Offside giuridico della Cassazioine

La sentenza n.25674 della Corte di Cassazione richiede non il commento di un articolo ma di interi libri di dottrina penale. Essa infatti introduce un principio talmente innovativo, e discutibile, da meritare la massima attenzione dei penalisti, dei giuristi e di tutti i cittadini.
L’episodio su cui essa verte è compiutamente narrato dal “Giornale”(1): benché il fatto sia espressamente previsto come reato, un giovane di 23 anni è stato assolto dall’accusa di avere coltivato una pianticella di marijuana. Sulla base di una inedita “problematica dell’offensività”, data la “modestia dell’attività posta in essere”, come dice l’articolista del “Giornale”, “il comportamento dell’imputato deve essere ritenuto del tutto inoffensivo e non punibile anche in presenza di specifiche norme di segno contrario”. “Non è punibile il reato che non procura danni a nessuno”.
Bisogna innanzi tutto riconoscere che il diritto è caratterizzato dall’esteriorità: esso tende a regolare i rapporti fra gli uomini e non il loro comportamento quando sono soli o quando, sia pure in presenza di qualcun altro, si limitano a pensare. La morale comanda alla mente e alla coscienza, il diritto comanda i comportamenti concreti. Ma questo è un principio affermato dalla dottrina, non dai codici. Se è vero che il principio della cosiddetta alterità – nel senso di rapporto interpersonale – è normalmente da seguire, nulla impedisce che uno Stato emani una legge che contraddice la regola dottrinaria. Alcuni Stati musulmani sanzionano con la morte l’abiura, cioè l’abbandono dell’Islamismo come religione: e certamente questo atto non lede nessuno. Questa può sembrare una norma da barbari, ma non è diversa da quella che applicava il “braccio secolare”, nella civilissima Europa, fino al Settecento, quando puniva col rogo l’eresia. Del resto, anche in tempi piuttosto recenti, alcuni Stati occidentali hanno dichiarato reato il suicidio, e dunque hanno punito coloro che l’avevano tentato. La stessa Italia ha a lungo considerato reato la bestemmia, che al massimo lede le convinzioni religiose altrui: reato tanto evanescente quanto dire male del Governo in presenza di un suo sostenitore.
Qualcuno protesterà che queste norme e le altre simili appartengono a legislazioni arretrate e contrarie ai sani principi laici dell’età moderna. Giustissimo, ma ciò non impedisce che quelle norme avessero perfetta natura giuridica. Dunque il principio che abbiamo chiamato dell’alterità non è indefettibile. E soprattutto, dal momento che gli Stati moderni si avvalgono di una legislazione scritta, il giudice che è chiamato ad applicare le norme non può disattenderle sulla base di un principio non consacrato nello stesso ordinamento. Diversamente, se reputassimo che altre norme, “superiori” alla legge scritta, debbano prevalere sulla legge scritta, il giudice potrebbe non condannare l’inquilino moroso al pagamento delle pigioni scadute in base al principio che la proprietà è un furto; potrebbe assolvere il ladro considerandolo una vittima dell’emarginazione sociale; potrebbe non condannare al risarcimento sulla base della totale involontarietà, e dunque non punibilità morale, dell’atto dannoso; potrebbe assolvere qualcuno per ignoranza della legge, visto che in concreto veramente non la conosceva, e la responsabilità morale è del tutto assente. Si potrebbero trovare mille esempi in cui il giudice deve obbedire alla legge e andare contro la propria coscienza. In realtà la coscienza del giudice non deve tendere alla realizzazione della giustizia, ma allo scrupolo che fa identificare esattamente la norma della legge scritta, sua unica Bibbia, da applicare al caso concreto. Quand’anche quella norma la reputasse ingiusta in sé.
Nel caso che qui si commenta, la tesi è aberrante. Per l’assoluzione, l’argomentazione secondo cui il giovane di Scalea non ha fatto danno a nessuno è insostenibile. Innanzi tutto, la legge ha inteso proteggere anche lui, come quando impone ai motociclisti di indossare un casco. E soprattutto il requisito del danno ad altri non è richiesto dal codice. Si direbbe che i magistrati della Suprema Corte abbiano voluto ad ogni costo non condannare uno sciocco ragazzo di ventitré anni, poco importando il danno fatto alla credibilità del nostro sistema giudiziario.
Nel momento in cui confessa che questa “problematica dell’offensività” è “destinata in futuro ad innovare tutto il sistema penale”, la Cassazione coscientemente e  indebitamente si sostituisce al legislatore. Questa decisione è un’ulteriore traccia del complesso di onnipotenza che affligge alcuni magistrati e che rischia di trasformare il nostro Stato di diritto in qualcos’altro.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
29 giugno 2011
http://www.ilgiornale.it/interni/la_cassazione_legalizza_cannabis_terrazzo/29-06-2011/articolo-id=532074-page=0-comments=1

