ARBEIT MACHT FREI

In una borgata romana dei neonazisti hanno posto una scritta in ferro, in tutto e per tutto simile, per forma e caratteri, a quella che sovrasta l’ingresso del campo di Auschwitz. Prima che gli operai del comune la rimuovessero in tutta fretta recava le parole: “Work will make you free”. Naturalmente gli uomini politici, anche quelli di destra, si sono stracciate le vesti. Hanno fatto a gara a condannare l’iniziativa, cercando le espressioni più forti e più indignate, ed hanno invocato severe punizioni per i responsabili. L’episodio insomma è stato preso troppo sul serio, sia per la balordaggine dell’impresa, sia perché quelle parole in sé non sono scandalose.
Da notare è piuttosto l’incongruenza di riprodurre in inglese l’originaria scritta tedesca “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Non si è pensato che i tedeschi erano tutt’altro che anglofili, in quel momento. Le scritte in inglese apparvero dopo la sconfitta. In realtà la scelta di quelle parole è un segno fra i tanti del monolinguismo che si è affermato in Italia: perfino gli sciocchi sanno che gli italiani non conoscono le lingue straniere. O gli si parla in inglese – e qualcuno capirà – oppure una scritta in tedesco, per quanto tristemente famosa, rimarrà incomprensibile.
Ma tutto questo è cronaca spicciola. Di fatto, per chi si è interessato di storia, quella scritta e quelle parole, amaramente evocative, suscitano riflessioni.
Per quanto riguarda l’idea di mettere quell’insegna all’ingresso di alcuni campi di concentramento si può discutere quale fosse l’intenzione di Rudolf Höss (il comandante che ne ordinò la realizzazione) ma la risposta sarebbe comunque priva d’importanza. Le parole erano destinate ai deportati che nulla potevano sapere delle idee di quell’uomo. Il significato che importa è dunque quello che ad esse davano coloro che erano costretti a leggerle.
“Il lavoro rende liberi” è una frase che non ha senso, e infatti si dice: “la domenica è il giorno in cui si è liberi”. Non che essere una liberazione, il lavoro è una costrizione per ottenere il reddito di cui vivere; esso non solo non nobilita l’uomo (salvo consista nella creazione artistica) ma la stessa Bibbia l’ha definito una maledizione divina. Ma esso può liberare da un’oppressione ancora maggiore, per esempio la dipendenza economica. È la ragione per la quale tanti giovani cercano di essere autonomi e per cui la donna è oggi più libera di un tempo: perché non può più essere ricattata dall’uomo per la propria sopravvivenza.
I deportati, arrivando ai campi di sterminio, ricevevano un messaggio di speranza: “Vi faremo lavorare, ma col lavoro riconquisterete la libertà”. Naturalmente sappiamo che non c’era niente di vero, in quelle parole: ma esse provano indirettamente qualcosa che molti ignorano, o amano negare, e cioè che l’Endlösung, la soluzione finale, fu tenuta accuratamente segreta. Non potevano non esserne al corrente coloro che la realizzavano ma non ne fu data nessuna notizia sui giornali e fu severamente vietato rivelarne la natura e le dimensioni al grande pubblico. I tedeschi credettero che gli ebrei erano portati altrove e gli antisemiti ne saranno anche stati contenti: ma c’era molta differenza fra Verschleppung (deportazione) e Vernichtung (annientamento).
Le conseguenze di questo particolare sono sorprendenti. Dopo la guerra molti vollero condannare in blocco il popolo tedesco come colpevole di genocidio dimenticando che milioni di galantuomini non ne seppero niente fin dopo la fine della guerra. A Dachau gli alleati costrinsero addirittura alcuni abitanti a visitare il lager, per far loro constatare con i propri occhi quello che era avvenuto a pochi metri da loro e che a troppi sembrava inverosimile.
Ci si può poi chiedere il perché di tanta segretezza. Un motivo pratico potrebbe essere che, tenendo segreto il massacro, le vittime predestinate non resistessero seriamente a quello che diversamente sembrava un “trasferimento coatto”. Ma si può anche fare l’ipotesi che il regime si rendesse conto che l’operazione avrebbe potuto suscitare lo scandalo e lo sdegno dei tedeschi. E dunque che se ne vergognasse. E allora – se lo considerava una cosa vergognosa – perché lo portava avanti con tale determinazione? E se non se ne vergognava, perché lo teneva segreto?
L’immensità di questo crimine è tale che esso lascia confusi e smarriti al di là della nostra ignoranza dei particolari storici.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, pardonuovo.myblog.it
26 aprile 2011
Mollichine
Napolitano. “No a scontri ciechi”, fra le fazioni politiche. Ma che cosa crede, il Presidente, che non mirino?
Frattini per bombardamenti. Non serve il voto delle Camere. Il governo non condividerà i meriti della balordaggine.
Ilaria D’Amico. “In  futuro potrei scegliere la politica”. Piccolo spostamento: da un teatrino all’altro.
Disneyland. Feriti sulle montagne russe. Pare che Berlusconi abbia riferito il fatto così: ancora vittime delle montagne sovietiche.
Wikileaks su Guantanamo: “Fra i reclusi anche bambini”. E noi che pensavamo che quelli italiani fossero i più pestiferi.
Corriere: “Kakà segna due gol per la sua seconda figlia”. Gli altri calciatori non amano i loro figli.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, pardonuovo.myblog.it
26 aprile 201

ARBEIT MACHT FREIultima modifica: 2011-04-26T15:36:45+02:00da gianni.pardo
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