EL PONCHIS E LA RESPONSABILITA’ PENALE

La notizia è sconvolgente: un ragazzino messicano, El Ponchis, italianamente definito “baby killer” dal “Corriere della Sera” (1), ha cominciato la sua carriera di sicario a dodici anni  e fino al momento del suo arresto avrebbe ucciso circa trecento persone. Il caro adolescente in particolare si era specializzato nello sgozzare i prigionieri. Ma non è il caso di occuparsi dei particolari, finché sono riferiti dai giornalisti: è meglio discutere il problema teorico: come comportarsi, con un minorenne che abbia commesso questi reati?
La prima notizia sconvolgente è che in Italia, se si arrestasse un tredicenne che ha ucciso un bel po’ di gente, poi  bisognerebbe rimandarlo a casa con tante scuse. Perché non è imputabile. Non solo non è punibile, non è nemmeno processabile. Al massimo, lo Stato potrebbe toglierlo ai genitori ed affidarlo ad educatori di sua fiducia, ma non molto di più. Tutto questo perché la nostra legge penale considera che, fino ai quattordici anni, il minorenne è incapace di intendere e di volere. In altri termini, è stabilito – senza possibilità di prova contraria – che egli non è in grado di distinguere il bene dal male. Questa concezione non solo è discutibile ma anzi, a nostro parere, è erronea. In parecchie nazioni, infatti, pure se la legislazione rimane benevola e mite, la responsabilità penale parte dai dieci anni di età. Si badi, non in Paesi selvaggi: anche nel Regno Unito.
Il limite italiano, piuttosto alto, forse dipende dal fatto che non si sono ancora manifestate, da noi, quelle forme di grave delinquenza giovanile che si sono avute e ancora si hanno in Brasile (i meninos de rua), o quelle forme di allarmante bullismo che hanno indotto la Gran Bretagna ad abbassare l’età della punibilità. A nostro parere, anche se bisogna fare largo posto al condizionamento, è indubbio che dovunque un ragazzo di undici o dodici anni sappia benissimo che dare una coltellata a qualcuno è male.
Il problema, nella sua essenza, nasce dal discutibile fondamento della responsabilità penale.
Se si segue il concetto religioso e medievale del libero arbitrio, tutti siamo responsabili di tutte le nostre azioni. Se viceversa si segue la mentalità scientifica, e si giunge inevitabilmente al determinismo psichico (l’unico in linea con un coerente materialismo scientifico), nessuno è responsabile di nulla.
In realtà, da un lato ripugna a chiunque condannare come interamente responsabile uno schizofrenico conclamato; dall’altro ripugna altrettanto vivamente non condannare nessuno, dal momento che nessuno sarebbe responsabile. Neanche l’assassino e lo stupratore seriali. Per giunta sapendo che, lasciati liberi, costoro riprenderebbero a commettere i loro crimini. Presa in questa morsa, la legislazione penale, disinteressandosi di filosofia e di teologia, dichiara che tutti siamo responsabili delle nostre azioni, salvo che, per età o per malattia mentale, questa responsabilità non sia diminuita od annullata.
Il risultato di questo inevitabile compromesso lascia scontenti tutti. È impossibile che quel ragazzino messicano non si rendesse conto di star facendo qualcosa di orribile e di vietato e però è impossibile non tener conto della vita e della famiglia di quel minore. Sappiamo tutti che è più facile influenzare un ragazzino di undici anni che un giovane di ventuno anni. Lasciarlo libero però – come si farebbe in Italia – sembra del tutto inaccettabile.
Si sa quanto sia fastidioso, per la gente, vedere che a volte i più grandi criminali evitano il peggio perché dichiarati infermi o seminfermi di mente. E tuttavia chi, sano di mente, commetterebbe crimini come i loro?
Per una persona pensosa l’amministrazione della giustizia penale è un continuo strazio. Come trattare nello stesso modo chi è vissuto in una famiglia povera e violenta e chi ha beneficiato di ogni agio? Come non capire che la condanna per ingiuria è pressoché ingiusta, se inflitta a qualcuno che vive in un ambiente in cui ci si esprime brutalmente, ed è sacrosanta se il colpevole è un intellettuale e un linguista?
Il risultato è che bisogna essere pragmatici. La società ha il diritto di difendersi. Importa poco sapere se lo stupratore seriale sia tale perché “cattivo”, perché seminfermo o infermo di mente. Ciò che importa, come dice il popolo, è che sia messo in galera e che “si butti via la chiave”.
Ma rimane lo strazio.
Gianni Pardo
giannipardo@libero.it
4 dicembre 2010
Le contestazioni argomentate sono gradite e riceveranno risposta.

