CRISI: PERCHÉ GRECIA, ITALIA E SPAGNA

Il mondo è in crisi, dal punto di vista economico. Non c’è nessuno che può salire sul pulpito per sermoneggiare, neanche gli Stati Uniti, ma sta peggio chi è inserito nell’area euro. La “moneta unica” è utile quando è la conseguenza di una unione politica, economica e fiscale, non quando si sogna che ne sia la causa. Anche nell’era della più avanzata tecnologia non è consigliabile mettere il carro dinanzi ai buoi.

Ci si può comunque chiedere come mai, negli stessi decenni in cui l’Europa e l’America sono andate sempre più indietro, altri Paesi e in particolare la Cina siano andati avanti come bolidi. La spiegazione, per il successo economico dei Paesi extraeuropei, è ben nota: un basso costo del lavoro coniugato con un alto livello di scolarità. Essendo disposti a vendere a prezzi concorrenziali le cose che credevamo di essere i soli a saper fare, non potevano non buttarci fuori mercato. Cominciò il Giappone, poi vennero Taiwan, la Corea del Sud, e gli altri. Infine, quando la Cina si è svegliata, ci ha stesi tutti.

Ma la crisi ha colpito e colpisce soprattutto Grecia, Italia e Spagna. Queste nazioni non riescono a rimettersi in moto per salvarsi neppure nel momento in cui si parla di default e la ragione di questo dramma è “culturale”.

Il riscatto del popolo, cominciato con la Rivoluzione Francese, prima è stato “borghese”, poi “proletario”. Il profeta Karl Marx ha indotto quasi metà dell’orbe terracqueo a provare l’esperimento del socialismo reale e il risultato è stato invariabilmente la miseria e la dittatura. Infatti in nessun posto il comunismo è tanto fallito quanto negli Paesi ex comunisti: l’esperienza concreta è chiara anche agli analfabeti.

Ma il comunismo dal punto di vista culturale e sociale ha dominato anche dove non è andato al governo. In Spagna prima della Seconda Guerra Mondiale e in Grecia subito dopo si sono addirittura combattute delle guerre civili in cui una delle fazioni aveva come credo il comunismo. Quanto all’Italia, ha avuto per decenni il più grande Partito Comunista del mondo fra i Paesi liberi. Ancora oggi da noi un intellettuale si vergogna se non è di sinistra.

Naturalmente l’élite ha influenzato i cittadini normali sicché la mentalità socialista, statalista e vagamente collettivista è divenuta vangelo. Il risultato è stato un aumento costante dei compiti e del peso fiscale dello Stato il quale, essendo caratterizzato da bassa produttività ed alti costi, ha finito col paralizzare e impoverire la nazione. Esso ha scoraggiato l’iniziativa privata, ha pressoché annullato la mobilità lavorativa ed ha obbedito alle tendenze deteriori di odio agli abbienti (basti pensare alla legge dell’“equo canone”, che ha ammazzato l’edilizia). Il socialismo ha finito con l’essere la caratteristica di tutti i partiti, di destra come di sinistra: del resto lo stesso Mussolini aveva radici politiche socialiste e Hitler non a caso ha fondato un partito nazionalsocialista. Ma mentre la Cina il comunismo l’ha veramente assaggiato, e rinnegandolo si è buttata su un liberalismo economico pressoché selvaggio, fino ad arricchirsi in modo inverosimile, i tre Paesi mediterranei il comunismo non lo hanno mai veramente provato. Lo hanno vagheggiato e hanno pensato che le sue promesse sarebbero state mantenute se solo si fosse abbattuto lo Stato borghese. Da noi la lezione non è stata appresa. Se abbiamo creato la tragedia del debito pubblico è perché, nel momento in cui bisognava spendere, far di conto sarebbe stato da reazionari e liberisti. Se il popolo chiedeva qualcosa non gli si poteva dire di no. Per demagogia i governanti, soprattutto quelli del “Partito di centro che guarda a sinistra”, non si chiedevano se ci si poteva permettere il provvedimento: pensavano solo a mostrarsi preoccupati dei bisogni del popolo e a farsi rieleggere. E il popolo li rieleggeva.

Chi ha provato il comunismo e lo abbandona vede la propria economia ripartire. Se invece l’intero popolo è impregnato di idee comuniste e premia col voto solo i politici che lo illudono in questo senso, ci si avvia verso una inarrestabile decadenza economica.

Se oggi in Grecia come in Italia non si riesce a fare marcia indietro verso un’amministrazione della cosa pubblica meno demenziale è perché le resistenze sono insormontabili. Ancora oggi la Lega, che pure fa parte della coalizione di governo, si oppone alla riforma delle pensioni. Perché, si sa, le conquiste socialiste del popolo sono irrevocabili e la controrivoluzione merita un colpo di piccozza in testa.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

25 ottobre 2011

CRISI: PERCHÉ GRECIA, ITALIA E SPAGNAultima modifica: 2011-10-25T08:30:38+02:00da gianni.pardo
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