“LE MONDE” PARLA DI BERLUSCONI

Una traduzione dal “Monde” che, facendo un bilancio degli anni berlusconiani, fa comprendere il perché della cattiva fama dell’ex Primo Ministro italiano all’estero. Sono interpolate nella traduzione (di Gianni Pardo) alcune note in corsivo del traduttore

 

Dopo dieci anni di regno, Silvio Berlusconi lascia l’Italia nello stato in cui l’ha trovata, di Philippe Ridet.

Troppo tardive, troppo rare, le parole “responsabilità” e “coscienza”, usate martedì 8 novembre, dopo che Silvio Berlusconi aveva presentato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non basteranno a rilasciargli un brevetto di uomo di Stato. Dopo quasi dieci anni di regno nel corso degli ultimi diciassette anni, lascia l’Italia, più o meno, nello stato in cui l’ha trovata quando è arrivato per la prima volta al potere nel 1994. Per ciò che riguarda la sua fortuna personale e i suoi processi, in compenso, tutto va meglio (Per esempio facendo pagare ad una sua impresa 560 milioni di euro in base ad una sentenza che contrasta in modo patente col codice di diritto processuale civile. Ma tutto va benissimo).

Il bilancio del presidente del consiglio uscente è magro.  Non è riuscito a realizzare la “rivoluzione liberale” che aveva promesso. Le imposte, che voleva ridurre, sono aumentate per coloro che le pagano. La frattura fra il Nord, ricco e dinamico, e il Sud, povero e assistito, s’è ingrandita. La giustizia, lenta e ingolfata, lo è ancora. Lo Stato, inefficace, resta frazionato in regioni, province e comuni, dalle competenze inestricabili. L’esecutivo, sotto la pressione costante del Parlamento, è sempre debole come prima. La televisione pubblica è sempre tenuta sotto chiave dai partiti che vi si servono come a casa loro. La crescita continua a stagnare.

“Sono stanco di non potere dettare la linea politica, di non riuscire a fare le riforme che vorrei, ha spiegato il sig.Berlusconi al direttore della Stampa, Mario Calabresi, nelle confidenze pubblicate il 9 novembre dal quotidiano torinese. Ho ormai più potere come semplice cittadino che come presidente del consiglio”. In un certo modo, ha ragione: l’Italia si distingue per la presenza di una rete di poteri (sindacati, ordini professionali, partiti, Chiesa) la cui prima preoccupazione è che nulla cambi.

Ma ha lo stesso interamente torto. Mai un presidente del consiglio ha beneficiato di altrettanta popolarità, di altrettanti mezzi finanziari e mediatici, di una tale influenza nel suo campo per riformare il Paese. Prendendo il potere sulla rovina della Prima Repubblica azzerata dagli scandali o sul durevole discredito della sinistra, aveva una grande strada aperta, dinanzi a lui. 

Questa impotenza ha una spiegazione: il conflitto d’interessi. Silvio, l’uomo d’affari, ha considerevolmente ridotto i margini di manovra di Berlusconi, presidente del consiglio, supponendo che il suo desiderio di riformare l’Italia sia stato sincero.  Come cambiare il funzionamento dell’audiovisivo pubblico quando si possiedono tre catene di televisioni, una casa editrice e 40 giornali ? (Si sarebbe lieti di conoscere il nome di queste quaranta testate. Il lettore francese presume che Silvio Berlusconi possegga quaranta quotidiani mentre in realtà non ne possiede neppure uno. Ma così si fa l’informazione, quando si è scrupolosi.) Come riformare la giustizia quando si sono subiti ventisette processi, di cui tre sono ancora in corso? (E il giornalista non crede utile far sapere che i ventiquattro processi si sono conclusi o con la prescrizione o con l’assoluzione. Il che corrisponde a dire che da un lato la giustizia italiana è inefficiente (le prescrizioni), dall’altro che perseguita gli innocenti. Ma questo, è ovvio, non interessa ai francesi). Come riformare gli ordini professionali quando si fanno eleggere i propri avvocati alla Camera dei Deputati? (E che c’entra questo con gli ordini professionali? Da un lato, non c’è solo l’ordine professionale degli avvocati, dall’altro la presenza di uno o due avvocati di Berlusconi in Parlamento che differenza fa? Ma già, basta buttarla lì. Il lettore francese non capisce ma pensa che l’autore dell’articolo sappia quello che scrive). Come ricuperare le imposte evase quando è egli stesso un evasore? (Pura calunnia. Berlusconi non è mai stato condannato per evasione fiscale. Inoltre il giornalista è abbastanza sciocco per credere che un evasore fiscale favorirebbe altri evasori. All’evasore interessa non essere scoperto, non posare a patrono degli evasori. E, di fatto, in Italia, come ha detto ripetutamente, senza possibilità di smentita, il ministro Maroni, mai erano stati ricuperati tanti miliardi di impose evase. Ma tutto questo non interessa al lettore francese). Come affermare l’autorità dello Stato quando il suo principale alleato, la Lega Nord, difende l’autonomia del nord del Paese? (Un’altra baggianata che Ridet poteva risparmiarsi. Qui si parla di autonomia, in America abbiamo Stati, per quanto Uniti, e manca per questo l’autorità dello Stato? E manca forse in Svizzera, che è una Confederazione? Ma costui, direbbero a Napoli, “parla a spiovere”?) Come rappresentare il genio dell’Italia quando si è adepti del “bunga bunga”? (Sarebbe bene ricordare – ma forse Ridet non lo sa – che quella del bunga bunga è una barzelletta raccontata dallo stesso Berlusconi. E che un uomo di Stato non si giudica dalla sua vita sessuale. Questo vale, fino ad un certo punto, solo per gli arcivescovi e i cardinali. Oppure il sig.Ridet dovrebbe proclamare primo in classifica, tra i figli di puttana, un certo Louis XIV, le Roi Soleil, se ha sentito parlare della sua vita sessuale)