Offside giuridico della Cassazioineultima modifica: 2011-06-29T14:28:00+02:00da gianni.pardo
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19 pensieri su “Offside giuridico della Cassazioine

  1. Che i magistrati fossero tutti – dall’ultimo procuratore aggiunto al giudice costituzionale – pericolosi sovvertitori delle leggi e terroristi ideologici, per di più comunisti e comunque di sinistra, affetti da complesso di onnipotenza, con l’obiettivo ormai chiaro di colpire i governi di destra e delegittimare, infangandoli, i loro leader, l’avevamo già capito. Ma che fossero pure strafattoni e cannaroli è davvero sconvolgente.
    Contraddire un legislatore così misurato, sereno, tanto una brava persona, timorata di Dio come Giovanardi e dire che – udite udite – in fondo coltivare una piantina (1) di cannabis in terrazzo, non merita poi la galera…ma dove arriveremo, signora mia.

  2. Inserisco il commento e non mi compare. Uffa. Vediamo quello che ricordo.
    Arriveremo, signora mia, a disapplicare la legge.
    Se per lei va bene, per altri non va bene.

  3. “…. dal momento che gli Stati moderni si avvalgono di una legislazione scritta, il giudice che è chiamato ad “applicare le norme” non può disattenderle sulla base di un principio non consacrato nello stesso ordinamento.”

    Nella “ Interpretazione e applicazione del diritto “ Eros Grau, ex giudice della Corte Suprema brasiliana, a proposito di “ testo” e “norma” cita Tullio Ascarelli per il quale :

    “ La norma non è “racchiusa” nel testo sì da poter essere ivi discoperta e l’interpretazione non è “lo specchio” di quanto racchiuso nel testo; il testo è se mai un seme per quella sempre rinnovata e transitoria formulazione della norma che per ogni applicazione compie l’interprete.“

    “L’interpretazione e l’applicazione non si realizzano autonomamente. L’interprete discerne “ el sentido del texto a partir y en virtud de un caso dado específico “ ( Gadamer 1991/397)

    In altre parole è il giudice che estrae la norma dal “testo legale” per applicarla al caso concreto. Così è se vi piace. Ed essendo uomini che interpretano e applicano la legge potrebbe essere diverso ?

  4. Tecnicamente la Cassazione ha fatto tutto il suo dovere essendo la materia in questione non chiaramente definita dalla legge. Tanto è vero che dal 2003 ad oggi si sono succedute, in merito, diverse interpretazioni giurisprudenziali, anche di segno opposto. Perché così, Pardo, è la legge: interpretabile. Se no che ci stanno a fare i tribunali? Le allego un link interessante soprattutto nel paragrafo “Produzione ad uso personale”. E’ di Wikipedia, sì, ma non mi pare che dica sciocchezze.
    http://it.wikipedia.org/wiki/D.P.R._n._309/1990#La_.22legge_Fini-Giovanardi.22
    Nel merito poi, vorrei dire che una legge che mi impedisce di coltivare una piantina in casa mia perché le foglie di questa piantina, se opportunamente trattate, danno una sostanza che, se bruciata, produce fumo e questo, se inalato, provoca un effetto esilarante e rimbambente, è una legge imbecille, ridicola e ottusamente criminogena. Perché allora non mi impediscono di coltivare l’Aconito, la Cicuta, la Belladonna, la Brionia, il Mughetto, la Digitale, l’Elleboro ecc. ecc. che sono potenti veleni che fanno, loro sì, davvero male, e che possono essere usati per uccidere?
    Una legge davvero sbagliata. Meno male che c’è un potere giudiziario che può mitigarne gli effetti.

