LO SCIENZIATO PUO’ ESSERE UN FANATICO

Il fatto è doloroso(1). Un bambino di quattro anni è stato portato in ospedale morente (o morto, le versioni differiscono) perché curato solo con le specialità della medicina alternativa in cui credono i genitori. Il padre è il dr. Luigi Marcello Monsellato, uno psicoterapeuta di Miggiano (Lecce), ex responsabile del Centro dell’Istituto di dinamica comportamentale di Ferrara e soprattutto omeopata e presidente onorario dell’Amos (l’accademia nazionale di medicina “omeosinergetica”).

Dal momento che non c’è ragione di pensare che i genitori non amassero questo bambino, è opportuno rispettare la loro tragedia e astenersi da facili condanne. Né val la pena di riprendere il discorso teorico sulla validità dell’omeopatia come medicina alternativa(2): infatti l’episodio ispira una ancor più seria riflessione. 

La parola “scienza” è un sinonimo di “sapere”. Ecco perché, per secoli, anche la teologia è stata una scienza. Con Galilei la parola ha assunto invece un significato più ristretto: non più sapere qualcosa, ma sapere qualcosa per averla dimostrata mediante un esperimento o comunque perché è una constatazione da tutti accettata. La parola ha acquistato, per antonomasia, il significato di “scienza sperimentale”. E senza l’esperimento (o l’osservazione innegabile) non si ha scienza.

Le regole di questo metodo sono state molto chiaramente esposte dal grande Galileo. Egli ha precisamente determinato il protocollo per giungere all’affermazione di un dato. Lo scienziato non può dire “ho l’impressione”, “credo”, “mi dicono”. O è in grado di dimostrare ciò che pensa, con un esperimento che altri scienziati possano replicare autonomamente e giungendo alle stesse inevitabili conclusioni, oppure può certo parlare, ma non come scienziato. 

In medicina può avvenire che, pure essendo in dubbio, si sia costretti a scegliere la terapia per un paziente: ma il dottore potrà dire che “quella era la cura giusta” solo se il malato effettivamente guarisce. Le semplici convinzioni in campo scientifico non hanno cittadinanza e si richiede la più umile sottomissione ai fatti. Manzoni ha preso in giro la cultura di Don Ferrante il quale affermava che non c’era da avere paura della peste perché essa non era né sostanza né accidente. Quel ragionamento, visto che la gente moriva, ci appare semplicemente stupido: ma allora, data la mentalità del tempo, non lo era del tutto. Per secoli e millenni anche lo studio della natura ha fatto parte della filosofia ed è stato affrontato con i suoi metodi.

Viceversa lo scienziato moderno accetterebbe senza esitare l’affermazione che mangiando due chili di carote fritte si guarisce della leucemia se in quel modo si salvasse anche solo l’80% dei malati. L’oncologo non saprebbe come opera quel rimedio, ma non metterebbe in dubbio il risultato evidente ed inviterebbe i suoi propri clienti a curarsi al più presto in quel modo. Del resto, per molti decenni la medicina ufficiale si è servita dell’aspirina senza sapere come funzionasse l’acido acetilsalicilico.

Il caso di cui parlano i giornali presenta uno scienziato, il dr.Monsellato, il quale crede così fermamente nell’omeopatia da non curare il figlio con i rimedi della farmacopea allopatica neanche in un caso gravissimo. Egli ha insistito con i rimedi alternativi (acqua fresca) fino a lasciarlo morire. Si può rimanere sconvolti dinanzi a tanta eroica fede e buona fede (una buona fede assassina, in fin di conti) ma la conclusione più importante è che la mentalità scientifica, anche quando si trasforma in una professione, è meno forte della dell’emotività, della passione e soprattutto del fanatismo. 

La maggior parte delle persone di scienza cerca di essere obiettiva e di seguire i canoni galileiani ma la semplice qualifica di scienziato non è garanzia di obiettività. Nel 1988 si sottopose un lembo della Sacra Sindone al sistema di datazione col Carbonio 14 e ne risultò che il tessuto era stato realizzato nel Quattordicesimo Secolo o giù di lì. Come sempre in materia di datazione, se si fosse trattato di qualunque altro oggetto, la discussione si sarebbe conclusa lì. Invece i credenti, sostenuti da scienziati anche loro credenti, si arrampicarono sugli specchi per negare il risultato. Il metodo usato non era stato quello giusto, non si era tenuto conto di questo e di quest’altro, la Sacra Sindone è obbligatoriamente il sudario di Cristo. La Chiesa Cattolica prudentemente non si è mai sbilanciata, in questo campo, ma certi scienziati sono più realisti del re.

