RIFLESSIONI SU CUFFARO

Si può essere siciliani, vivere in Sicilia e non sapere nulla né della politica siciliana, né della mafia. Naturalmente questo non fornisce titoli di autorevolezza, in materia: ma può servire a togliere il sospetto che si voglia condannare o considerare con benevolenza un ex Presidente della Regione come Totò Cuffaro. Di questo signore non sappiamo nulla. Sappiamo solo che la Cassazione lo ha condannato a sette anni per favoreggiamento della mafia e violazione del segreto d’ufficio.
Si può essere stupiti di una condanna così severa. Il favoreggiamento è sempre sembrato un reato minore ma forse qualche legge sulla mafia l’ha reso gravissimo. E comunque, la legge non è stata fatta per colpire Cuffaro: se dunque lui paga per questo reato, non si tratta certo di accanimento personale.
Si ha invece il diritto di meravigliarsi della violazione del segreto perché di questo reato si sono resi colpevoli decine e decine di magistrati e nessuno di loro ha mai pagato. Ce l’eravamo quasi scordato, che fosse reato. Ancora in questi giorni circolano in tutti i giornali intercettazioni che – se non abbiamo capito male – erano destinate alla lettura solo di una commissione parlamentare. Cuffaro invece è stato condannato. In questi casi uno si ricorda che non basta che una pena sia prevista, per applicarla ad un singolo: è anche necessario che sia applicata a qualunque singolo nelle medesime condizioni. Ed anche, sperabilmente, che non ne sia colpevole lo stesso giudice.
Quando imperversava la tempesta di Mani Pulite il più condannato, per il reato di finanziamento illecito ai partiti, fu il senatore democristiano Severino Citaristi. Avrebbe dovuto essere la pecora nera del Parlamento ed invece fu coralmente difeso da tutti e definito un galantuomo. Di quelle montagne di denaro che gli passarono fra le mani nemmeno un soldo finì per caso nelle sue tasche. Ma la legge stabiliva che la sua attività era delittuosa e fu dunque giusto che fosse condannato. Ma era anche giusto che Giuliano Amato, braccio destro di Craxi, affermasse di non aver saputo nulla, di quel sistema? E soprattutto, era giusto che fosse creduto?
C’è di peggio. Chi nulla sa delle vicende siciliane, leggendo che la Cassazione ha inflitto sette anni di reclusione a Cuffaro, invece di pensare: “Finalmente un politico paga per il male fatto!”, pensa: “Chissà se è vero che è colpevole!” E questo è gravissimo.
Significa che la magistratura ha scherzato col fuoco e si è bruciata. Una volta, contraddicendo l’etimologia, la gente pensava che “sentenza” significasse “certezza”. Oggi l’etimologia trionfa e “sentenza” è tornata a significare “opinione”. Nel caso che c’entri la politica, perfino opinione interessata e forse faziosa. È un disastro. Un Paese che non ha fiducia nella legalità e negli interventi dei giudici, non ha più fiducia in se stesso.  E allora ecco che non si discute se le accuse a Berlusconi siano fondate, ma quanto sia accettabile che la magistratura scenda in campo per condurre una battaglia politica. Si discutono le decisioni della Corte Costituzionale, considerate come prese di posizione antigovernative. Si concepisce un’Italia in cui la sovranità non appartiene più al popolo ma a dei funzionari togati, che possono annullare quando e come vogliono la volontà del Potere Legislativo.
Questo disastro è stato in parte provocato anche dallo stesso Legislativo. Non solo ha evirato l’art.68 della Costituzione, ma ha parlato troppo di mafia, ha provocato una caccia alle streghe e invece di riconquistare il controllo del territorio (che è la ragione per cui a Parigi non c’è la mafia), ha inasprito le leggi, con una mentalità repressiva medievale.
La magistratura, da parte sua, ha inventato il “concorso esterno in associazione mafiosa”: un reato evanescente di cui nessuno può dimostrarsi innocente. Per essere colpevoli basta essere nati a Palermo, basta avere avuto amici d’infanzia, basta essere divenuto una persona in vista, forse basta ricambiare il saluto di qualcuno che si conosce. Ed ecco si accusa chi è politicamente antipatico di reati mafiosi: il peggio del peggio, per definizione. Il placido Giulio Andreotti diviene un capo mafia e quando non si dimostra la sua colpevolezza, si dice che è stato mafioso per anni in cui non era imputato. Reato per il quale dunque non ha nemmeno potuto dimostrare la propria innocenza. Ma bisognava salvare il teorema e fornire un argomento agli ignoranti di diritto in malafede.
Sempre con il pretesto dell’emergenza si è dato un inusitato credito ai “pentiti”, gente affidabile quanto la cabala e che calunniava de relato, in modo da giungere, quando possibile, alle conclusioni desiderate. E alla fine si è perfino cercato di dichiarare mafioso stragista un milanese doc come Silvio Berlusconi.
Il risultato è che un politico finisce con un’enorme pena detentiva e l’onesto lettore di giornali si chiede: un delinquente in galera o un galantuomo calunniato? Un maneggione giustamente punito o uno cui è andata storta, mentre tanti altri l’hanno fatta franca?
L’Italia non ha più un’amministrazione della giustizia.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
23 gennaio 2011

RIFLESSIONI SU CUFFAROultima modifica: 2011-01-23T14:54:06+01:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “RIFLESSIONI SU CUFFARO

  1. Che diamine centri il segreto istruttorio, con la spiata di Cuffaro è un mistero che solo Pardo, e Ivana ovviamente, possono spiegare.

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