DUE ARTICOLI SU DELL’UTRI E LO STALLIERE MANGANO

Mi scuso per l’abbondanza di testi inviati oggi, ma i due che seguono sono di stretta attualità e possono essere letti anche soltanto da chi è interessato alla vicenda di Dell’Utri e dello stalliere Mangano.

VITTORIO MANGANO, EROE
In questi giorni si è riesumata la diatriba nata dal fatto che Marcello Dell’Utri ha definito lo stalliere Vittorio Mangano, condannato per mafia, un “eroe”. Come, un mafioso “eroe”? E qual è stato, il suo eroismo, quello di rubare, quello di estorcere il pizzo, quello di uccidere innocenti?
Ecco un argomento facile facile, che perfino un fanatico di sinistra può capire. Purtroppo la lingua non sempre è facile facile. Come diceva Pitigrilli, ad alcuni si può dire “non uscire senza ombrello”, ché lo capiscono, mentre ad altri, se non si vogliono correre rischi, bisogna intimare “esci col paracqua”.
Dell’Utri, e Silvio Berlusconi che lo ha seguito su questa strada, non hanno voluto dire che un mafioso è un eroe. Hanno voluto dire che un mafioso che compie un’azione lodevole e costosa, ai limiti del sacrificio, merita ammirazione.
Per fare capire questo concetto estremamente arduo, si utilizzerà un argomento che non richiede nemmeno il fatto di saper leggere e scrivere. Basterà essere in grado di andare al cinema.
Nel 1959 fu girato un film con la regia di Mario Monicelli e con Alberto Sordi e Vittorio Gassman protagonisti, il cui titolo era “La Grande Guerra”. Due fanti fifoni o addirittura vigliacchi cercano disperatamente di imboscarsi, di non correre rischi e di non combattere. Purtroppo sono fatti prigionieri dagli austriaci i quali li pongono dinanzi all’alternativa: o tradire i compagni o morire. E i due, seppure piagnucolando e senza grandi gesti, muoiono da eroi, perché chi sceglie di soffrire o di morire in nome di un’idea, o di una lealtà, è comunque un eroe.
In questo senso il mafioso Mangano merita ammirazione. Non per essere stato un mafioso, non per avere commesso reati da mafioso, ma per come ha reagito, in galera, quando avrebbe potuto migliorare la propria situazione al prezzo del suo onore di uomo, seppure ex delinquente. È proprio questo che dice diffusamente Dell’Utri, nell’intervista di oggi a Felice Cavallaro, sul Corriere della Sera (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=SK44S): “Se avesse inventato anche una minima cosa, una parolina contro di me e Silvio [per esempio che quando parlava di cavalli in realtà parlava di droga], sarebbe uscito subito fuori, senza morire in cella di cancro. Io al suo posto forse non avrei resistito”.
Ecco in che senso a parere di Dell’Utri Mangano è stato un eroe. Non è stato certo un fulgido esempio di onestà, per tutta la vita. Come i due fanti della Grande Guerra, si può essere tendenzialmente codardi ed essere poi costretti a scegliere: o ricevere il marchio di vigliaccheria o morire con dignità. La scelta deciderà la definizione finale della persona. Ecco perché i due vigliacchi del film furono due eroi di guerra. Nello stesso modo, il mafioso Mangano non è stato un esempio, nella vita civile, ma è morto da eroe della verità e della lealtà.
Poi, certo, tutto questo si può anche non capire. Ci sono persone per le quali anche un film come “La Grande Guerra” è troppo difficile. Loro possono capire solo le parole di Antonio Di Pietro.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
30 giugno 2010

