MUBARAK, OUR SON OF A BITCH

Hosni Mubarak non è simpatico. Anwar el Sadat, prima di lui, aveva l’aria di un postino di colore ma era cordiale, aperto: sembrava una persona con la quale sarebbe stato piacevole conversare. Inoltre, ebbe la forza di realizzare un gesto rimasto storico: lui, il leader egiziano, andò a parlare alla Knesset, il Parlamento di Israele. Pur perdendo la guerra del Kippur, era riuscito a mettere nella massima difficoltà questo vicino imbattibile; e mentre lo sbruffone Nasser aveva reso ridicolo l’Egitto ancor più di quanto Mussolini non avesse reso ridicola l’Italia in Grecia, Sadat ebbe il coraggio della guerra e l’audacia della pace. Fu un grand’uomo.
Alla sua morte gli subentrò l’incolore ed impenetrabile Mubarak. Tutti si chiedevano se la politica dell’Egitto sarebbe cambiata, entro quanto tempo e con quali conseguenze: ma l’attesa si rivelò vana. In Egitto non cambiava nulla. Passarono prima i mesi e poi gli anni, infine si smise di occuparsene. Solo occasionalmente si parlava di quel quasi-regime che teneva la nazione in un perenne stato d’emergenza, delle elezioni nel quadro di una democrazia sorvegliata, di qualche attentato contro i turisti.
Ora ecco che improvvisamente, seguendo la “moda” del Maghreb,  il più importante Paese arabo è sulla prima pagina di tutti i giornali. La folla protesta per le strade, chiede la caduta del rais e non si sa bene che altro. Le sommosse sembrano derivare più da uno stato d’animo di esasperazione che da un motivo preciso. La stessa volontà di mandar via Mubarak sembra rispondere più alla voglia di abbattere il Potere in sé che questo Potere. Infatti non ci sono neanche slogan con precise accuse.
In qualunque società ci sono motivi di scontento. E questo è ancor più vero nei Paesi poveri dove la lista delle cose che non vanno è infinita. Ma bisognerebbe sempre chiedersi se il cambiamento sia per il meglio. Non si potrebbe augurare alla Francia o all’Inghilterra un regime come quello egiziano ma la Francia e l’Inghilterra sono forse l’Egitto?
Ne Paesi musulmani è in atto da decenni una sorta di rinascimento confessionale che non sarebbe pericoloso se l’islamismo distinguesse la religione dalla politica. Viceversa esso ha tendenza ad applicare la sharia a tutta la vita della nazione, magari trascinandola in un Medio Evo oscurantista, miserabile e crudele. Per questo l’Egitto non ha mai seriamente sostenuto i Palestinesi e ha tenuto d’occhio i Fratelli Musulmani. Il rischio, se vincesse questa “rivoluzione”, è quello di vedere andare al potere dei dementi capaci di dare ospitalità ai terroristi, di imporre il velo alle donne, di far fare ad un Paese relativamente colto e progredito un salto all’indietro. E di creare una situazione di pericolo per l’Europa.
È vero che l’Egitto ha nella sua popolazione parecchie persone istruite, una borghesia moderna e laica. Ma questo si poteva anche dire dell’Iran prima di Khomeini: e sappiamo qual è la situazione attuale. In Iraq la mentalità laica era prevalente, sotto Saddam Hussein: ma appena si è arrivati alla libertà, è scoppiata una sorta di guerra religiosa fra sciiti e sunniti. E non è detto che non riprenda alla grande non appena gli americani saranno andati via. Insomma, non si può dire: in Egitto questo è impossibile.
E allora ecco che l’osservatore europeo, mentre guarda con apprensione a quegli avvenimenti, si trova a sperare che vinca la repressione. Un po’ come in Algeria: meglio un governo laico di militari in spregio di un risultato elettorale, che un governo di estremisti islamici. Non c’è dubbio, l’Egitto potrebbe essere più democratico; non c’è dubbio, è concepibile un leader più rispettoso delle libertà di quanto non sia Mubarak. Ma il problema è che, per volere il meglio, si potrebbe avere il peggio. E allora bisogna sperare che Hosni ce la faccia. Sarà un “son of a bitch”, come Franklin Delano Roosevelt disse di Somoza, “but he is our son of a bitch”. Sappiamo chi è e sappiamo come governa. Mubarak ci va meglio di qualunque salto nel buio.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
28 gennaio 2011

MUBARAK, OUR SON OF A BITCHultima modifica: 2011-01-28T19:05:29+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “MUBARAK, OUR SON OF A BITCH

  1. Degna apologia di un moderato.

    Fosse vissuto ai tempi della glaciazione avrebbe sperato nn uscisse mai il sole.

    Come diceva Oscar Wilde? Siamo tutti immersi nel fango, ma solo alcuni guardano le stelle, e Pardo nn è tra questi…

    …e nn faccio battute sulla nipote di Mubarak perchè sarebbe come sparare contro la croce rossa o criticare Emilio Fede.

I commenti sono chiusi.