In queste condizioni, il grande disegno d’una nuova Italia ha presto incontrato i suoi limiti. Il sig.Berlusconi non ne è sembrato dispiaciuto. Al contrario, si è contentato di piccole riforme dalle conseguenze molto vantaggiose per lui stesso. (Per esempio la più grande riforma della Costituzione, che poi la sinistra si incaricò di far revocare con un referendum, pur riconoscendo che conteneva molte opportune modifiche. Ma questo non interessa al lettore francese. Come non interessa la riforma della Scuola e dell’Università, ecc). Due o tre esempi: la legge Gasparri, che gli permette senza problemi di continuare a fruire di una posizione dominante nei media; l’abbreviazione dei termini di prescrizione per i delitti che lo riguardano (Una legge che non conosciamo, ma può darsi che ci sbagliamo. Non deve trattarsi della cosiddetta “prescrizione breve”, perché quella non è passata, sempre se ricordiamo bene) o la depenalizzazione del falso in bilancio (Ancora un falso. Sono stati depenalizzati i casi non gravi, quelli gravi sono ancora oggi puniti con anni di carcere. Ma queste sottigliezze al lettore francese non interessano. Come completezza e correttezza di informazione questo articolo non ha nulla da invidiare all’Unità). La sua prematura uscita di scena mette fine – provvisoriamente? – ai suoi tentativi di ridurre la durate delle procedure a sei anni e di punire con multe, o addirittura con la prigione, i giornalisti che divulgano documenti dell’istruzione (verbali d’interrogatori e intercettazioni telefoniche).

Perfino la sua reputazione di “uomo d’azione”, capace di tutti i miracoli, non resiste all’analisi. Nel 2008 promette di por fine allo scandalo dell’immondizia che ricopre le strade di Napoli. E invece essa è tornata (Il giornalista omette di dire che caso mai Berlusconi l’errore lo fece quando riuscì a farla sparire: perché la raccolta dell’immondizia non è compito del potere centrale, ma del potere locale, e oggi di De Magistris. Invece lui racconta ai suoi lettori che la sporcizia di Napoli è colpa di Roma. E allora perché Torino è pulita? Berlusconi andava di notte a spazzare le strade di Torino?). Nel 2009, dopo il terremoto dell’Aquila, promette di ricostruire la città. Gli abitanti dormiranno ancora a lungo nelle case popolari antisismiche intorno alla città prima di rientrare nelle loro case (Il giornalista omette di ricordare che in Italia è la prima volta che dei terremotati hanno nuove case [e non HLM nel senso francese, le conosco benissimo quelle topaie] in un tempo così breve, prima dell’arrivo del freddo. Ma è una storia vecchia. Gli ebrei finirono col lamentarsi della manna. E comunque mai Berlusconi ha potuto promettere di “ricostruire la città”. L’Aquila è una vecchia città e se un terremoto – Dio non voglia – distruggesse Roma che faremmo, ricostruiremmo il Colosseo, il Pantheon e tutti i palazzi? “Ricostruire la città” è un’espressione demenziale. E sarebbe anche stupido farlo. Certe case sono crollate perché non antisismiche e, se si volesse ricostruirle “come erano”, bisognerebbe ricostruirle fragili come erano. Ma lasciamo perdere). 