DI CHE COSA È COLPEVOLE DELL’UTRI
Chi si accosta ai processi penali, ha l’obbligo di farlo con estrema cautela. Innanzi tutto perché si tratta sempre dell’anima e del sangue di persone vere e poi perché è ben raro che si disponga di elementi tali da formarsi un giudizio assolutamente ben fondato. Bisognerebbe avere letto tutti gli atti del processo (in alcuni casi decine di migliaia di pagine) e avere assistito a tutte le udienze. L’impegno di una vita.
Proprio per queste ragioni abbiamo sempre saputo, come tutti, che Marcello Dell’Utri è accusato di reati mafiosi, ma non abbiamo mai capito esattamente di quali fatti. Ora è intervenuta la sentenza della Corte d’Appello di Palermo e, coniugandola con le notizie di stampa, sembra si possano formulare le seguenti frasi: Marcello Dell’Utri è stato accusato di avere, già prima del 1992, e cioè quando i contatti tra l’impresa di Berlusconi e la Sicilia erano costituiti dalle antenne televisive e dalla Standa, commesso il reato di contiguità con la mafia (non sapremmo come meglio definire il “concorso esterno”), solo per favorire quelle imprese; ma viceversa è stato anche accusato di avere, dopo il 1992, e cioè negli anni in cui fu poi fondata Forza Italia, contribuito al successo di questo partito colludendo con i capimafia, organizzando le stragi e commettendo ogni sorta di reati. Nel primo caso si trattava di proteggere le imprese milanesi, nel secondo si trattava di sfasciare lo stato per consegnarlo a Berlusconi. La sentenza ora dice che la seconda accusa è campata in aria. Il fatto non sussiste e per questa parte il senatore è assolto. Rimane la prima accusa, per la quale sono stati inflitti sette anni di carcere.
Prima conseguenza: almeno a parere della Corte d’Appello, tutto ciò che di politico è stato scritto e detto, riguardo al processo Dell’Utri, e alla nascita di Forza Italia, è puro chiacchiericcio. Del resto l’accusa stessa è sempre apparsa assolutamente fantasiosa e molto più vicina alla dietrologia dei perdigiorno che del buon senso. Ma non è il caso di parlarne ancora.
Rimane l’accusa (e la condanna) per i fatti precedenti il 1992. Fatti che noi non sappiamo quali siano, anche se pare che in sostanza si tratterebbe di “pizzo”. Dell’Utri avrebbe trattato con i capimafia per ottenere che la Standa e la rete televisiva di Berlusconi non subissero attentati. Quanto ciò fosse verosimile è dimostrato dal fatto che il 18 gennaio 1990 la Standa di Catania, un grande edificio di parecchi piani, inaugurata da poco, fu completamente incendiato, con danni enormi. E probabilmente l’incendio dimostra anche a qual punto la Standa fosse disposta a resistere al ricatto. Ma i fatti dimostrarono che mentre la minaccia mafiosa era perfettamente credibile, la protezione dello Stato era poco credibile.
Ora il ragionamento – sempre che i fatti siano questi – è bifronte. Da un lato si può sostenere che chi paga i mafiosi per non subire attentati, con ciò stesso si mette d’accordo con loro (concorso esterno) e per giunta li finanzia (ancora concorso esterno); dall’altro si può sostenere che chi paga i mafiosi per non subire attentati si piega al ricatto (è dunque una vittima) e dal momento che deve continuare a pagare le tasse, si trova a pagarle due volte, una prima volta allo Stato, che non lo protegge, e una seconda volta ai mafiosi, che lo proteggono da se stessi. Se questa è la realtà, il lettore può giudicare da sé.
Una sola cosa è sicura: chi vuole stare tranquillo e non correre rischi è bene che non ponga in essere iniziative imprenditoriali né in Sicilia, né in Campania, né in Puglia, né in Calabria, con buona pace di coloro che sognano un rilancio del Meridione. Quando questo Stato sarà più capace di punire più i colpevoli che le vittime se ne potrà riparlare.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
30 giugno 2010

DUE ARTICOLI SU DELL’UTRI E LO STALLIERE MANGANOultima modifica: 2010-06-30T17:31:41+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “DUE ARTICOLI SU DELL’UTRI E LO STALLIERE MANGANO

  1. Totalmente daccordo. Io aggiungerei che “la notizia” che i giornalisti dovrebbero enfatizzare, non e’ il fatto che dell’Utri chiama “il mio Eroe” mangano, ma al contrario il fatto che egli abbia detto ripetutamente che Mangano era pressato dalla magistratura per ottenere informazioni contro il presidente del consiglio, e che se le avesse ottenute egli sarebbe immediatamente uscito di galera.

    Questa e’ la notizia. A mio parere una notizia dirompente in quanto se quello che dell’Utri dice fosse vero, significherebbe che siamo veramente in un regime fascista e liberticida (chi non si allinea al pensiero comune, e osa fare politica “contro” deve soccombere).

    Forse il giornalismo italiano e’ il nostro male. Non esiste un giornale indipendente che si occupi di queste affermazioni, ne dia la giusta rilevanza o faccia una inchiesta indipendente a riguardo.

    Per questo io – per esempio – mi informo tramite l’ansa (www.ansa.it) e la mia home-page, e uno dei miei “editorialisti” e’ il G. Pardo.

    MF

  2. La ringrazio.
    Ciò che lei dice è ineccepibile. Se io – colpevolmente – non l’ho messo in evidenza è perché, purtroppo, consideravo la cosa ovvia. Siamo a questo punto.

  3. Purtroppo, caro GIanni, in Sicilia non si può costituire alcuna azienda senza che si scenda a patti con la mafia, o con la sua protezione che dir si voglia e chi invece non vuole sottostare a questi ricatti deve scappare e rinunciare.
    Dico ciò non per sentito dire ma a ragion veduta (è capitato a miei conoscenti)e mi dispiace perchè so che è il suo paese. Oggi non so come vanno le cose ma è stato terribilmente vero fino agli anni ’80.

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