DOES YOUR LANGUAGE SHAPE HOW YOU THINK?

Il nostro modo di esprimerci è influenzato dalla lingua che parliamo? Al riguardo è interessantissimo un articolo (1) di Guy Deutscher (2) il quale riferisce che molti anni fa, nel 1940, una rivista scientifica pubblicò un breve articolo che finì col provocare una valanga di commenti e teorie. L’autore, Benjamin Lee Whorf, un ingegnere chimico, sosteneva che la nostra madre lingua restringe l’ambito di ciò che siamo capaci di pensare.
Per decenni, la teoria abbagliò gli studiosi e tuttavia, quando finirono con l’interessarsene i linguisti seri, svanì nel nulla. Fu dimenticata perché, in effetti, conteneva troppi errori. Il concetto fondamentale alla sua base era che se una lingua non ha una parola per un certo concetto, coloro che la parlano non sarebbero in grado di capire questo concetto. Secondo questa tesi, se una lingua non ha il futuro (come per esempio il dialetto siciliano, nota di G.P.), coloro che la parlano dovrebbero avere difficoltà a concepire la nozione di futuro. E tuttavia è facile obiettare che la nozione di futuro è perfettamente chiara in una domanda come questa: “Vieni, domani?” Né si può dire che coloro che non parlano il tedesco e non dispongono di una parola come Schadenfreude ignorino che cosa sia il piacere del male altrui.
La questione ha avuto nuova vita circa cinquant’anni fa, quando Roman Jakobson ebbe l’idea di affrontarla dall’altra estremità: non da ciò che le lingue vietano di pensare, ma da ciò che essere impongono di dire. “Le lingue differiscono essenzialmente per ciò che esse devono necessariamente comunicare e non per ciò che esse possono comunicare”. Daremo parecchi esempi di questo concetto, che infine risulterà chiarissimo, anche nei prossimi interventi. Immaginate che un inglese dica: “I spent yesterday evening with a neighbour”. Ieri ho passato la serata con…”? In inglese neighbour può essere un vicino o una vicina, mentre in francese, come in italiano, bisogna distinguere: voisin, voisine; in tedesco Nachbar, Nachbarin; in spagnolo vecino vecina.
1. Continua
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

(1) honorary research fellow at the School of Languages, Linguistics and Cultures at the University of Manchester. His new book, from which this article is adapted, is “Through the Language Glass: Why the World Looks Different in Other Languages”, by Metropolitan Books.
(2)http://www.nytimes.com/2010/08/29/magazine/29language-t.html?pagewanted=2&_r=1&emc=eta1

DOES YOUR LANGUAGE SHAPE HOW YOU THINK?ultima modifica: 2010-09-06T17:56:57+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “DOES YOUR LANGUAGE SHAPE HOW YOU THINK?

  1. Vivo da qualche anno in Germania, con moglie tedesca, e mentre sto affannosamente arrancando con lo studio del tedesco (in casa parliamo inglese), mi sono domandato spesso se non possa essere vera anche l’ipotesi opposta. Cioe’ se per caso i popoli non sviluppino nel corso dei secoli lingue che in qualche modo corrispondano alla loro mentalita’, la rispecchino.
    Il tedesco, che lei ben conosce, ha un vocabolario generalmente molto preciso che per esempio non contiene un equivalente semplice del verbo “andare”, d’altra parte il verbo “braten” da solo non coglie la differenza tra “friggere”, “arrostire” e “stufare”.
    Sara’ perche’ i tedeschi non sono cosi’ tanto appassionati della cucina mentre pianificano e descrivono bene ogni loro spostamento ?
    Riferendomi all’interessante articolo che lei cita, io direi intuitivamente che le popolazioni abituate a vivere prevalentemente all’aperto, spaziando su vaste aree, sono buone candidate (anche se non obbligate) a sviluppare linguaggi che usano le coordinate geografiche. L’opposto per chi ha fin dall’antichita’ costruito e abitato case e citta’.

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