SULLA PAROLA “SPIRITO”

La domanda è: l’uomo riesce a concepire lo spirito? E se sì, come lo concepisce?
Se si chiede a qualcuno di pensare ad una sedia, questo qualcuno riesce a rappresentarsi mentalmente una sedia. Se si chiede a qualcuno di pensare all’Italia, questo qualcuno riesce a rivedere mentalmente una carta geografica. Se si chiede a qualcuno di rappresentarsi lo spirito, a che cosa pensa?
Da adolescente ero abituato a non credere di avere capito se non avevo veramente capito. Volendo saperne di più sullo “spirito” mi accorsi che nel mio cervello, ponendomi il problema di quella parola, si faceva un buio totale. Passi per Dio, mi dicevo: ci insegnano che esso è inconcepibile, per la mente limitata dell’uomo. Ma di spirito si parla continuamente. Inoltre usiamo questa parola in molti contesti: lo spirito del tempo, lo spirito della legge, essere presente “in spirito” e addirittura gli spiriti, per il popolo, sono i fantasmi. Come mai non riesco a concepirlo?
Decisi di tentare la via del linguaggio. Se dico “incrocio” l’immagine mentale è chiara. Anche perché l’etimologia – croce – è a sua volta chiarissima. Mi misi dunque a cercare la radice delle parole che si riferiscono allo spirito e con sorpresa trovai che tutte – assolutamente tutte – si riportavano a qualcosa di materiale: vento (anima), alito (spirito), luce (Dio), giardino (paradiso), apparizione (fantasma), sottosuolo (inferno), e via dicendo. Come mai l’anima dell’uomo, che dovrebbe essere spirito, capisce così bene la materia e non riesce a concepire né se stessa né lo spirito in generale? Capisco che si possa non capire Dio, perché Essere unico e superiore. Ma se stessa? E se lo spirito è inconcepibile, chi dice che esista? Chi dice che non sia solo un concetto, una metafora, un’astrazione?
Il problema può essere allargato. Se facciamo l’ipotesi che si possano utilizzare solo immagini “materiali”, come funzionano le idee? Questo è un problema che ancora oggi – a millenni di distanza da Platone – induce a serie riflessioni.
L’uomo è capace di memoria e di identificazione di elementi comuni. Se si tira una pietra e, nel suo volo, essa incontra il tronco di un albero, il volo si interrompe e la pietra cade. La pietra ha “sbattuto contro l’albero”. Se un’auto sbaglia la curva e finisce contro una casa, l’auto ha “urtato il muro”. Se, camminando al buio, il ginocchio incoccia un ostacolo – e ce lo comunica con un dolore lancinante – sappiamo perfettamente che cosa è avvenuto. Da tutti questi fenomeni, e da tutti i fenomeni analoghi, si ricava il concetto di “arresto contro un ostacolo”, di “impossibilità di proseguire”, di “termine”. E questo concetto serve anche per fenomeni che sembrano astratti, per esempio la scadenza dei cibi, la legge, la bocciatura agli esami. Tutte queste parole, e tante altre come loro, sono perfettamente comprensibili perché ce le possiamo facilmente rappresentare mentalmente. Con uno degli esempi fatti prima o con uno analogo: la prescrizione in diritto? Un giudice che fa di no con la testa mentre indica un calendario.
Se invece cerchiamo di capire il senso di una frase come questa, “Il mio spirito soffre, nell’udire questa notizia”, entriamo in contraddizione. Infatti ci rappresentiamo mentalmente un essere corporeo che soffre, un uomo che fa una smorfia, comunque qualcosa di concreto che per ciò stesso è in contrasto con la parola “spirito”. È difficile – forse impossibile – immaginare la sofferenza di qualcosa di etereo (“fatto d’aria”), che non ha parti. L’anima del resto sarebbe immortale proprio perché sostanza semplice, non avrebbe parti che possano corrompersi.
L’etimologia e la semantica mostrano come l’uomo sia partito da un universo materiale, di fenomeni sensibili, ed è astraendo da essi che, a poco a poco, è arrivato a concetti sempre più astratti: ma guardate da vicino le parole che indicano questi concetti riportano sempre alle loro origini “materiali”. A oggetti sensibili. In una parola alla concretezza.
I filosofi tedeschi dell’Ottocento della parola “spirito” hanno fatto uso e perfino abuso. Ma sorge il dubbio che abbiano compiuto un’operazione illecita quanto sostenere che la “superiorità” esiste in sé e per sé e che essa salverà il mondo. Questo spiegherebbe perché sia così difficile comprendere Hegel.
Se tutto ciò che si è sostenuto in queste poche righe fosse vero, se ne dedurrebbe che, parlando di “spirito”, diamo corpo ed esistenza autonoma ad un concetto. E inganniamo noi stessi.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, pardonuovo.myblog.it
22 aprile 2011