(1)http://www.corriere.it/esteri/10_dicembre_03/elponchis-messico-arrestato%20_4b18ab44-fef4-11df-b6f8-00144f02aabc.shtml

EL PONCHIS E LA RESPONSABILITA’ PENALEultima modifica: 2010-12-04T19:18:09+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “EL PONCHIS E LA RESPONSABILITA’ PENALE

  1. # E tuttavia chi, sano di mente, commetterebbe crimini come i loro?

    la tendenza ad eliminare il prossimo è ubiquitaria e data dalla notte dei tempi
    la versione esplicativa del fenomeno si è sempre basata sul desiderio di dominare gli altri, singoli o interi popoli: la storia ce lo racconta da ogni libro sull’argomento e non ci fa più impressione; lo consideriamo ormai praticamente scritto nel DNA umano, retaggio della lotta per l’esistenza che, dal mondo vegetale a quello animale ed umano è alla base di ogni atto dei viventi.
    potentissimo impulso, attenuabile (con i vari espedienti studiati nei secoli per favorire la convivenza civile) ma non eliminabile né con l’educazione né con la proclamazione dei diritti dell’uomo (e recentemente e, giustamente, anche degli animali)
    se però ci fermiamo a pensare ai grandi crimini storici (per intenderci quelli con cifre a sei zeri) non possiamo non rilevare che le menti che li hanno ideati e messi in atto non siano universalmente ritenute “alienate” dal momento che hanno indotto alla complicità materiale migliaia (o milioni?) di altre menti del tutto “normali”.
    quindi porterei l’attenzione non sulla “sanità mentale” quanto sul crimine stesso come parametro di giudizio
    senza contare poi che l’introduzione nella società del concetto eminentemente cristiano dell’ “intenzione” rispetto al “peccato” non ha fatto altro che complicare ulteriormente il problema: se un uomo viene ucciso per vendetta è un crimine gravissimo da pena di morte (dove ci sia ancora) o da ergastolo; se lo stesso uomo viene ucciso sulle strisce pedonali da un drogato e/o ubriaco allora trattasi di disgrazia e quella “vita” vale a stento un ritiro temporaneo della patente
    senza voler fare del moralismo a buon prezzo, Le chiedo caro Professore, che giustizia è questa che tiene in gran conto il “carnefice” (se ne parla fino alla nausea in Tv e giornali e si ricercano dotti pareri sulle “cause” personali, familiari e genericamente “sociali” per dare un “senso” al gesto criminale) e dimentica rapidissimamente la “vittima” che per ciò stesso, con la vita, perde ogni diritto ?

    ## Ma rimane lo strazio

    vera e giusta conclusione: rimane lo strazio di constatare che ogni umana giustizia è “impossibile”: nessun giudice “serio” potrebbe ottemperare alla prescrizione latina: “cuique suum”
    concludo ricordando che lo slogan “nessuno tocchi Caino” è una estrapolazione del pensiero biblico che porta a conclusioni diverse dal testo originale: infatti la Bibbia fa dire a Dio:”nessuno tocchi Caino perché la vendetta è mia”
    il Dio veterotestamentario non era infatti tipo da lasciarle passare tutte in cavalleria: parla di vendetta, seppure divina
    io, non credente, mi accontenterei di una “giustizia” meno ingannevole verso i membri di una società che intenda difendere “seriamente” la convivenza

  2. Il fatto che l’uomo uccida – lei ha ragione – significa che la nostra specie ammette la violenza intraspecifica, a differenza di altre specie.
    Il fatto di affascinare milioni di altre menti e farsi sostenere nella commissione di crimini (Hitler) non dimostra per ciò stesso sanità mentale. Ma, al contrario, la fragilità mentale di quei milioni di menti. Anche se bisogna tenere presente il fatto che Hitler tenne nascosta la Shoah e Stalin non disse mai “Sappiate che faccio uccidere la gente per un nonnulla”. Sicché le molte menti deboli potevano continuare ad illurdersi.
    La distinzione fra l’omicidio volontario e l’incidente stradale la fa il codice, distinguendo l’omicido doloso da quello colposo. Non è solo l’influenza della religione, ma della logica. Non è lo stesso voler far male e farlo per errore.
    Infine è vero, “nessuno tocchi Caino” significa “ci penso io”, non “perdoniamolo”. I radicali in questo hanno frainteso la Bibbia.
    I romani erano talmente severi, nell’età arcaica, che erano capaci, se non potevano punire subito il malfattore, di dichiararlo “sacro”. “Sacro” nel senso che ormai era una vittima da sacrificare agli dei e il primo che l’incontrava poteva farlo.
    Infine sì, ci si occupa troppo del colpevole e troppo poco della vittima.

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