FINI NEL BARATRO

Giorni fa un grande giornalista, pur senza fornire un’esauriente spiegazione del fenomeno, dava per scomparso Gianfranco Fini. Effettivamente il mondo della pubblica opinione è passato da un eccesso all’altro. Prima i giornali riferivano ogni sospiro dell’ex leader di An (ed erano sempre sospiri antiberlusconiani) poi seguirono con passione il suo attacco al Quartiere Centrale, fino alla catastrofe del dicembre 2010. Da quel momento, a poco a poco, è come se la sua immagine fosse progressivamente impallidita. Né è andata meglio ai suoi. Quel Bocchino tracotante di cui si vedeva la faccia in ogni dibattito politico è stato dimenticato. Se proprio si vuole parlare di Granata e Briguglio, prima bisogna spiegare chi  sono. Allora ci si chiedeva con qualche ansia se Futuro e Libertà sarebbe arrivato ad allearsi persino con la sinistra estrema, pur di far cadere Berlusconi e formare un nuovo governo, ora quella mini formazione è come se non esistesse. E tuttavia in fondo non c’è nulla di cui stupirsi. 

Le leggi della scienza sono inflessibili. Se l’erede della Fiat ha un brutto cancro, da prima si è increduli, poi si spera in un improbabile errore, poi, anche dopo una terapia disperata, giunge lo stesso l’epilogo fatale. La realtà ha la testa dura. Chi crede di imporle i propri desideri e i propri sogni inevitabilmente perde.

Salvo eccezioni, naturalmente. Chiunque, con le capacità caratteriali, culturali e politiche di Antonio Di Pietro, si sarebbe stupito per tutta la vita di essere stato promosso al concorso per la magistratura. Lui invece è stato capace di andare oltre; di fondare un partito, cosa che sul momento sembrò velleitaria; di divenire importante; di essere l’unico leader cui fu permesso di associarsi al Pd di Veltroni: anche se, su questo miracolo, aleggiano orrendi sospetti. Ma Di Pietro aveva ambizioni realistiche. Voleva solo un partitino per i suoi scopi personali e per far questo era sufficiente che si creasse un piccolo spazio a sinistra, che rilanciasse continuamente nella partita dell’antiberlusconismo. Un programma minimo è spesso un programma realizzabile.

Il programma di Fini era invece tanto vasto quanto incomprensibile. Lui e i suoi volevano abbandonare il Pdl, cosa facile. Volevano provocarne una scissione e l’hanno attuata. Volevano far cadere Berlusconi e ci sono quasi riusciti. Il problema che non hanno risolto è stato un altro: se Berlusconi fosse caduto, che ne sarebbe stato, di loro? Sarebbero andati al governo con Sinistra e Libertà? E se Berlusconi non fosse caduto, che ne sarebbe stato, di loro, con chi si sarebbero accasati?

Il problema è costantemente lo stesso: dov’è lo spazio politico per Fini e i suoi amici? Se, per ipotesi, insieme con lui fosse uscito dal Pdl l’80% del partito, sarebbe stato Berlusconi a ritrovarsi senza un appiglio, salvo accettare di essere un gregario della nuova compagine. Ma non è andata così. Né era concepibile che Fli si dichiarasse alleato del Pdl, e cioè pronto a seguirne fedelmente la linea, senza mai metterne in pericolo la sopravvivenza politica, come fa la Lega. Perché, in questo caso, non si sarebbe capito perché era uscito dal partito. Il problema di Futuro e Libertà era ed è: qual è il posto che vuole occupare questa formazione, e con quale funzione?

Essa non può andare a destra col Pdl, perché ne è uscita proprio per non stare lì; non può andare a sinistra, perché perderebbe per strada i già scarsi elettori; il centro, unica alternativa rimasta, fino a nuovo ordine è politicamente insignificante. Inoltre, se mai divenisse determinante, importante sarebbe Casini, che ha presidiato quel luogo politico con le truppe relativamente più numerose. Per Fini è disponibile solo un’onorevole carriera di portatore d’acqua dell’Udc.

Finalmente i giornali, inclusi quelli di sinistra che lo hanno cinicamente incoraggiato pur di danneggiare Berlusconi, si sono accorti di ciò che era chiaro sin da principio: il progetto non aveva futuro. E non c’è proprio da stupirsi della scomparsa di quel politico e dei suoi amici. Malgrado gli entusiasmi, le grida, le illusioni della folla, la banale, piatta, testarda realtà vince sempre. 