  5. Esistono dei giudici progressisti. Sono quelli che hanno dato origine alla “giurisprudenza creativa”. Quegli stessi che hanno creato il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”. Quelli che a suo tempo hanno creato i “pretori d’assalto” o come si chiamavano.
    Tutti coloro che applaudono cose del genere sono ai miei occhi incompetenti di diritto, come sono incompetenti di politica tutti coloro che applaudono un dittatore che fa cose ottime.
    Semplicemente perché i giudici che disattendono la lettera della legge, anche per realizzare una migliore giustizia, annullano le mie guarentigie democratiche e la certezza del diritto. E bisogna essere contro la dittatura non perché ogni dittatore faccia del male, ma perché ogni dittatore PUO’ farlo.
    Se siamo in disaccordo su cose del genere, permettetemi di non interloquire ulteriormente. Sulle mie garanzie di cittadino non sono disposto a discutere.
    Se uno dei due, Gentile o Eduardo, è laureato in materie giuridiche, amerei saperlo.
    La legge si interpreta, non si stravolge e non si disapplica. Non confondiamo i verbi.

  6. Un lettore ha riportato l’articolo (pubblicato su “Il Legno Storto”) aggiungendo al titolo questa domanda, per come la ricordo: “E se un giudice, per fini di (sua) giustizia mi mettesse in carcere senza avere io commesso un reato?”
    Infatti, se si concede tanta larghezza di interpretazione, chi vi garantisce che essa sarà usata a favore del cittadino e non contro di lui? Già l’esempio del concorso esterno in associazione mafiosa non vi basta? I penalisti dicono che è un reato “dal quale non ci si può difendere”, talmente è evanescente. E tuttavia le pene inflitte sono spaventose.

  7. “… il giudice che è chiamato ad “applicare le norme” non può disattenderle sulla base di un principio non consacrato nello stesso ordinamento.”

    Mi ero limitato a riportare alcune citazioni di giuristi sulla differenza tra “testo” della legge e “norma”, perché ho inteso che per lei erano la stessa cosa ( vedi sopra ), mentre per altri giuristi ( vedi precedenti citazioni , non lo sono). Poteva interloquire e chiarire ( per gli incompetenti ) se sono o no la stessa cosa. Ha preferito, almeno nel mio caso, fare un processo alle intenzioni (“Se siamo in disaccordo su cose del genere, permettetemi di non interloquire ulteriormente”) evitando di rispondere sul merito. Assimilare il mio commento a quello di Gentile è un’operazione arbitraria. Io non sono entrato nel merito della decisione dei giudici.

    Visto che ci tiene la inforrmo che non ho lauree in materie giuridiche. Da circa sette anni seguo i processi della corte suprema brasiliana che sono trasmessi in diretta TV con le relative discussioni ( e baruffe ) tra i giudici, e a volte leggo le motivazioni delle sentenze. Quindi ho molto meno di un’infarinatura. Tuttavia non è un argomento decisivo per squalificare l’interlocutore. Lei è laureato in materie giuridiche, ma lo sono anche i giudici della Cassazione. E allora ? A parte ciò, lei scrive : “ Essa infatti introduce un principio talmente innovativo, e discutibile, da meritare la massima attenzione dei penalisti, dei giuristi e di” tutti i cittadini “. Sono intervenuto come cittadino e adesso mi chiede le credenziali ?