SULLA PAROLA “SPIRITO”ultima modifica: 2011-04-23T12:04:00+02:00da gianni.pardo
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9 pensieri su “SULLA PAROLA “SPIRITO”

  1. A volte lo spirito lo si è rappresentato con un po’ di fumo bianco; un fumetto etereo che galleggia nell’aria e non si disperde. Con un po’ di fantasia un’immagine da associare allo spirito la si trova. Trovo più difficile rappresentare con un’immagine materiale la coscienza.

  2. Un fumetto etereo…
    Ma allora non sono chiaro. Un fumetto etereo è qualcosa di materiale, addirittura di fotografabile, più dell’aria. Avremmo un’idea dello spirito se riuscissimo a fare a meno di un’immagine materiale.
    Il “fumetto etereo” certifica l’incapacità di cui parlo.
    A proposito della coscienza. Il problema non è identico a quello dello spirito. Infatti lo spirito sarebbe sostanza, mentre la coscienza è un’attività. Infatti, se lei dovesse spiegarlo, direbbe: “Un esempio? Io so che sono qui. Ho coscienza di essere qui. Questa è la coscienza”.
    Lei può immaginare non la violenza, ma un atto violento, non la velocità, ma un oggetto veloce, e via dicendo, mentre lo spirito, secondo la sua definizione, non è qualcosa che “qualcun altro fa”, ma qualcosa che “è”, distinto da ogni supporto materiale.
    E ora provi ad immaginarlo.

  3. “Mi torna in mente la storia del filosofo e del teologo, che erano impegnati in una disputa, ed il teologo usava la vecchia battuta sul filosofo che sembra un cieco, in una stanza buia, che cerca un gatto nero, che non e’ nemmeno nella stanza. “Puo’ essere” rispose il filosofo “ma un teologo l’avrebbe trovato”.

    Sir Julian Sorell Huxley (1887-1975) da: The Creed of a Scientific Humanist

    Ho riportato questa citazione perchè, oltre ad essere divertente, riassume bene la situazione che si viene a creare in una discussione tra un credente e un non credente. Proprio in questi giorni mi è capitato di rileggere la sua ” Conversazione teologica ” da cui estraggo parte di un suo commento :” ..temo Mario abbia affrontato la discussione convinto di avere in mano un bazooka e poi s’è ritrovato con una fionda ” :-).
    Questo genere di discussioni, tra il comico e il surreale, io le trovo molto divertenti. Se anche altri le vedessero sotto questo aspetto, almeno in parte, ci saremmo risparmiati un sacco di disgrazie.

  4. Conoscevo la battuta sul gatto nero che non c’è e che il teologo trova lo stesso. È uno dei vertici assoluti dell’umorismo.
    Ha ragione lei. Se uno vuole ad ogni costo trovare, crede di aver trovato.
    Un po’ come quei maniaci che si innamorano di una show girl televisiva e “si credono ricambiati”.

  5. Pardo, non ho capito se lei si lamenta per una contraddizione o pone in essere l’eterna domanda, cioè l’eterno dubbio: c’è qualcosa oltre la fisica? Nel secondo caso posso solo darle la mia di risposta: no. E qui finisce il dialogo tra noi.
    Nel primo caso invece il discorso è interessante anche se non porta da nessuna parte (o proprio per questo). Mi viene in mente questa similitudine: come il Pardo filosofo intreccia le parole seguendo un filo inizialmente logico che però lo conduce non fuori ma all’interno di un labirinto di possibilità senza fine, così il matematico che, razionalizzando i concetti in numeri ed elaborando i numeri con gli algoritmi, arriva a conclusioni inconcludenti, incoerenti, irrazionali.
    Una cosa è certa, la Metafisica è una meravigliosa – e meravigliosamente furba agli inizi, ma non solo – invenzione umana. Come la Patafisica che almeno però, a patto di non prenderla troppo sul serio, è anche divertente.
    Buona filosofia a lei e ai suoi ospiti.