Malgrado questo patente fallimento, il sig.Berlusconi è tuttavia riuscito ad apportare un po’ di stabilità politica all’Italia che, prima del suo arrivo al potere, cambiava governo ogni sei mesi (Non è esatto, ogni undici. È anche questo un tempo brevissimo, ma un giornalista serio non spara numeri a caso). Rimane lo stesso un precursore avendo costruito nel 1994, grazie ai quadri della sua agenzia pubblicitaria un partito, Forza Italia, che vinceva le elezioni alcuni mesi più tardi. Ha innovato mettendo sotto lo sguardo degli italiani la sua vita personale (il suo successo e la sua famiglia) e il suo corpo (sorridente o martirizzato dal gesto di un pazzo che gli ha lanciato una statuetta (Non una statuetta, una miniatura in marmo del duomo di Milano. Le statue sono quelle delle persone. E una la meriterebbe anche Ridet: “al giornalista obiettivo e bene informato”) in faccia nel dicembre del 2010). Altri ne seguiranno le orme.

Rimane infine l’impronta culturale. Ci vorrà sicuramente molto tempo perché sia cancellata. Diciassette anni di berlusconismo hanno profondamente modificato la mentalità degli italiani o hanno amplificato i loro difetti, secondo le opinioni. La sua partenza permetterà forse di distinguere le responsabilità degli uni e degli altri in questa relazione. Un giorno forse si saprà se il sig.Berlusconi ha reso gli italiani simili a lui o se sia stato il contrario (e chissà, si saprà pure se il sig.Ridet sull’Italia ha mai letto un giornale che non fosse “La Repubblica”. Comunque è chiaro che se all’estero, anche leggendo giornali rinomati come “Le Monde”, hanno solo questo genere di informazioni, non possono certo avere una grande considerazione di Silvio Berlusconi. Ma, trattato così, anche quel famoso Roi Soleil sarebbe risultato soltanto un puttaniere guerrafondaio ). 

Philippe Ridet.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

13 novembre 2011

 

Après dix ans de règne, Silvio Berlusconi laisse l’Italie dans l’état où il l’a trouvée

  | 12.11.11 | 13h24   •  Mis à jour le 12.11.11 | 13h28

ROME CORRESPONDANT – Trop tardifs, trop rares, les mots de “responsabilité” et de”conscience” employés mardi 8 novembre, après que Silvio Berlusconi eut remis sa démission au président de la République, Giorgio Napolitano, ne suffiront pas à lui décerner un brevet d’homme d’Etat. Après presque dix ans de règne au cours des dix-sept dernières années, il laisse l’Italie, peu ou prou, dans l’état où il l’a trouvée lorsqu’il est arrivé pour la première fois au pouvoir en 1994. Pour ce qui concerne sa fortune personnelle et ses procès, en revanche, tout va mieux.

Le bilan du président du conseil sortant est mince. Il n’a pas réussi à conduire la”révolution libérale” qu’il avait promise. Les impôts, qu’il voulait réduire, ont augmenté pour ceux qui les payent. La fracture entre le Nord, riche et dynamique, et le Sud, pauvre et assisté, s’est agrandie. La justice, lente et encombrée, l’est toujours. L’Etat, inefficace, reste fractionné en régions, provinces et communes, aux compétences inextricables. L’exécutif, sous pression permanente du Parlement, est toujours aussi faible. La télévision publique est toujours cadenassée par les partis qui y ont leur rond de serviette. La croissance continue de stagner. 

“Je suis fatigué de ne pas pouvoir dicter la ligne, de ne pas réussir à faire les réformes que je voudrais, a expliqué M. Berlusconi au directeur de La Stampa, Mario Calabresi, dans des confidences publiées le 9 novembre par le quotidien turinois. J’ai plus de pouvoir désormais comme simple citoyen que comme président du conseil.” D’une certaine façon, il a raison : l’Italie se distingue par la présence d’un réseau de pouvoirs (syndicats, ordres professionnels, partis, Eglise) dont le premier souci est que rien ne change.

Mais il a tout à fait tort également. Jamais un président du conseil n’a bénéficié d’autant de popularité, de moyens, financiers et médiatiques, d’une telle influence sur son camp pour réformer le pays. En prenant le pouvoir sur les ruines de la Première République laminée par les affaires ou sur le discrédit durable de la gauche, il avait devant lui un boulevard.

Cette impuissance a une explication : le conflit d’intérêts. Silvio, l’homme d’affaires, a considérablement réduit les marges de manoeuvre de Berlusconi, président du conseil, à supposer que son désir de réformer ait été sincère. Comment changer le fonctionnement de l’audiovisuel public quand on possède soi-même trois chaînes de télévision, une maison d’édition et 40 journaux ? Comment réformer la justice quand on a subi vingt-sept procès, dont trois sont en cours ? Comment réformer les ordres quand on fait élire ses avocats à la Chambre des députés ? Comment faire rentrer les impôts quand on est soi-même fraudeur ? Comment affirmer l’autorité de l’Etat quand son principal allié, la Ligue du Nord, défend l’autonomie du nord du pays ? Comment représenter le génie de l’Italie quand on est adepte du “bunga-bunga” ?