Fini non è uscito dalla strada del Pdl per imboccarne un’altra ma per buttarsi in un burrone. Giove rende pazzi coloro che vuol perdere.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

6 luglio 2011

 

FINI NEL BARATROultima modifica: 2011-07-06T15:08:51+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

7 pensieri su “FINI NEL BARATRO

  1. Se non gli avesse dato di volta il cervello, e senza fare niente di speciale, oggi Fini sarebbe probabilmente a capo del PDL al posto di Angelino Alfano.
    E con maggiore autorevolezza, in quanto almeno formalmente cofondatore del partito. Sarebbe bastato aspettare un anno.
    E vi prego di notare che Fini durante questo anno non ha mai ricevuto dalla base dei suoi elettori alcun segnale incoraggiante, ne ha ricevuti solo dalla stampa di sinistra, dagli oppositori.
    Ma anche l’ultimo babbeo sa che un traditore alla fine non lo vuole nessuno, ne’ gli ex-amici ne’ gli ex-nemici.
    Forse non gli ha veramente dato di volta il cervello: ha solo confuso il parlamento con l’elettorato, credendo che le trame ordite nel primo influenzino l’opinione del secondo. Ma funziona al contrario, e nel prossimo parlamento i “futuristi” potrebbero non essere rieletti.

  2. Mi rendo conto di essermi espresso male. Intendevo dire: anche nel caso che Fini con un colpo di mano si fosse impossessato del PDL, ipnotizzando l’80% dei parlamentari di maggioranza, non per questo gli elettori lo avrebbero seguito riconoscendogli una qualche leadership. Anche perche’ nessuno ha chiesto il loro parere, ma alla fine il loro parere e’ l’unica cosa che conta e che determinera’ il prossimo parlamento.

  3. Quello che comunque è certo è che l’operazione è nata morta. E che non lo abbia capito un politico di lungo corso come Fini è del tutto stupefacente.
    Chi si interessa di storia sa quanta parte abbia, in essa, l’errore. E uno dei più letali è la sottovalutazione dell’avversario. Ne sanno qualcosa Napoleone e Hitler.

  4. Ma anche l’ultimo babbeo sa che un traditore alla fine non lo vuole nessuno, ne’ gli ex-amici ne’ gli ex-nemici.

    Bossi lo vogliono eccome!

    Non solo Felice, ma anche romantico..

  5. Ma no, sig.Enrico, il paragone in realta’ non regge.
    Fini ha tradito il partito da lui stesso co-fondato e per merito del quale e’ stato eletto presidente della Camera. Altra cosa sarebbe stata se si fosse dimesso per dissenso.
    La Lega invece e’ un partito che nel 94 ha smesso di fornire l’appoggio parlamentare di coalizione, facendo cadere il governo compresi i propri ministri.
    (Vedasi anche la vicenda di Rifondazione Comunista con il governo di sinistra alla fine degli anni 90).
    Ora io credo che gli elettori non sopportino chi cambia radicalmente idea senza pagare di persona, soprattutto se e’ appunto una persona. Le promesse dei partiti (appoggio in cambio di provvedimenti) hanno tutt’altro valore.

  6. “La Lega invece e’ un partito che nel 94 ha smesso di fornire l’appoggio parlamentare di coalizione, facendo cadere il governo compresi i propri ministri” Lei dimentica il seguito. cioè Bossi che dà del mafioso a Berlusconi e Berlusconi che (esattamente come ha da poco fatto con Fini) dice che non si siederà mai più a un tavolo con lui.
    Resta il fatto che l’analisi di Pardo è fondamentalmente condivisibile.
    Comunque con queste premesse non mi stupirei se nel 2013 (o prima) si alleassero nuovamente.

  7. Non sono del tutto d’accordo con Felice. Fini era un “traditore” anche prima della sua svolta antiberlusconiana: ha detto tutto ed il contrario di tutto su tutto, in maniera impressionante anche per chi osserva la politica con disincanto. E proprio dicendo in continuazione il contrario di quanto sostenuto anche con ardore fino al giorno prima, “tradendo” quindi se stesso e chi lo votava per le sue posizioni, l’elettorato lo aveva sempre premiato. In realtà la gente dimentica in fretta e lui conta proprio su questo, ma il problema stavolta è strutturale: come ha più volte evidenziato Gianni Pardo, non esiste una collocazione per la sua formazione politica. Nessuno ha capito dove vuole andare, e probabilmente nemmeno lui.
    Riguardo al fatto che se fosse rimasto oggi sarebbe lui al posto di Alfano, ho qualche dubbio. Non so se Berlusconi avrebbe fatto quella mossa con lui.

I commenti sono chiusi.