  6. Caro Gentile,
    lei ha sentito parlare di Carneade. Costui – tutt’altro che un ignoto – era un filosofo greco che, venuto a Roma, parlò in pubblico dimostrando una certa tesi. Il pubblico ne fu incantato, ma il filosofo disse: “Domani vi dimostrerò che questa tesi è sbagliata ed è vera la tesi opposta”. Il giorno dopo mantenne la parola. Il pubblico era sbalordito, ma alla fine Carneade disse: “Se domani tornerete qui, vi dimostrerò che sono sbagliate sia la tesi che ho dimostrato ieri, sia quella, contraria, che ho dimostrato oggi”.
    Non poté mai farlo. Le autorità romane, preoccupate dalle sue capacità di convincere, lo espulsero dalla città prima che potesse parlare per la terza volta.
    E ora rispondo alle sue domande.
    1) No, la tesi non si occupa dell’esistenza di qualcosa oltre la fisica. La quale non sarebbe dimostrata dalla nostra capacità di concepire lo spirito (siamo in grado di concepire la chimera, ne esistono addirittura delle statue, ma non per questo la chimera esiste) né la sua inesistenza sarebbe dimostrata dalla nostra eventuale incapacità di concepire lo spirito. Anche se questa incapacità è allarmante.
    2) Il discorso a qualcosa porta. Vorrebbe innanzi tutto segnalare a molta gente che crede di avere le idee chiare e non le ha.
    3) Poi vorrebbe insinuare il dubbio – che però deve proseguire ben oltre, vedi punto 1 – che lo spirito non esista o, almeno, che noi non siamo capaci di concepirlo.
    4) Il matematico può arrivare a formulazioni “irrazionali” per la mentalità comune, ci sono del resto anche i numeri “irrazionali”, e proseguire nelle sue astrazioni. Il filosofo, se arriva a dimostrare che una nozione comune o una credenza è irrazionale, la rende discutibile e dunque da discutere. Non è risultato da poco. Infatti poi si può arrivare o a dimostrare che quella credenza è razionale (chapeau!) oppure ad avere l’umiltà di ammettere che ci si crede “per fede” e non perché sia razionale. La qual cosa, male che vada, ha il merito di troncare la discussione.
    Se qualcuno mi dice che i vangeli sono testi “storici” mi arrabbio. Se invece mi dice “per me sono storici e addirittura ispirati dallo Spirito Santo”, non mi arrabbio affatto e sono lieto di essere amico di questo signore. Ecco a che serve il labirinto, che – come vede – ha un’uscita.
    Le do un esempio per dimostrarle che anch’io faccio parte di coloro che “non sanno tutto e a qualcosa credono per fede”: mi comporto come se fossi libero, e come se tutti gli altri fossero liberi (e dunque responsabili), come atto di fede, dal momento che la mia razionalità mi conduce necessariamente al determinismo psichico.

  7. Spirito: dal greco pneuma “ respiro” ,“ soffio animatore”, in ambito religioso, principio immateriale identificabile come entità trascendente o divina, o come principio incorporeo e immanente all’essere umano alla base della vita morale, religiosa ed intellettuale; anima separata dal corpo; spettro, fantasma di un defunto.

    La teologia e la filosofia cristiane parlano , oltre che dello Spirito Santo, di «spinti puri» (Dio e gli angeli) e di «spiriti infiniti», dai quali si distinguono gli «spiriti finiti», cioè le anime umane.