Del resto, se non fossero anche loro esseri umani passionali, come potrebbe i medici omeopati rifiutare di sottoporre le loro cure al controllo del cosiddetto “doppio cieco”? La verità è che per credere fermamente la miglior cosa è rifiutare i controlli.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

24 ottobre 2011

(1)http://www.corriere.it/cronache/11_ottobre_22/cure-omeopatiche-bimbo-muore_623c538e-fc7d-11e0-92e3-d0ce15270601.shtml

(2)http://pardo.ilcannocchiale.it/?TAG=OMEOPATIA

 
LO SCIENZIATO PUO’ ESSERE UN FANATICOultima modifica: 2011-10-24T09:12:21+02:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “LO SCIENZIATO PUO’ ESSERE UN FANATICO

  1. Mi consenta Pardo: uno psicoterapeuta non è uno scienziato. E’ uno psicoterapeuta. Se in più ha la qualifica di psicologo anzichè psichiatra – la cosa non s’evince – la specifica scientificità del caso è davvero ridotta all’osso. Questa dovrebbe semmai essere riflessione sulla stupidità umana, o diciamo pure grado di credulonità, autoconvincimento nei confronti del non dimostrato, non sulla scienza che qui ha gran poco cui ammiccare. Il metodo cartesiano lasciamolo ai veri latori del medesimo.
    Comunque per rispondere contestualmente mi avvalgo del sensato adagio: se l’omeopatia funzionasse, si chiamerebbe medicina. Altro da dire mi pare non c’è.

  2. Il dottor Monsellato è un medico. L’essere uno psicoterapeuta qui non c’entra: il bambino non soffriva di problemi psichici e andava curato da un medico normale. Come è il dr.Monsellato, se solo se lo ricordasse al momento opportuno.
    Ho usato il termine “scienziato” come “professionista della scienza”. Ecco perché sono scandalizzato se vedo una semplice professoressa di scienze naturali leggere l’oroscopo. Perché da quel momento saprò che ha studiato il contenuto della scienza, ne ha fatto il suo mestiere, si guadagna lo stipendio, ma non ha la mentalità scientifica.
    Ma non ne facciamo una questione di lessico: ci siamo già capiti.

  3. Siamo d’accordo. E’ che arrivo dalla parte opposta della barricata scienza/umanesimo rispetto alla sua e per me scienziato è altro tipo d’individuo. La questione di lessico nelle mie percezioni ha importanza, per quanto qui solo formalmente.
    Anche a me capita lettura di qualche riga d’oroscopo di quando in quando per farmi due risate, ma appunto per farmi due risate. Se avesse qualche valore scientifico, anche questo si chiamerebbe altro che non astrologia. Il punto è, come detto, il riconoscimento dei rispettivi ambiti di intervento, la medicina per le faccende mediche, l’omeopatia per fastidi marginali, effetti placebo e simili. Sono sicuro che qualche effetto sull’organismo l’uso di erbe e pozioni a base naturale lo abbia, e conosco io stesso medici con all’attivo approfondimenti post-laurea in pratiche omeopatiche; è sufficiente che il medico si ricordi d’essere medico come dice lei, e non si metta a curare con le erbe altro che non un fastidio stagionale, men che meno malanni che tra le conseguenze annoverano esiti fatali. Un medico, e padre, che sottostimi tali rapporti di causa-effetto certo dovrebbe farsi un sano esame di coscienza.

