RIFORME CONDIVISE? “TIÈ!”

Volendo mostrare le ragioni che militano a favore della monarchia e contro la repubblica, qualcuno una volta disse che mentre il re sa che rimarrà al suo posto per decenni e che del suo agire risponderà alla storia, il politico pensa a ciò che può avvenire nei due o tre anni successivi, in particolare alla propria rielezione, e sarà dunque più sensibile alla demagogia che ai reali bisogni della nazione. 

C’è inoltre un’enorme differenza fra i poteri di un re e quelli di un Primo Ministro in una Repubblica come quella italiana. Il primo può agire come reputa opportuno, il secondo ha solo compiti inconsistenti e fondati più che altro sull’autorevolezza. Il primo ha ogni responsabilità ma anche ogni potere, il secondo ha tutte le responsabilità senza avere nessun potere.

L’art.95 recita: “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. 

I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”. 

Come si vede, i verbi sono generici: “dirige, mantiene l’unità d’indirizzo, promuove, coordina”. Ma se non ha il diritto di ordinare o imporre alcunché, se non ha neanche il potere di licenziare i ministri, se dell’attività di governo sono responsabili tutti insieme i ministri, che senso ha dire che il Primo Ministro è “responsabile” della politica del Governo?

Malgrado questa sia la realtà chiaramente consacrata nella Costituzione, gli italiani rimangono convinti che il governo Craxi sia stato quello in cui comandava Craxi e un governo Berlusconi sia un governo in cui comanda Berlusconi. E non c’è modo di convincere l’opinione pubblica che questo è un errore. 

Una vecchia gag parla di un soldato che, col telefono da campo, chiama il comando e afferma di avere fatto cinque prigionieri. “Portali qui”, gli rispondono. “Il fatto è che non vogliono venire”, risponde il soldato. Nello stesso modo, dinanzi ad un rimprovero del Parlamento o della stampa, il Primo Ministro potrebbe sempre rispondere: “Gliel’ho detto che sbagliavano”. 

L’art.95 della nostra venerata Costituzione stabilisce in tutto che il Primo Ministro siede al centro. Di fatto non governa Berlusconi, governa una maggioranza composita che ha una paura folle dell’impopolarità, delle critiche dell’opposizione e dei sindacati. Per questo non osa fare niente di serio e al primo stormire di foglie ritira provvedimenti a lungo pubblicizzati. Fino a farsi la fama di inconcludente. Ma alla fine la gente dà la colpa a Berlusconi, dimenticando che se avesse dei poteri, li avrebbe usati innanzi tutto per far votare leggi che facessero cessare la persecuzione giudiziaria nei suoi confronti.

Ma abbiamo sotto gli occhi un esempio ancor più evidente. L’Italia è sotto l’attenta osservazione di un arbitro esterno, l’Unione Europea, il quale ci chiede riforme nell’ambito previdenziale e nella legislazione riguardante il lavoro subordinato che tutte le persone di buon senso reputano necessarie da decenni. Quella delle pensioni fu addirittura tentata dal primo governo Berlusconi, nel 1994, appena arrivato al potere, e forse per essa cadde. Ora questi provvedimenti ce li impone la necessità, il governo adotta i più miti che può, e naturalmente almeno la sua maggioranza dovrebbe sostenerlo. Invece la Lega Nord a momenti si mette di traverso e – dicono – Tremonti nemmeno firma la “lettera“. La sinistra accusa il governo di avere adottato provvedimenti contemporaneamente insufficienti e malvagi; i sindacati, perfino la Cisl, annunciano proteste. Per non parlare di quegli specialisti della quadratura del cerchio che sono i giornalisti, ormai al novanta per cento all’opposizione (in particolare il “Corriere della Sera”).

Naturalmente i competenti – sia nel campo politico che nel campo della pubblica opinione – sanno benissimo che il governo non poteva fare niente di diverso. Sanno benissimo che loro stessi, al governo, non si sarebbero comportati in altro modo. Ma manifestare questa posizione non assicurerebbe alcun prestigio, mentre la critica fa apparire molto intelligenti e molto preoccupati delle sorti del popolo. Da noi la demagogia paga eccome. Col bel risultato che il popolo si sente maltrattato per pura nequizia e stupidità del governo, come se in Italia ci fosse ancora bisogno di screditare lo Stato. 

Se le riforme non si possono fare con un minimo di concordia nemmeno in queste condizioni, è bene riconoscere che questa è la realtà. Con buona pace del supremo ammonitore Napolitano. 

In Italia non governa Berlusconi ma il governo; anzi, non il governo, la maggioranza; anzi, non la maggioranza, il popolo; anzi, non il popolo, i demagoghi. Cioè coloro che, se va bene, sono disonesti, e se va male sono sinceri e fanno ancora più danni.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

27 ottobre 2011

 
RIFORME CONDIVISE? “TIÈ!”ultima modifica: 2011-10-27T10:00:59+02:00da gianni.pardo
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