    Per Anassagora il noûs (intelletto) può essere tradotto anche con «spirito». Per gli Stoici (Zenone, Cleante, Crisippo, Posidonio), la teoria del pneûma riceve la forma più compiuta di sostanza rarefatta, capace di muoversi da sola, un soffio animatore che, come elemento vitale, informa, compenetra e ordina la materia universale (l’ anima mundi) . Per Aristotele , che segue l’intuizione di Anassagora, «spirito» acquista una conformazione più immateriale, in quanto sostanza incorruttibile ed inestesa: infatti, lo spirito umano è da un lato vincolato alla percezione dei sensi, mentre dall’altro lato, è autonomo rispetto al corpo, in quanto sopravvive dopo la morte; tuttavia, nello Stagirita il termine pneûma individua una sostanza dotata ancora di una certa materialità, via di mezzo tra sôma (corpo) e psyché (anima). Per Platone , invece, lo spirito è l’occhio dell’anima che permette di cogliere l’invisibile. Col tempo, il termine venne a identificare un principio attivo e vitale superiore alle componenti animale e psichica; nelle correnti neopitagoriche e neoplatoniche pneûma fu progressivamente accostato a psyché ad indicare le attività superiori dell’uomo: viene sviluppata in questo contesto la tripartizione dell’essere umano in sôma , noûs e psyché (o pneûma ), già presente nel pensiero stoico. Per Cartesio ci sono due sostanze :la res cogitans (il pensiero o spirito come sinônimo di “ sostanza pensante“) e la res extensa (la realtà) . Per Spinoza le due “cose” di Cartesio sono due attributi di Dio, due forme con cui l’unica sostanza divina si manifesta a noi come il complesso di tutti i fenomeni naturali, cioè tutte le cose che riguardano la materia e il complesso di tutti i fenomeni non materiali, di tutte le cose che riguardano il pensiero .
    Quindi tutte le cose materiali derivano dall’attributo dell’estensione e tutte le cose non materiali derivano dall’attributo del pensiero ( spirito ) o meglio, come dice Spinoza le cose e le idee sono rispettivamente “ i modi di essere dell’attributo estensione e i modi di essere dell’attributo pensiero”. C’è perfetta identità tra Dio e i suoi attributi. Infatti quando pensiamo il pensiero e l’estensione lo concepiamo in sé e per sé, intuitivamente, in maniera diretta e non mediata da altri concetti, come facciamo per la concezione della sostanza. Così mentre l’estensione si concepisce in sé e per sé (come la sostanza, come Dio e quindi anche gli attributi) invece ad esempio il movimento, lo si può capire solo facendo riferimento a qualcosa che ha in sé l’estensione, quindi il movimento è un modo dell’estensione. Se penso un’idea la potrò pensare solo facendo riferimento al pensiero, quindi quell’idea sarà un modo del pensiero. I modi dunque non sono concepibili in sé e per sé ma sono resi concepibili dagli attributi, ovvero dalla sostanza.

    So che alle tesi di Spinoza sono state mosse molte obiezioni, ma è ragionevole credere che l’adozione della “ Religione dell’immanenza di Dio“ avrebbe risparmiato all’uomo molti lutti e sofferenze . Fosse solo per questo è di gran lunga da preferire alla “ Religione del Dio trascendente”.

  8. “Spinoza (1632-1677) è il più nobile ed il più degno di amore dei grandi filosofi. Se qualcun altro lo ha superato dal punto di vista intellettuale, dal punto di vista etico è superiore a tutti. Come logica conseguenza, fu considerato, durante la sua vita e per un secolo dopo la sua morte, un uomo di spaventosa malvagità. Era nato ebreo, ma gli ebrei lo sconfessarono. Nello stesso modo lo respinsero i cristiani: benché tutta la sua filosofia sia dominata dall’idea di Dio, gli ortodossi lo accusarono di ateismo.
    Leibniz, che gli doveva molto, nascondeva il suo debito e si astenne accuratamente dal dire una parola in sua lode; andò tanto lontano da mentire perfino sulla sua stretta conoscenza personale con l’eretico ebreo. La vita di Spinoza fu semplicissima. La sua famiglia era passata in Olanda dalla Spagna, o forse dal Portogallo, per sfuggire all’Inquisizione. Spinoza ricevette un’educazione ebraica, ma gli fu impossibile restare ortodosso. Gli furono offerti mille forini all’anno perché nascondesse i suoi dubbi; quando rifiutò, si tentò di assassinarlo; fallito questo tentativo, fu maledetto con tutte le maledizioni del Deuteronomio e con la maledizione che Elisha pronunciò sui bambini che furono poi fatti a pezzi dalle orse. Ma nessuna orsa attaccò Spinoza. Egli visse tranquillamente, prima ad Amsterdam e poi all’Aja, guadagnandosi la vita levigando lenti. I suoi bisogni erano pochi e semplici, e mostrò in tutta la sua esistenza una rara indifferenza per il danaro. I pochi che lo conoscevano lo amavano, anche se disapprovavano i suoi princìpi.” ( B. Russell – Storia della Filosofia Occidentale )

  9. Caro Carlo,
    lei ha apportato nella discussione molti preziosi dati culturali, ma io mi trovo nella situazione di chi, avendo una mentalità prettamente terra terra o, se volessi nobilitare la mia posizione, prettamente scientifica, considera la maggior parte delle cose da lei riferite delle emerite fanfaluche. È per questo che non leggo le cose (lunghissime) che Don Massimo Lapponi mi risponde sul Legno Storto. Lui è uno capace di credere che un concetto esiste di per sé ed è una cosa spirituale. Per me è una funzione del cervello. Insomma lui – come molti filosofi del passato – ipostatizza un sacco di cose, io credo solo a ciò che vedo e che può essere constatato. Per lui – e per chi la pensa come lui – io sono un grosso testone, per me loro sono dei sognatori che si dànno importanza.
    Non ci intenderemo mai.

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