  4. Non lo scriverei in un articolo, per non essere eccessivamente assertivo, ma in un commento me lo consento. Crederei che lei non dà nessuna importanza all’oroscopo se lei, essendo leone, leggesse sempre il primo o il secondo oroscopo, ariete o toro. Se invece legge quello che corrisponde al suo segno, allora lei sta controllando se funziona o no. E già questo, per la mia mentalità “scientifica”, è eccessivo
    In secondo luogo, per quanto riguarda l’omeopatia, mentre consento in tutto e per tutto sull’effetto placebo, sono in totale disaccordo per quanto riguarda la reale efficacia. Non delle erbe e derivati accettati nella farmacopea ufficiale (la belladonna, per esempio), ma degli intrugli con le famose diluizioni di Hanemann.
    Sono dunque in disaccordo con lei quando scrive: “Sono sicuro che qualche effetto sull’organismo l’uso di erbe e pozioni a base naturale lo abbia”. Come fa ad esserne sicuro, se l’omeopatia si è sempre rifiutata di sottoporsi alle prove cliniche col sistema del doppio cieco?
    Poi, ripeto, uno può credere quello che vuole. Ma non si può credere all’omeopatia per motivi scientifici. Se l’omeopatia fosse scienza, farebbe parte della medicina ufficiale, come ha detto qualcuno qui stesso.
    Come vede sono rigido, in materia di scienza. Forse dipende dalla mia venerazione del principio di realtà.

  5. Sono sicuro che abbia effetto come sono sicuro della efficacia di un caffè per destare l’attenzione. E’ una sicurezza in credito diciamo, concedo che l’uso secolare di certe erbe a conoscenza e opera per esempio delle abbazie serva come approccio a una ristrettissima casistica di medicamenti, per diciamo lenire più che altro. Ma la mia generosità appunto si ferma qui, nè mi farei curare dalla pratica omeopatica per malanni seri, e in effetti non l’ho mai fatto del tutto. Do il minimo credito che si riserva agli erbari di cistercense memoria: perchè è vero che determinate erbe hanno determinate proprietà. Da qui, il discorso si chiude, anche perchè appunto la ‘medicina’ omeopatica si è sempre rifiutata di sottoporsi a verifica empirica, e pure è recente la lettura di un caso giudiziario in cui succedeva esattamente questo, il signor nessuno che scrive in internet della inefficacia di un certo ‘medicinale’, la ditta omeopatica che saputolo lo querela – grave errore – la bolla privata che si estende in breve sul web, la ditta querelante costretta a far buon viso e ritirare le accuse.
    L’oroscopo non lo guardo io, nè il mio segno nè altri; è che convivendo magari lo fa qualcun altro, per ridere, e allora si ride in due. Senza dire che gli stessi oracoli che scrivono quei vaticinii sui quotidiani – sono una manciata – si può verificare come a volte scrivano una cosa su un giornale, e l’opposto su un altro. Ergo.
    La rigidità mi piace in ambito scientifico, non se ne abbia. In effetti è l’unico metodo praticabile e chi lo rifugge, come sappiamo, svela code di paglia.

  6. Ma allora siamo d’accordo!
    Lei parla di erbe, io parlo di omeopatia, guardi che non sono la stessa cosa. Se io mi faccio un infuso di camomilla (odio l’infuso di camomilla, ma facciamo l’ipotesi), io ho gli effetti della camomilla. Su questo non ci piove. Esattamente – l’esempio suo – se prendo un caffè. Il fatto è che le dosi omeopatiche, in seguito alle successive diluizioni, sono centinaia di volte inferiori a quelle di una camomilla. La prego, mi rassicuri: veda se non ha confuso erboristeria e omeopatia. Nel quale caso avremmo sbagliato discussione. Ma guardi che è lei che ha parlato di “erbari di cistercense memoria”, l’omeopatia è tutt’altro.
    Mi scusi per avere capito che leggeva l’oroscopo.
    Vedo che in materia di scienza siamo “feroci” tutti e due.

  7. Certo che siamo d’accordo, lo eravamo da principio. Il mio riferire alle erbe era un esempio, è chiaro che l’omeopatia è altro, per quanto talmente minimo è il mio interesse del soggetto che non nego la pigrizia di sbrigarla associandola ai rimedi naturali tout court. In effetti l’etimologia è precisa a definirla altrimenti e in questo ha ragione lei.
    Quello scientifico è un ottimo metodo per rappresentare la realtà. E’ binario, si no, giusto sbagliato, provato ed efficace o be’ fatale come abbiamo visto, la scienza se ne frega del volere dello scienziato: se la risultanza non collima con la sua teoria questi ha poco da pestare i piedi, è la teoria ad essere sbagliata. La realtà ha sempre ragione.
    La sua e mia non è ferocia Pardo: solo rigore, rispetto del metodo. Più cose della vita ci s’attenessero, noi si vivrebbe tutti enormemente meglio.
    Ma poi di che ciancerebbero i giornali?

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