ADRIANO SOFRI E VITTORIO MANGANO

Normalmente, per chi commetta certi reati particolarmente allarmanti – per esempio l’omicidio e la violenza carnale – le pene non sono soltanto quelle comminate dal codice penale: dopo che si è finita di scontare la reclusione, rimane l’imperitura memoria e la condanna della società. Il pedofilo ad esempio è marchiato a vita, tanto che, se appena può, gli conviene cambiare nome e città di residenza. Diversamente – quand’anche non commettesse mai più reati come quelli che l’hanno fatto condannare – la sua vita rimarrà un inferno. 

Tutto ciò è tanto ingiusto quanto umano. Chi ha pagato il suo debito è, per così dire, in pari con la società ma poi bisognerebbe vedere l’espressione di colui al quale si chiede: “Lasceresti che un ex condannato per pedofilia accompagnasse il tuo bambino a scuola tutte le mattine?” L’art.27 della Costituzione ci insegna che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato ma di fatto, anche quando questa rieducazione ha luogo, la condanna sociale continua a pesare fin troppo. 

Per tutti questi motivi siamo contenti, in un giorno come oggi, di leggere sulla “Repubblica” un notevole articolo di Adriano Sofri, grondante moralità,  dal titolo colto, “La Spoon River della crisi”, in cui si piange sui suicidi per difficoltà economiche. Sulle tragedie piccole e grandi che provoca questa crisi.  Argomenti serissimi. Anche se Sofri non sfugge all’atteggiamento di chi denuncia i mali del mondo come se fossero causati dalla stupidità o dalla malvagità altrui. Senza pensare che il mondo non cambierebbe molto – e non è nemmeno detto che cambierebbe in meglio – se egli stesso fosse messo al posto di Mario Monti o di chiunque altro abbia un posto di responsabilità. Denunciare ciò che non va è facile, metterci rimedio è difficile. Ma di ciò non è colpevole il solo Sofri e dunque non val la pena di condannarlo per questo. Diciamo soltanto che è un giornalista come gli altri: ma proprio qui sta la notizia.

Anche se nel gennaio di quest’anno ha finito di scontare – se pure nelle massime condizioni di favore – la sua pena per l’omicidio del commissario Calabresi, Sofri rimane “un assassino”. Redento, che ha pagato il suo debito, riabilitato, tutto quello che si vuole, ma un assassino. E che gli sia stato concesso di reinserirsi nella società è una cosa bellissima, se non fosse che si applicano “due pesi e due misure”. Infatti il caso di Vittorio Mangano è all’opposto. 

Questo tizio diviene fattore ad Arcore nel 1974, quando aveva “due o tre condanne per assegni a vuoto e ricettazione”, secondo quanto scrive Jannuzzi. Non era un gentiluomo, certo, ma non era un assassino. E circa tredici anni prima che Berlusconi pensasse di darsi alla politica se ne tornò a Palermo. Ciò malgrado quest’uomo che non ha avuto una condanna definitiva per omicidio, come Sofri, che ha avuto contatti con Berlusconi solo da giovane, è divenuto la figura eponima del mafioso. E Berlusconi è divenuto mafioso per contatto. Solo per avergli dato un lavoro. Un po’ come se dicessimo che Ezio Mauro è un assassino perché ha concesso a Sofri di lavorare per il suo giornale. E sempre Mangano (malgrado ciò che ha potuto dire il Procuratore Generale Jacoviello nella requisitoria in Cassazione, qualche giorno fa) per contatto ha fatto divenire mafioso anche Dell’Utri.

Ecco perché secca il generale rispetto tributato a Sofri. Di lui è perfino di pessimo gusto ricordare che è stato condannato per omicidio da una settantina di giudici. Non perché si vorrebbe che quel giornalista fosse condannato ai remi fino alla morte, ma perché, se è giusto ridare visibilità nazionale ad un uomo condannato per omicidio, bisognerebbe fare altrettanto, tendenzialmente, con tutti i condannati per i più vari reati, di solito meno gravi dell’omicidio. Invece gli ex carcerati sono considerati dei paria.

Qui si inserisce la faziosità nazionale. L’intellighenzia di sinistra ha deciso che Adriano Sofri è innocente, tanto che è ben poco politically correct rievocare i suoi trascorsi. Addirittura, ad insistere, si rischia di dover chiamare assassini i magistrati che l’hanno condannato. Mentre per Vittorio Mangano non ci sono condanne sufficienti. Egli potrebbe addirittura aver favorito, prima del 1980, con singolare premonizione, la nascita di Forza Italia nel 1994. E poi ha dimostrato la sua vera natura non denunciando mai, malgrado le infinite pressioni, né Dell’Utri né Berlusconi. Solo un uomo d’onore, cioè un mafioso, protegge col suo silenzio altri due uomini d’onore, cioè due mafiosi come Dell’Utri e Berlusconi. Non basta, come prova?

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

30 marzo 2012

 
ADRIANO SOFRI E VITTORIO MANGANOultima modifica: 2012-03-30T13:03:34+02:00da gianni.pardo
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