Dans ces conditions, le grand dessein d’une Italie nouvelle a vite trouvé ses limites. M. Berlusconi n’a pas paru le regretter. A la place, il s’est contenté de petites réformes aux conséquences très avantageuses pour lui. Deux ou trois exemples : la loi Gasparri, qui lui permet sans problème de continuer de jouird’une position dominante dans les médias ; le raccourcissement des délais de prescription pour les délits le concernant ou la dépénalisation du faux bilan. Sa sortie de scène prématurée met fin – provisoirement ? – à ses tentatives deramener la durée des procédures à six ans et de punir d’amendes, voire de prison, les journalistes divulgant des pièces de l’instruction (procès-verbaux et écoutes téléphoniques).

Même sa réputation d'”homme d’action” capable de tous les miracles ne résiste pas à l’analyse. En 2008, il promet de mettre fin au scandale des ordures qui jonchent les rues de Naples. Elles sont revenues. En 2009, après le tremblement de terre de L’Aquila, il promet de reconstruire la ville. Les habitants dormiront longtemps encore dans des HLM antisismiques en bordure de la ville avant deregagner leurs maisons.

Malgré cet échec patent, M. Berlusconi est toutefois parvenu à apporter un peu de stabilité politique à l’Italie qui, avant son arrivée au pouvoir, changeait de gouvernement tous les six mois. Il reste également un précurseur en ayant construit en 1994, grâce aux cadres de son agence de publicité, un parti (Forza Italia) qui l’emportait quelques mois plus tard. Il a innové en mettant sous le regard des Italiens sa vie personnelle (sa réussite et sa famille) et son corps (souriant ou martyrisé par le geste d’un fou qui lui lance une statuette au visage en décembre 2010). D’autres lui emboîteront le pas.

Reste enfin l’empreinte culturelle. Elle sera sans doute longue à s’effacer. Dix-sept ans de berlusconisme ont profondément modifié la mentalité des Italiens ou amplifié leurs défauts, c’est selon. Son départ permettra peut-être de démêler les responsabilités des uns et des autres dans cette relation. Un jour peut-être saura-t-on si M. Berlusconi a fait les Italiens à son image, ou le contraire.

Philippe Ridet

 
“LE MONDE” PARLA DI BERLUSCONIultima modifica: 2011-11-13T08:06:50+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

3 pensieri su ““LE MONDE” PARLA DI BERLUSCONI

  1. Caro Gianni Pardo,
    oltre a stimarla, spero di non offenderla dicendo che ogni tanto lei mi fa un po’ di tenerezza. Sono convinto che lei creda nella razionalita’ come mezzo di comunicazione tra persone, anche (o soprattutto) quando hanno opinioni molto diverse. Eppure io credo che qui non si tratti veramente di opinioni.
    Guardi, sono giunto a queste conclusioni: chi per professione sia un giornalista di Le Monde o di Repubblica o del Fatto Quotidiano, o appartenga al Popolo Viola degli Indignati ecc, ha almeno due caratteristiche fisse, obbligate.
    – Vive in un mondo completamente etico, morale, in cui “i valori” diventano una specie di religione.
    – Quella che lei chiama l’impronta culturale di Berlusconi, anche se l’uomo non governa o dovesse morire domattina, ha rappresentato un tale schiaffo, una tale ferita alla sua visione del mondo, da minare la lucidita’ di un tale interlocutore.
    In breve costui finge di analizzare, ma in realta’ odia: ragionare e odiare sono due attivita’ mentali incompatibili, non comunicanti. Inutile provarci.
    Credo nella buona fede del suo giornalista francese: quando si parla di Berlusconi queste persone pescano automaticamente in un armamentario di “fatti” dati per scontati, si aggrappano a sentenze provvisorie, al “tutti sanno ovviamente che”, scambiano ipotesi di reato per storie vere, perdendo in pratica un po’ il lume della ragione. Se Berlusconi lasciasse in eredita’ 100 milioni di euro alla Caritas, si arrampicherebbero sugli specchi con le mani insaponate per dimostrare che sotto sotto ne ha avuto un tornaconto. E’ coatto, “non possono” pensare diversamente.
    A che pro discutere con queste persone ? La prego, riservi per noi le sue energie.

I commenti sono chiusi.