  8. Comincio col chiedere scusa a lei e, già che ci sono, anche a Gentile. Ho mancato di stile a causa di una strabocchevole indignazione. E se mi sono permesso di chiedere le “credenziali”, come le chiama lei, non è stato per umiliare l’interlocutore, ma perché mi meravigliavo che una simile opinione potesse averla uno che ha studiato la materia. E mi chiedevo se dovessi – dal mio punto di vista – spiegare pazientemente le cose ad una persona in buona fede ma incompetente, o battagliare a muso duro con qualcuno che si crede competente. Tutto ciò premesso, e chiedendo ancora una volta scusa, torniamo all’argomento.
    Confesso di non avere esaminato le opinioni di giuristi, che immagino evidentemente “progressisti” (in senso giuridico, non politico, o politico in senso generico), perché frutto della loro passione e non della loro scienza. Né mi smuoverebbero minimante i giudici della nostra Cassazione.
    La questione è semplice. Sin dal tempo delle XII Tavole (vista come una conquista del popolo, inizio del diritto romano, secoli prima di Cristo), il fatto che la legge sia scritta ha avuto lo scopo di fornire al cittadino la guida della legge insieme con la prevedibilità del risultato dell’eventuale processo, sottraendolo all’arbitrio del giudice. La violazione di questo principio ci fa regredire alla giurisprudenza tribale, quando lo stregone o il capo villaggio possono giudicare in base alle loro personali convinzioni, senza alcuna certezza del diritto. Unde la mia indignazione.
    L’interpretazione della legge è inevitabile, ed è il mestiere del giudice. Ma “interpretazione” in musica significa “comprensione della volontà del compositore”, in diritto comprensione della volontà del legislatore. Se si arriva, come nel nostro caso, ad assolvere qualcuno “non punibile anche in presenza di specifiche norme di segno contrario”. è segno che si vuole disattendere la legge. O a vostro parere l’interpretazione può spingersi fino a giudizi emessi “anche in presenza di specifiche norme di segno contrario”? È interpretazione che la legge non preveda che raccogliere un sasso da terra sia reato, ed io giudice condanni qualcuno a un anno di carcere, oppure che la legge preveda che schiaffeggiare la moglie sia reato ed io assolva il marito “perché a volte le mogli sono veramente insopportabili”?
    Ma scherziamo?
    Fra l’altro – e concludo – il fatto che una pianticella di marijuana sia fatto insignificante è previsto dal codice lì dove si prende in considerazione come attenuante “il danno lieve”. E poi ci sono anche le attenuanti generiche. Applicandole tutte e due, si ha la riduzione della pena a un terzo di quella edittale: che si chiede di più? Che il giudice, sia pure la Cassazione, sia padrone di applicare o non applicare la legge?

  9. Succede, non è il caso di farne un dramma, e la ringrazio per le scuse.

    Le invio questo commento che avevo già preparato, e mi riservo una replica al suo ultimo intervento.

    Non si deve “disattendere la lettera della legge “, o la ratio legis ? Le due condizioni non vanno sempre a braccetto. Una legge che sanziona solo le biciclette che invadono il marciapiede perchè al tempo in cui fu varata non esistevano le moto il giudice la dovrà applicare anche alle sopraggiunte motociclette o dovrà attenersi alla lettera della legge escludendo le moto in quanto non incluse nella fattispecie ? Se interpreta la legge alla lettera non le include, se interpreta secondo la razio della legge, dovrà includere, per analogia, anche le moto.

    Ciò che lei definisce “ giurisprudenza creativa “, e non sarò certo io a negarla, altri la definiscono “ interpretazione conforme alla costituzione “, o “ proporzionalità” o “irragionevolezza della norma “( come se i legislatori fossero irragionevoli ) e sono gli stessi che sostengono : “ la costituzione è quello che la corte costituzionale dice che é “; e io aggiungo “secondo la composizione della corte ”.
    Non esiste la certezza del diritto o la sicurezza giuridica . Queste espressioni si devono intendere in modo molto, ma molto relativo, ed era quello che volevo significare alla fine del mio primo intervento.
    Sul caso specifico, non posso pronunciarmi neanche come semplice cittadino senza aver prima letto le motivazioni della sentenza e probabilmente neanche dopo averle lette. Tuttavia, prima di affermare che la sentenza è innovativa bisognerebbe averne letto la fondamentazione. Non mi fido delle semplificazioni dei giornali.

  10. Comincio col dichiararmi d’accordo sul punto che non ci si può fidare dei giornali.
    Un articolo che si fonda su un giornale è come se dicesse: “ammesso che questi siano i fatti, ecco il commento”.
    Lettera della legge e ratio legis. Dipende da come è formulata la norma. Se l’articolo di legge parla di biciclette non si può applicare alle motociclette. Se la legge parla di “veicoli a due ruote” si deve applicare anche alle motociclette. Se la legge parla di veicoli a motore non si applicherà alle biciclette, se la legge parla di veicoli a due ruote sprovvisti di motore non si applicherà alle motociclette. E così via. Se infine la legge parla di veicoli a due ruote non si potrà applicare alle automobili, per quanto le automobili, sui marciapiedi, farebbero ancor più danno delle biciclette e delle motociclette. Qui non c’è ratio legis che tenga. Oppure siamo alla giurisprudenza creativa, cioè alla fine della certezza del diritto.
    Quando lei scrive: “Non esiste la certezza del diritto o la sicurezza giuridica” dice soltanto che, secondo lei, il disastro che io pavento per lei si è già verificato.

