giudiziario è concluso. Inoltre, chiedere che questa ricerca della verità “rimuova le ambiguità” eccetera corrisponde a dire che, fino ad oggi, qualcuno poteva farla sapere, la verità, ed ha voluto nasconderla.
Il supremo magistrato non può esprimersi come un giornalista televisivo. Egli ha il dovere o di credere alla magistratura di cui, in quanto presidente del suo Consiglio Superiore,  è il membro più autorevole, oppure di denunciare con nome e cognome chi si è reso indegno di questa nobilissima casta e dei suoi imprescindibili imperativi etici. Esprimendosi come ha fatto egli si schiera col “sospetto nazionale”. Se qualcosa non si sa, per molti professionisti della teoria del complotto universale, è perché qualcuno vuole che non si sappia. Perché si vuole nascondere la verità a chi è senza potere e attende giustizia.
Questo atteggiamento da frustrati è inammissibile in chi è uno di coloro che quella verità dovrebbero trovarla, quella giustizia dovrebbero applicarla, quel coraggio della trasparenza dovrebbero averlo. Insomma Napolitano predica contro se stesso e contro una classe dirigente di cui fa parte da tempo immemorabile.
Si può capire che si vogliano esprimere delle condoglianze; si può capire che si voglia manifestare la propria umanità e la propria partecipazione; si può perfino manifestare comprensione per il sentimentalismo nazionale, ma bisognerebbe anche badare alle parole che si usano. Il sospetto indiscriminato, così caratteristico di un popolo, come quello italiano, che non sente né fiducia né stima, riguardo ai propri governanti, non può estendersi, senza rischiare il ridicolo, ai governanti stessi. È come se l’autista del pullman dicesse ai passeggeri: “Fareste bene a guidare con più perizia e con più prudenza, avete quasi investito quell’automobile”.
Stavolta il Presidente della Repubblica ha perso una buona occasione per risparmiare alcune parole di troppo.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
26 giugno 2010

(1) «Nella ricorrenza del trentesimo anniversario del disastro di Ustica, rivolgo il mio pensiero commosso a lei Presidente e a tutti i famigliari di coloro che hanno perso la vita in quella tragica notte. Il dolore ancora vivo per le vittime si unisce all’amara constatazione che le indagini svolte e i processi sin qui celebrati non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico evento e di individuarne i responsabili. La tenace dedizione e l’anelito di verità e giustizia con i quali l’Associazione da lei presieduta perpetua il ricordo di quel 27 giugno 1980 trovano la nostra piena comprensione. Occorre il contributo di tutte le Istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera di quanto accaduto, che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni. Nel sempre doloroso ricordo delle 81 vittime, esprimo a lei e ai famigliari dei caduti la partecipe vicinanza mia e della intera Nazione». (Ansa)

GIORGIO NAPOLITANO HA TORTOultima modifica: 2010-06-26T18:12:38+02:00da gianni.pardo
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