L’EREMITA EPICUREO

La vita contemplativa, secondo la tradizione che risale a Benedetto da Norcia, è l’ideale monacale di un’esistenza simile a quella condotta dagli eremiti dei primi secoli dell’era cristiana. Alcuni si ritiravano nel deserto, non parlavano neppure con altri uomini, si nutrivano appena, vegliavano a lungo la notte e pregavano. La vita contemplativa, nel deserto come in un convento, richiede l’abbandono delle cose della terra – la ricchezza, gli onori, il potere, la soddisfazione degli istinti – e una totale dedizione a Dio.
Questo concetto corrente è tuttavia capace di mettere in imbarazzo chi non è credente, il quale si chiede: “Come mai sento l’appello a questo genere di vita?” Per fortuna, gli studiosi al riguardo partono da Filone di Alessandria, da Aristotele e da altri fino a giustificare l’idea che esista un genere laico di vita contemplativa. Né, aggiungiamo, essa è lontana dal consiglio di Epicuro: lathe biosas, “vivi nascosto”.
Il miglior modo di vivere nascosti è vivere da soli e tuttavia c’è una differenza fra la vita contemplativa degli anacoreti e il vivere epicureo. Gli anacoreti, se non erano degli odiatori dell’umanità, erano comunque odiatori della propria umanità. Infatti reprimevano tutte le loro normali tendenze – la socialità, la sessualità, la volontà di affermarsi e in generale gli istinti  – per dedicarsi a qualcosa di astratto ed inumano: Dio. Anche se è difficile immaginare in che modo si ci si può dedicare a chi non si mostra mai, non si manifesta mai, non ti risponde mai. Ma non sta all’uomo moderno, e miscredente per giunta, capire interamente queste persone. Viceversa il “vivere nascosti” non esclude i piaceri, cui Epicuro non era certo contrario. Il suo consiglio va nella direzione opposta a quella degli anacoreti. Non significa: “lascia il mondo e i suoi piaceri”, significa al contrario: “lascia il mondo e godrai di più”.
Questo consiglio però non è per tutti: perché non tutti abbiamo lo stesso temperamento. L’idea che si possa vivere meglio rinunziando all’ambizione, al trambusto della vita associata, ai divertimenti collettivi e perfino alle soddisfazioni della vanità, per alcuni è assurda. Insistere a intimare loro “lathe biosas” sarebbe contraddittorio: costoro hanno diritto al loro genere di vita. L’unica condizione è che un giorno non si lamentino delle controindicazioni, che avrebbero dovuto prendere in considerazione sin da principio e che non staremo ad enumerare.
L’“eremita epicureo” è qualcuno che, per natura, è pressoché infastidito dalla presenza degli altri. Non perché li odii – l’odio è un pessimo investimento – ma perché, come i grandi bevitori preferiscono i superalcoolici al vino, preferisce gli esseri umani “concentrati e distillati” nello scritto. Anche se spesso deve accettare che l’ “interlocutore” sia morto.
Per fortuna viviamo in un’epoca che, per l’eremita epicureo, è l’assoluto ideale. Essa coniuga infatti i massimi vantaggi dell’eremitaggio non in una caverna – una casa riscaldata in inverno e rinfrescata in estate, luce a tutte le ore del giorno, musica, pace e silenzio, se la si sceglie accuratamente – con i massimi vantaggi della comunicazione. Senza varcare la porta di casa, senza sentire una voce umana, l’uomo contemporaneo può leggere libri e giornali in tutte le lingue che conosce, può corrispondere con decine di persone, sino ad avere una vita di relazione, concentrata e distillata, fra le più soddisfacenti. Il tempo che si mette a scrivere una lettera o un articolo è molto più lungo di quello che si impiega a leggerli. Dunque gli amici vengono in punta di piedi, aprono bocca solo quando glielo si chiede, esprimono il massimo di idee nel minimo del tempo e accettano che si risponda l’indomani o anche dopo.
L’eremita cristiano, dinanzi a questo quadro roseo, potrebbe sorridere e compatire l’epicureo: “Dopo tutto questo morirai. E che ne sarà della tua anima?”
“Avrà la stessa sorte della tua”.
“Pensi di andare in paradiso?”
“No, penso che non ci andrai neanche tu. Ma io il mio paradiso l’ho avuto da vivo”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
7 luglio 2011

L’EREMITA EPICUREOultima modifica: 2011-07-07T19:24:40+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’EREMITA EPICUREO

  1. Lei mi piace di più nelle vesti di un Epicuro che di un Carneade.
    dopo duemila anni siamo “fermi” ancora al pensiero di questi Grandi (e quindi ne testimoniamo l’universale importanza) ma che profonda tristezza pensare alla situazione attuale della culla della nostra civiltà!

  2. ” Dunque gli amici vengono in punta di piedi, aprono bocca solo quando glielo si chiede, esprimono il massimo di idee nel minimo del tempo e accettano che si risponda l’indomani o anche dopo.”

    Amici a cui non si puo’ addebitare un eccesso di invadenza :-).

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