L’ITALIA IN BIANCO E NERO

Dicono che la storia non si fa con i se ed è una stupidaggine. Se si spiega che i Romani vincevano tante battaglie perché il loro esercito era molto ben organizzato è come se si affermasse che “se” l’esercito romano non fosse stato organizzato bene non avrebbe vinto tanto battaglie”. Quasi ogni giudizio storico può essere ribaltato, facendolo cominciare con un “se”. 

La cosa non è di poco conto: un libro di storia che non desse mai giudizi non servirebbe a nulla. Chissà quante volte gli ammiragli tedeschi, nei primi Anni ’40 del secolo scorso, si sono chiesti in che conto dovessero tenere la sorte dell’Invencible Armada. Se cioè anche nella loro epoca la mutevolezza del tempo sulla Manica rappresentasse un serio pericolo per una flotta che avesse voluto invadere l’Inghilterra. A Guglielmo il Conquistatore era andata bene, a Filippo II no. E sarebbe andata bene, a Guglielmo, se avesse incontrato la stessa tempesta degli spagnoli?

Se fare delle ipotesi è un modo per capire la storia, negli scorsi anni in molti ci siamo posti la domanda: e se Berlusconi improvvisamente sparisse? 

La sensazione era infatti che l’Italia vivesse una sorta di allucinazione. Un’esperienza extrasensoriale in cui un enorme gigante, alto qualche migliaio di chilometri, tenesse sotto i suoi piedi l’Italia. E quel gigante era Silvio Berlusconi. Fenomeno non nuovo, del resto. Per qualche tempo gli italiani avevano già vissuto una vicenda simile, negli Anni Trenta. Solo che quella volta, almeno nel mondo degli intellettuali e dei media, l’esperienza era stata coralmente positiva, e l’uomo si chiamava Mussolini; mentre stavolta, almeno nel mondo degli intellettuali e dei media, essa era negativa e l’uomo si chiamava Berlusconi. Da un lato l’Uomo della Provvidenza, dall’altra il Male Assoluto. Esagerazioni. 

Negli Anni del Consenso, chiunque avesse avuto il senso del reale si sarebbe chiesto se veramente quell’Italia di cartapesta fosse reale; se veramente gli italiani fossero cambiati; se veramente Mussolini fosse quel grand’uomo che molti pretendevano che fosse.  E soprattutto se il suo potere non potesse condurre l’Italia a qualche disastro. Come poi avvenne. Perfino quando si ha a che fare con un uomo assolutamente superiore, non bisogna per questo farne un mito: De Gaulle fu un personaggio straordinario e personalmente piansi alla sua morte. Ma quando in Canada gridò: “Vive le Québec libre!” mi chiesi se non gli avesse dato di volta il cervello.

Un osservatore neutrale, neutrale almeno in questo senso, si sarebbe sempre chiesto perché mai tutto dovesse ruotare intorno a Silvio Berlusconi. Perché dovesse costituire notizia – e perfino motivo di feroce critica – ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sospiro, per quanto insignificanti. Sembrava di vivere uno di quei mitologici spettacoli di Bartolomeo Bosco, il famoso illusionista del primo Ottocento, in cui un solo uomo, dicono, riusciva ad ipnotizzare un’intera platea.

Durante le furiose discussioni sulla colpevolezza o innocenza di Anna Maria Franzoni personalmente arrivai a scrivere: “Basta! Samuele l’ho ucciso io. E ora smettete di parlare di questo argomento!” Nello stesso modo, per anni, ho sognato di poter dire: “Berlusconi è morto. Per favore, occupatevi d’altro”.

La fortuna ha invece voluto che questo avvenimento potessi osservarlo da vivo io e da vivo lui. Berlusconi ha capito che non lo facevano governare, che non poteva salvare l’Italia, e che tutti gli avrebbero dato il torto della crisi. A questo punto, con grande intelligenza e senza perdere il sorriso, si è fatto da parte.

Come, da parte? Non c’è più? Non è neanche segretario del suo partito? Ma veramente?

L’Italia ha provato in questa occasione ciò che la Francia ha vissuto il 5 maggio del 1821. La fine di un’epoca e un diffuso sentimento di sgomento. La nazione è improvvisamente divenuta un enorme orfanotrofio. E con chi prendersela, ora? E su chi scherzeranno i comici? E di che cosa si discuterà? E perfino: a che servirà ora la magistratura?

Berlusconi si è fatto da parte e ci siamo ritrovati fra persone alte un metro e settanta. Nessun demiurgo e nessun Satana. Nessun Augusto e nessun Caligola. Siamo passati da uno spettacolo a colori sgargianti a un quaresimale in bianco e nero, officiato dalla voce monotona di Mario Monti. 

Berlusconi si è cavato lo sfizio di guardare l’Italia non sovrastata dalla sua ombra e si è procurata l’occasione di ridere un po’ della perdita di interesse dei talk show, della disperazione dei comici, della preoccupazione dei professionisti dell’anti-berlusconismo. Ha visto un intero Paese uscire dalla suggestione collettiva provocata da Bartolomeo Bosco e cominciare a sfollare dal teatro surriscaldato in una strada fredda, bagnata, deserta e invernale. 

Desolatamente reale. 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

31 marzo 2012

 
L’ITALIA IN BIANCO E NEROultima modifica: 2012-03-31T12:56:06+02:00da gianni.pardo
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