SI PUO’ SALVARE LA SCUOLA ITALIANA?

La scuola è essenzialmente composta da docenti e discenti. Queste due categorie non sono statiche. Gli studenti delle scuole superiori cambiano totalmente nel giro di cinque anni (nella Media Inferiore nel giro di tre), e anche i docenti cambiano, seppure più lentamente: in capo a 25-35 anni il corpo docente si rinnova nella sua interezza.
La conseguenza di tutto questo è che i professori, se pure con qualche lustro di ritardo, sono figli del loro tempo. Se dunque da ragazzi hanno frequentato una scuola poco efficiente, e sono stati promossi con troppa facilità, partono con un concetto sbagliato dell’impegno necessario. Inoltre spesso hanno frequentato un’università che li ha fatti magari sudare, ma non sempre sulle cose giuste. Per esempio, nella facoltà di matematica non si insegna didattica della matematica e nella facoltà di lingue non s’insegna seriamente la lingua di specializzazione: i professori d’inglese capaci di parlare correntemente inglese sono l’eccezione.
I docenti non sono soltanto la causa del livello della scuola italiana: ne sono anche la conseguenza. Dalla fine degli anni Sessanta a tutti gli anni Settanta  e seguenti si sono predicate ed applicate teorie demenziali. È dunque normale che ancora  in questo secolo si risenta di un marasma mentale fatto di permissivismo, ribellismo, spontaneismo, velleitarismo e di uno psicologismo d’accatto appena orecchiato che, soprattutto nella Media inferiore, giustificava qualunque abisso d’ignoranza. Una scuola permissiva e di manica larga va benissimo tanto a professori poco qualificati quanto a studenti sfaticati.
Alla domanda se si possa salvare la scuola italiana, riportandola ad un accettabile livello medio europeo, la risposta è: in concreto, no. È troppo difficile rinunciare a tutti i vantaggi accumulati. Nel corso degli anni si è stabilito:
1)    che non si può interrogare di lunedì, perché la domenica deve essere spensierata. Ed anche il sabato pomeriggio;
2)     non si può essere rimandati a settembre perché l’estate è consacrata ai divertimenti e non bisogna interferire con le vacanze dei genitori;
3)     se i ragazzi non studiano, bisogna punire i professori, costringendoli a tenere (brevi e del tutto inutili) corsi di ricupero. Corsi che alcuni professori schivano promuovendo tutti;
4)     gli alunni non possono essere rimproverati duramente dai professori, né per il comportamento né per il profitto, diversamente i genitori si precipitano a scuola a chiedere la testa dell’impudente professore. “Il ragazzo potrebbe rimanere traumatizzato”;
5)     gli alunni non possono sentirsi dire sul muso, e pubblicamente, che sono insufficienti in una materia. Per questo, niente voti pubblici sul tabellone: a questo punto sono viziati e fragili;
6)     prima, ante Christum natum, alla maturità si facevano esami scritti su tutte le materie che comportavano lo scritto, agli orali si rispondeva su tutte le materie e il programma era quello di tutti e tre gli ultimi anni. I “maturati” rivivevano l’esame, come incubo, per i successi due o tre decenni. Poi l’esame si è svolto con due soli scritti e soltanto quattro materie orali – di cui due a scelta del candidato – rispondendo solo sul programma dell’ultimo anno;
7)     per evitare che i ragazzi non siano in grado di superare con un salto questa crudele asticella posta a trenta centimetri dal suolo, le materie sono annunciate in aprile. Così anche i somari possono preparare qualcosa, per l’immancabile benedizione di giugno;
8)     ci si è pure accorti che i voti sono brutali e sommari. Dunque, anche nella Media Inferiore, si sono introdotti complicati ed esoterici giudizi, capaci di degradare il comportamento di Caligola a innocenti ragazzate. Al riguardo ecco un esempio significativo.
In quinta liceo scientifico mi arrivò un alunno pensoso e gentile ma di un’ignoranza totale. Quando lo interrogavo diceva solo “impreparato” e anzi presto prese l’abitudine di chiedere d’uscire appena arrivavo. Io gli accordavo il permesso alzandomi cerimoniosamente e dicendogli con un inchino:  “Mais je vous en prie, Monsieur, je vous en prie!” (Ma la prego, ma la prego! ). A fine anno, scrissi testualmente nel giudizio: “Giunto quest’anno nella sezione D, questo alunno ha dimostrato un totale disinteresse per la mia materia. Ignoro la sua preparazione tanto in lingua quanto in letteratura francese, perché in tutto l’anno ha saputo dirmi una sola parola: ‘impreparato’. E l’ha detta in italiano”.
Naturalmente fu ammesso agli esami di maturità. E per evitare lo scandalo presso i compagni il collega di matematica, membro interno, dovette anzi battersi perché la commissione (di sinistra) non gli desse il massimo dei voti.
Erano i mitici Anni Settanta e gli alunni di quel tempo oggi siedono in cattedra. Risalire da questo mondo al livello di una scuola seria sembra più difficile che scalare il Cervino in inverno, scalzi, e portandosi la suocera sulle spalle.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
28 giugno 2010

SI PUO’ SALVARE LA SCUOLA ITALIANA?ultima modifica: 2010-06-28T11:59:38+02:00da gianni.pardo
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