FINI E IL PERDONO

Per la grammatica perdonare è, come amare, un verbo regolare. Per il buon senso le cose stanno diversamente: amare è regolare, ed anche augurabile, perdonare è irregolare, nel senso che è sbagliato o funziona solo in certi tempi. Si può forse perdonare il passato remoto, pur senza dimenticare nulla, ma non si può perdonare il passato prossimo e men che meno il presente.
Perdonare corrisponderebbe ad azzerare il passato; a far sì che qualcosa che è avvenuto non sia avvenuto: e questo è impossibile. Del passato si tiene sempre conto, che lo si voglia o no. Il proprietario del negozio che ha perdonato un cassiere che, “per distrazione”, ha intascato una somma non sua, inevitabilmente lo sorveglierà più di prima, da quel momento. E se mancheranno soldi, la prima persona cui penserà sarà lui.
Perdonare si può quando il perdono è completato dalla ragionevole convinzione che il fatto non si ripeterà. E questo non perché il colpevole abbia promesso il ravvedimento – una persona saggia non crede molto alle parole – quanto perché si abbia ragione di credere che la constatazione delle conseguenze negative indurrà l’interessato a tenerne conto in futuro. Cosa che – sia detto di passaggio – dimostra quanto sia sbagliato perdonare: chi punisce insegna, chi perdona insegna a continuare nel cattivo comportamento.
E c’è un secondo problema. Quante volte deve peccare, un soggetto, per rendere opportuna una reazione?
È ovvio che se la mancanza è gravissima – per esempio un omicidio – nessuno direbbe mai: “Va e non farlo più”. Ma esistono moltissimi casi in cui il dubbio si pone. Quante volte una donna deve perdonare le infedeltà del marito? Quante volte bisogna perdonare i furti dei figli? Quante volte bisogna perdonare le scorrettezze di un calciatore brutale? L’elenco è infinito ed è difficile fornire una regola che valga per tutti i casi.
Volendosi orientare in questa serie di dubbi, si può stabilire il principio che non bisogna perdonare nemmeno la prima mancanza a meno che non si abbia la certezza che il colpevole è veramente pentito e veramente risoluto a non commetterla più. Per il resto dei casi, sembra assolutamente sciocco aspettarsi un ravvedimento spontaneo, soprattutto dopo una lunga serie di mancanze analoghe.
Ecco due esempi: i Palestinesi hanno dato infinite prove di non volere un accordo di pace. Lo hanno rifiutato quando Israele propose di restituire il 93% dei Territori Occupati. Lo hanno rifiutato, almeno per Gaza, quando Israele ha evacuato questo ex territorio egiziano. Lo hanno rifiutato sempre e comunque, pur sapendo che Israele chiede solo di non essere sotto minaccia. Dunque è inutile inseguirli. Bisogna rimanere disposti alla pace, ma nulla di più: sarebbe inutile.
Un caso analogo – grazie al cielo ridicolo, in confronto – è quello di Gianfranco Fini. Alcuni dicono: Silvio Berlusconi e lui dovrebbero incontrarsi per trovare un accordo. Ma quale accordo? Fini ha dato infinite prove di non volerne nessuno. Il suo atteggiamento è simile a quello dei patrioti lombardi che, dinanzi a un provvedimento magnanimo dell’Austria, se ne uscirono con la famosa frase: “Noi non vogliamo che l’Austria divenga più buona, vogliamo che se ne vada”.
Ed è un fenomeno generale. Malgrado la testardaggine dei fatti ci sono persone che dinanzi a qualunque contrasto parlano di dialogo, di negoziati, di tavoli intorno ai quali sedersi. E qui bisogna sgombrare il terreno da un equivoco. La pace va ricercata anche durante un aspro combattimento, ma ricordando che ad essa si giunge non quando nella discussione interviene Madre Teresa di Calcutta, ma quando la guerra appare più costosa della tregua. Dunque il miglior modo di giungere alla cessazione delle ostilità è rendere la guerra intollerabile al nemico, per poi offrirgli condizioni generose.
Queste sono le fastidiosissime lezioni della storia, ma nessuno vuole tornare sui banchi di scuola. Molti si affretteranno anzi a dichiarare immorali queste stesse righe e crederanno di migliorare la realtà solo perché avranno chiuso gli occhi dinanzi ad essa.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
11 luglio 2010

FINI E IL PERDONOultima modifica: 2010-07-11T16:46:31+02:00da gianni.pardo
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