  11. Il DPR 9 ottobre 90 vieta la “coltivazione”.
    che vuol dire “coltivazione”? 1, 10, 1000 piante?
    Cassazione, sentenza dd. 12 luglio 1994: coltivazione in senso tecnico-agricolo è un’attività su larga scala caratterizzata dalla “disponibilità di un terreno e da una serie di attività dei destinatari delle norme sulla coltivazione (preparazione del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione dei locali destinati alla custodia del prodotto, ecc.) quali si evincono dagli artt. 27 e 28” (Cassazione penale, sez. VI, 12 luglio 1994, Gabriele) che sono ex se incompatibili con la destinazione all’uso personale del prodotto in quanto idonee “appunto ad accrescere effettivamente ed in modo significativo la provvista disponibile di stupefacente in circolazione” (Tribunale di Roma, sez. VII, sentenza 13-27 febbraio 2001, De Luca) e, quindi, dimostrative di una destinazione finale, anche parziale, al mercato.

    fonte http://www.altalex.com/index.php?idnot=1259

  12. Il modo in cui e’ formulata la norma di legge fa molta differenza: si possono scrivere leggi che permettono ampia interpretazione oppure no.
    Un esempio era il vecchio codice della strada che proibiva di guidare “in stato di ubriachezza”. E chi lo decideva, prima dell’invenzione degli etilometri ? Il quasi totale arbitrio della polizia stradale, nel bene e nel male, rendendo la norma pressoche’ inutile.
    Cosi’, se esistesse una legge (invento io le parole) “E’ vietata la coltivazione di tutte le piante del genere Cannabis”, bisogna vedere cosa si intende per “coltivazione”: numero 1 fogliolina? 10 metri quadri di terreno? 20 tonnellate?
    Quello che io mi domando e’ se lo spazio lasciato all’interpretazione sia intenzionale o se si tratti di cattiva legislazione che non si e’ ben posta il problema.
    Ho molto spesso la sensazione che ci troviamo nella seconda ipotesi, anche se provo molto fastidio e poca fiducia nei confronti della magistratura che cerca di “fare giustizia”.

  13. Rispondo ad enrico. Una sentenza della Cassazione si ha su un caso specifico. Indubbiamente, se si tratta di produzione industriale, parliamo di “un’attività su larga scala caratterizzata dalla “disponibilità di un terreno e da una serie di attività dei destinatari delle norme sulla coltivazione (preparazione del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione dei locali destinati alla custodia del prodotto, ecc.)”. Nessuno coltiverebbe dieci steli di frumento. Viceversa, già un quadrato di dieci metri di lato, per coltivare marijuana, credo abbia la sua importanza. Dunque per coltivazione qui si deve intendere “anche una sola pianta”. Perché, anche nel caso di una sola pianta, si tratta di coltivazione. Non coltivazione industriale ma coltivazione.
    In ogni caso, se la Cassazione avesse voluto giocare sul termine coltivazione, non avrebbe dovuto parlare di “danno” ma di che cosa si intende per coltivazione, stabilendo per esempio che essa si ha a partire da due, tre, n piantine.
    Ma leggeremo la motivazione, se ce ne daranno notizia.

