IL PD DOPO LA ROTTURA DELLA CGIL

Habemus Papam. Il dilemma era: che avverrà se il governo veramente si intestardirà a cambiare l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori malgrado il dissenso della Cgil?

Se in Parlamento il Pd votasse contro la riforma, sarebbe definitivamente fuori dalla maggioranza che sostiene il governo Monti e alle prossime elezioni pagherebbe un prezzo altissimo. Il governo infatti non cadrebbe, essendo sostenuto da Pdl e Udc, e quello di Bersani sarebbe indicato come il partito che agli interessi dell’Italia ha preferito la retorica, la demagogia, l’ossequio ai miti della sinistra trinariciuta. “Il Pdl e l’Udc hanno salvato l’Italia mentre il Pd ha preferito la piazza ed ha tradito l’impegno assunto”.

“Se invece – come scrivevamo qualche giorno fa – il Pd decidesse di votare la fiducia al governo Monti, se pure condendo la decisione con tutta la retorica possibile a proposito del dovere di salvare la Patria, di fatto si attuerebbe la più grave frattura fra il Pd e la Cgil dell’era repubblicana. La conseguenza più ovvia sarebbe che soprattutto la sinistra estrema e quella extraparlamentare griderebbero che il Pd non è affatto ‘il partito dei lavoratori’, ma ‘il partito dei padroni’, ‘il servo dei capitalisti’, ‘l’alleato della Confindustria’ e, ancora peggio, uno che ha fatto un favore a Berlusconi”. 

Non è una previsione catastrofica e non nasce da un pregiudiziale disprezzo per la sinistra: ma questa parte politica è da sempre il punto di riferimento degli scontenti e degli idealisti utopici, cioè dei massimalisti. I massimalisti sono, in termini volgari, quelli che vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. E poiché in politica non si hanno scrupoli, tutti i vecchi rottami dell’estremismo di sinistra saranno felici di afferrare l’occasione con ambedue le mani. Gli insulti sono già pronti in magazzino. Come si diceva: “il partito dei padroni”, “il partito alleato con la Confindustria” e soprattutto “il partito di chi vuole i licenziamenti facili”. Dopo decenni di Quarantore e genuflessioni dinanzi all’art.18, come potrà il Pd spiegare alla propria base che quell’articolo era un errore?

Per giunta, la Cgil ha a sua disposizione un’eccellente argomentazione. Può dire – anzi la Camusso ha già detto – che in Germania, alla cui legislazione si è fatto riferimento in questa occasione, per i licenziamenti si dà al giudice la possibilità di scegliere fra l’indennizzo e il reintegro, mentre da noi per i licenziamenti “economici” è previsto solo l’indennizzo. E siamo sicuri che non si vestirà di ragioni “economiche” un licenziamento disciplinare o discriminatorio?

Giusta domanda. Cui nessun uomo delle istituzioni può dare in pubblico, e decentemente, la risposta giusta, la quale tuttavia è elementare: “Cara Cgil, in Germania forse ci si fida di quel giudice, in Italia dati i precedenti non ce ne fidiamo affatto. Abbiamo visto ordinare il reintegro persino di operai sabotatori o ladri”. E questo non lo si sa solo in Italia, lo si sa anche all’estero. Lo sanno le imprese che potrebbero venire ad investire in Italia.

La discussione politica, a sinistra, si trasformerà in un tiro a segno contro il Pd. Gli extraparlamentari, che hanno visto un Pd far posto a Di Pietro e lasciare a piedi loro, hanno giustamente il dente avvelenato. L’Idv, che di quella discriminazione ha approfittato, ha troppo pelo sullo stomaco e troppi pochi scrupoli per non comportarsi nello stesso modo. Già è per questo che è all’opposizione del governo Monti, invece di essere accanto al Pd. Una buona parte dei media, visceralmente di sinistra, è conscia che in fondo la battaglia dell’art.18, vinta da questo governo, è la stessa che il governo Berlusconi ha perduto a suo tempo. Dunque probabilmente affiancherà la retorica operaista e il risultato sarà in ogni caso pessimo, per la sinistra moderata.

In questi giorni abbiamo visto arrivare al pettine due nodi irrisolti per decenni. Da un lato, un debito pubblico semplicemente insostenibile (oltre ad essere assolutamente impossibile da ripagare) ha provocato la prevedibile sfiducia in un Paese a rischio fallimento; dall’altro, un Pci che non è mai riuscito a divenire un Psi, cioè che non è mai riuscito a sottrarsi all’abbraccio soffocante e infine mortale del massimalismo di sinistra, è costretto a fare i conti con se stesso. Purtroppo, nel frattempo gli italiani non centenari sono tutti stati allevati nella retorica dell’ultrasinistra e il vecchio partito somiglia a uno che non sappia nuotare e nel frattempo lotti contro chi cerca di salvarlo. 

Il vecchio cuore del Pci non ha mai smesso di cercare di uccidere quel Psi con cui avrebbe dovuto fondersi. Ed ha preferito che annegassero tutti e due.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

21 marzo 2012

 
IL PD DOPO LA ROTTURA DELLA CGILultima modifica: 2012-03-21T12:15:04+01:00da gianni.pardo
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