MEGLIO IN GALERA CHE IN MANICOMIO

L’ “assoluzione” di Massimo Tartaglia per le lesioni personali inflitte a Silvio Berlusconi in Piazza del Duomo, a Milano, è uno di quegli avvenimenti che, dal punto di vista socio-politico, sembrano rappresentare una sconfitta per tutti.
Per correttezza, bisogna sgombrare il terreno da qualche equivoco. Nulla impedisce che le perizie psichiatriche che hanno dichiarato quel perito elettronico incapace di intendere e di volere siano perfettamente giustificate dal punto di vista scientifico. Non possediamo nessun elemento né per contestarle né per approvarle. E dunque nulla impedisce che la sentenza che riguarda il Tartaglia sia giuridicamente perfetta. Ma non esiste solo il punto di vista tecnico.
Dal punto di vista politico, il proscioglimento di quell’uomo rappresenta un autogol per la magistratura e per la sinistra. L’abbiamo detto: la sentenza sarà pure ineccepibile dal punto di vista giuridico ma la gente, soprattutto quella che vota per il centro-destra, la leggerà brutalmente così: “Un tizio ferisce gravemente Berlusconi e i giudici, che sono d’accordo con lui e in cuor loro l’applaudono, vorrebbero assolverlo. Poi, dal momento che il fatto è avvenuto sotto gli occhi delle telecamere ed è dunque innegabile, lo assolvono in un altro modo, dichiarandolo non punibile come un ragazzino di undici anni”. Il competente potrà anche insistere. Potrà dire che ben può avvenire che chi vorrebbe uccidere il Cavaliere sia un pazzo: ma sarà sempre guardato con occhi scettici. E alla fine potrebbe essere trafitto da una domanda: “Sarebbero andate così, le cose, se quel tale avesse ferito Antonio Di Pietro, Dario Franceschini  o Guglielmo Epifani?”
Dal punto di vista sociale, si può rimanere perplessi anche per quanto riguarda lo stesso imputato. Se Massimo Tartaglia avesse fatto qualche anno di carcere, sarebbe rimasto per tutta la vita colui che ha avuto il coraggio di agire secondo l’odio che milioni di italiani sentono per Silvio Berlusconi.  Per così dire, l’unico capace di passare all’azione e pagare di persona. Il regicida commette un reato, ma un reato disinteressato e magnanimo, basti dire che un comune della Toscana solo per un pelo non è riuscito ad elevare un monumento a quel tale Bresci che assassinò Umberto I. Viceversa, prosciogliendolo, da un lato lo si declassa a povero demente – e dunque è da dementi voler togliere di mezzo Berlusconi? – dall’altro lo si rovina per tutta la vita. Da oggi infatti Tartaglia, in fondo colpevole di lesioni personali volontarie, sarà considerato da tutti un pazzo pericoloso. Di un ex detenuto si può dire che ha pagato il suo debito, di un pazzo pericoloso ci si chiede: ma veramente è guarito? E perché dovrei correre questo rischio? Quale padre sarebbe contento di sapere che sua figlia è corteggiata da Massimo Tartaglia? Molti diranno: quel tale ha la licenza di uccidere. Sa già che non pagherà, per quello che può fare.
L’incapacità di intendere e di volere, anche se tecnicamente confinata “al momento in cui l’accusato commise il fatto”, è un marchio per tutta la vita. Di esso può importare fino ad un certo punto a chi è accusato di omicidio – ecco perché di questa incapacità si discute tanto in Corte d’Assise e tanto meno dinanzi agli altri giudici – ma è un cattivo affare per tutti gli altri. Nei panni di Tartaglia, personalmente mi sarei battuto per essere dichiarato sano di mente. Meglio in galera che in manicomio.
Con l’attuale sentenza – che, ripetiamo, sarà magari ineccepibile dal punto di vista psichiatrico e giuridico – non si è fatto un favore né ai magistrati, né alla sinistra, né all’accusato. Qualcuno potrebbe obiettare: ma il giudice poteva forse tenere conto di tutto questo? La sua sentenza non doveva essere conforme all’opportunità ma al diritto. E questo è sacrosanto.
Ma è sacrosanta anche la speranza che di quell’ “opportunità” non si sia tenuto conto in senso opposto, quella di cercare un goffo escamotage pur di non condannare penalmente questa reincarnazione in miniatura di Armodio e Aristogitone.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
30 giugno 2010

MEGLIO IN GALERA CHE IN MANICOMIOultima modifica: 2010-06-30T11:47:48+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “MEGLIO IN GALERA CHE IN MANICOMIO

  1. Mi chiedevo di come un incapace di intendere e di volere possa avere conseguito un diploma. Se tale incapacità è giunta dopo il diploma o è stata sottovalutata prima ed opportunamente rivalutata a posteriori, in seguito a fatti di una certa gravità. Come dire: sei pazzo ma finché non fai pazzie non diremo che sei pazzo.
    Ma… queste, del resto, sono solo ipotesi.

    Voglio credere che la verità giuridica sia quella reale. E mi dispiace molto per Tartaglia che anche se totalmente incapace d’intendere e di volere, ha comunque agito sulla leva di un odio indotto.

  2. Io mi chiedo invece come funzioni tecnicamente l’incapacita di intendere e di volere. Se uno acquista un oggetto contundente, segue il suo bersaglio, elude le guardie del corpo, prende la mira e centra in pieno la vittima, mi sembra che la persona fosse perfettamente “in se”.

    Come funziona questa incapacita di “intendere” ? (e poi cosa c’entra ? Per odiare una persona e volerla violentare fisicamente, non c’e’ bisogno di intendere o comunicare molto)

    E la incapacita’ di “volere” come funzionerebbe ? A me pare che questo tartaglia si sia portato un oggetto e abbia seguito e avvicinato berlusconi eludendo anche le guardie… come si puo’ dire che in quel momento fosse incapace di “volere”. Voleva ed e’ stato capace eccome.

    Mha, forse la mia confusione dipende dalla diversita’ dei significati giuridici che si danno alle parole, rispetto al significato comune delle stesse.

    MF

  3. No, caro Ferraro, la questione è più complessa di come sembra. E comunque approfondendo va a parare nel problema del libero arbitrio. Se tutti siamo sempre liberi tutti siamo sempre responsabili, se non esiste il libero arbitrio, tutti siamo condizionati e nessuno è responsabile. Il diritto penale è un compromesso: normalmente considera tutti responsabili, in alcuni casi, in occasione di un sospetto (o di un interesse a giungere ad un certo risultato) si rivolge a degli esperti che dichiarano che sì o no quel tale era capace di intedere e di volere al momento del fatto.
    A me, salvo casi conclamati, sembra un gioco di bussolotti. Ma molto dipende dalla mia diffidenza nei confronti della psichiatria, che non mi sembra del tutto una scienza esatta.

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