B. E B. DANNO SCACCO A FINI E NAPOLITANO

Un’interpretazione dell’attuale situazione politica richiede che si tenga conto degli ultimi avvenimenti. Ieri sera s’è avuto un vertice dei dirigenti del Pdl e della Lega per discutere di Gianfranco Fini. Esso si è concluso con un comunicato congiunto secondo il quale “Le sue parole sono la chiara dimostrazione che svolge un ruolo di parte ostile alle forze di maggioranza e al governo, del tutto incompatibile con il ruolo super partes di Presidente della Camera”. I rappresentanti dei due partiti si recheranno dunque da Giorgio Napolitano per rappresentargli “la grave situazione che pone seri problemi al regolare funzionamento delle istituzioni” e chiedergli di indurre Fini alle dimissioni. Pare anzi che Bossi avrebbe voluto il voto a fine novembre, infatti ha personalmente aggiunto: “Il primo passo non sarà presentare le dimissioni del governo ma chiedere che Fini sia spostato da presidente della Camera”. Si noti quel “primo passo”: non siamo alla conclusione di una vicenda, ma all’inizio di un iter. Del resto Roberto Maroni, in mattinata, aveva detto: “Io sono per l’immediato ricorso alle urne”.
Il comunicato fa giustizia di un futile problema costituzionale e gioca l’una contro l’altra due alte istituzioni dello Stato.
Il futile problema costituzionale è quello costituito dal dubbio se, in caso di caduta del governo, il Presidente della Repubblica abbia l’obbligo di indire immediatamente nuove elezioni, per rispetto della sovranità popolare (art.1 Cost.), oppure abbia l’obbligo di tentare in ogni modo (ricordiamo Scalfaro) la formazione di un nuovo governo anche non corrispondente alla volontà popolare. La risposta è: né l’una né l’altra cosa, dal momento che la Costituzione nulla dice al riguardo. Ma in concreto è evidente che se Pdl e Lega non si limitano a chiedere gentilmente nuove elezioni ma si dichiarano contrari alla formazione di un nuovo governo – e con la maggioranza sicura di cui dispongono al Senato possono impedirla – il PdR è costretto a sciogliere le Camere. Ripetiamo: se quei due partiti chiedono, possono sentirsi dire di no; se si impongono, il PdR non può dire di no. E tenendo conto di quel “primo passo” sembra evidente che questa seconda strada sia quella intrapresa.
La mossa politica serve a richiamare molti alla realtà e potrebbe costituire il modo di rigettare su altri, innegabilmente, la colpa dell’interruzione della legislatura.
Fino ad ora Giorgio Napolitano ha parlato, sin troppo, degli argomenti più diversi: dai più futili, come una rappresentazione del Rigoletto, ai meno adatti ad un intervento del Quirinale, come le vicende sindacali di Pomigliano, da temi politici non di sua competenza come la politica industriale del Paese ai tempi della nomina di un ministro dello sviluppo, mentre, vedi caso, riguardo al comportamento peggio che irrituale del Presidente della Camera, si è distratto. Magari era troppo occupato ad ironizzare sulla sorte della legge sulle intercettazioni: certo è che il governo ora lo pone dinanzi ad un gravissimo dilemma. O induce con parole chiare Fini a dimettersi o continua a tacere. Se continuerà a tacere, il governo lo accuserà di parzialità, di insensibilità costituzionale, e in totale potrà imporre lo scioglimento delle Camere accusandolo, nientemeno, di averle causate con la sua ignavia. Se invece il Presidente invita Fini a dimettersi, lo squalifica, tanto che: o Gianfranco si dimetterà – perdendo moltissima parte della sua visibilità e perfino qualcuno dei suoi sostenitori – o non si dimetterà, e il governo potrà richiedere le elezioni perché la situazione – come certificato dal PdR – è insostenibile dal punto di vista politico.
Naturalmente queste sono speculazioni teoriche che, malgrado una logica che si vorrebbe stringente, potrebbero essere smentite dai futuri sviluppi. Ma almeno che la situazione è uscita da uno stallo esasperante. Si passa finalmente dalle logomachie e dalle posizioni gladiatorie allo scontro in campo, dove, secondo la morale greca, vince il più forte.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
7 settembre 2010

B. E B. DANNO SCACCO A FINI E NAPOLITANOultima modifica: 2010-09-07T10:00:53+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “B. E B. DANNO SCACCO A FINI E NAPOLITANO

  1. Buon giorno Pardo,
    io la vedo un po’ diversamente: Berlusconi ha bucato la palla, per fare un dispetto al fratello, perché voleva essere l’unico arbitro della partita, ed ora chiede aiuto alla mamma per allontanare il fratello cattivo e avere il giocattolo nuovo.

  2. Caro Pardo,

    l’Mpa ha quattro senatori:
    Giovanni Pistorio, Sebastiano Burgaretta, Vincenzo Oliva e Riccardo Villari.

    Il partito “sardo” quattro senatori:
    Giuseppe Pisanu, Mariano Delogu, Fedele Sanciu, Piergiorgio Massidda.

    ( Io Sud ) Adriana Poli Bortone.

    Lei crede davvero che al Senato il governo disponga di una maggioranza sicura?
    Io ne dubito.

  3. Il tuo commento è molto interessante, anche se inchiodare il PdR non è
    impresa facile da realizzare, stante la sua naturale doppiezza di ex compagno.
    Ammessa la maggioranza in Senato, Si potrebbe tuttavia prendere in considerazione un altro scenario. .
    Il governo non dovrebbe dimettersi.
    A quel punto, per superare l’impasse e confermare la sua autorevolezza, il PdR potrebbe sciogliere entrambe le camere, uscendone a testa alta.

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