  14. La tendenza ad andare oltre la volontà del legislatore a volte è consapevole, a volte è dovuta all’oscurità del testo legale, altre volte è frutto di errore umano. Pensi all’ermeneutica giuridica, alla precomprensione del testo legale. Ho assistito a interpretazioni diverse dello stesso testo e apparentemente tutte e due ben fondamentate. Se il diritto fosse una scienza esatta, le decisioni di una corte dovrebbero essere prese sempre all’unanimità, ma così non è. Il giudice Marco Aurelio Mello, considerato da molti un formalista (ma in diritto molto spesso la forma è sostanza)ricorda spesso che :” Dove il legislatore non ha voluto distinguere, non spetta al giudice fare distinzioni “. La tesi è stata contestata dal giudicee Eros Grau e successivamente fatta propria dalla maggioranza dei giudici con i seguenti argomenti:” Le norme valgono solo per le situazioni normali( Carl Schmit ) …lo stato di eccezione è una zona di indifferenza tra il caos e lo stato di normalità, una zona di indifferenza catturata dalla norma, di modo che non è lo stato di eccezione che si sottrae alla norma ma, essa ( norma ) che autosospendondosi dà luogo all’eccezione…appena in questo modo essa si costituisce come regola mantenendosi in relazione con l’eccezione. A questa corte incombe, sempre quando necessario, decidere e regolare queste situazioni di eccezione. Nel farlo non si accantona l’ordinamento, in quanto si applica la norma all’eccezione disapplicandola, questo è, ritirandola dall’eccezione”. E continua: ” non ci esercitiamo nel mondo delle astrazioni, ma lavoriamo nel mondo della materialità più sostanziale della realtà. Decidiamo non sopra tesi, teorie o dottrine, ma su situazioni del mondo della vita. Non siamo quì per render conto a Montesquieu o Kelsen, ma per vivificare l’ordinamento, tutto l’ordinamento. Per questo lo prendiamo nella sua totalità. Non siamo meri lettori dei suoi testi, per i quali basterebbe l’alfabetizzazione, ma magistrati che producono norme, tessendo e ricomponendo il proprio ordinamento”. Fece seguito una discussione a dir poco vivace. Aggiungo che il giudice Marco Aurelio Mello nel suo libro ” Voto Vencido” ha dimostrato che il voto/tesi perdente di oggi può diventare vittorioso domani. Con tanti saluti alla certezza del diritto e alla sicurezza giuridica.

  15. “Non siamo meri lettori dei suoi testi, per i quali basterebbe l’alfabetizzazione, ma magistrati che producono norme, tessendo e ricomponendo il proprio ordinamento”. Questo magistrato è un eversore.
    Oppure rimane confermata la tesi di Giancarlo Cipolla, secondo il quale la percentuale di cretini è uguale in qualunque gruppo di uomini, di basso o di alto livello.

  16. Ho letto la sentenza, come spesso avviene scritta male e di faticosa lettura. A parte il fatto che contiene una perla culturale “estrema ratio” invece di “extrema ratio”.
    Tutta la motivazione riconosce che i giudici vogliono innovare la legislazione penale attraverso l’introduzione di principi non contenuti nel codice. Quod era demonstrandum.
    In altri termini la motivazione dice: “abbiamo ragione noi perché la pensiamo come altri che la pensano come noi”. Senza tenere conto né del fatto che l’opinione di costoro può essere erronea, né del fatto che la modificazione della legge scritta attraverso un’opinione non scritta è estremamente pericolosa. Si è visto col reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
    Ma molti italiani – magistrati inclusi – non vedono l’esistenza di pericoli finché non inciampano nei loro danni.
    Di questo passo si potrebbe concedere ad un violentatore l’attenuante dovuta al fatto che “la donna era particolarmente bella e dunque la tentazione particolarmente forte, la quale cosa ha diminuito la sua capacità di resistenza alla voglia di commettere il reato”. Perché no? L’attenuante non è prevista dal codice, ma il codice non prevede le attenuanti tenendo conto della psicologia, per esempio nel caso della provocazione?
    Io ho sostenuto la tesi in filosofia del diritto e, vedi caso, il titolo era: “La Certezza del Diritto”. Ciò che io ho capito a vent’anni altri sembrano non capirlo a settanta. Meglio che mi freni, caro Eduardo. Vede? Mi sto di nuovo arrabbiando :-).

  17. E dov’è il danno, se non metto il casco e non cado dalla motocicletta? E perché la Polizia Stradale mi contesta un reato e poi sono costretto a pagare un’ammenda? Chi ho danneggiato?
    Si può dire: ma lo Stato ha voluto proteggerti per il caso che tu cada. Giusto. Ma allora si preoccupa di un pericolo. E non potrebbe essere un pericolo che chi impara a coltivare una pianta di cannabis poi sarà in grado di coltivarne cento o mille?
    Molto dipenderà dal fatto che la legge è troppo severa, in materia di droga. Forse bisognava infliggere al giovane un’ammenda da cento euro (con oblazione) e dirgli di non farlo più. Ma non si può passare dal fatto che una legge è stupidamente severa alla non applicazione. Il giudice deve giudicare l’imputato, non ha il potere di “giudicare la legge”.
    Ma viviamo in un’epoca in cui tante, tante cose mi sembrano demenziali.

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