IL SUCCESSORE DI BERLUSCONI

Al di là del dibattito sul “partito leggero” o sul “partito pesante”, cioè sull’opportunità di un partito-movimento o di un partito fortemente strutturato, esiste anche un dibattito sulla successione del leader. Si dice infatti che se Berlusconi non agisce da capo della sua formazione politica, se non la guida personalmente, se non ne è la bandiera e la figura di prua, il Pdl rischia di sparire. Se ciò avvenisse, aggiungono in parecchi, sarebbe colpa sua, perché ha tenuto in ombra chiunque gli sia stato accanto e non ha permesso a nessuno di emergere veramente. Che ciò sia vero o no è secondario rispetto ad un problema teorico, che riguarda tutti i partiti ed anzi tutte le organizzazioni: il leader ha il dovere di organizzare la propria successione? Ed anzi, prima ancora del dovere, ha sempre la possibilità di organizzarla? E soprattutto, è questo il modo normale in cui avviene la successione nella posizione di testa?

Il capo diviene tale perché ha capacità superiori degli altri. Queste capacità tuttavia non basterebbero a farne un capo se egli non volesse essere un capo, se cioè non fosse ambizioso. Comandare dicono sia un piacere superiore a quello sessuale ma ci sono, per così dire, gli impotenti del comando. A Diogene avrebbero potuto offrire di governare una provincia e avrebbero solo ottenuto che si mettesse a ridere. Molti sono nati per obbedire, pochi sono nati per comandare, ma ci sono anche quelli che non sopportano né di comandare né di obbedire.

Se il capo è un ambizioso, è naturale che si aggrappi al  comando finché può. Le eccezioni (Diocleziano, Carlo V) sono rarissime e perfino sconsigliabili (Celestino V). In Italia abbiamo visto un De Mita, carico di allori ma anche di anni, protestare fieramente contro la sua esclusione dalla vita politica. Tanto da volervi rientrare di forza e senza l’aiuto di alcuno. Il capo vuole essere capo in eterno e se una cosa rimpiange è il fatto di non essere immortale.

Qualcuno potrebbe obiettare che questa tesi contrasta con l’uso romano per il quale l’imperatore adottava, in vita, il proprio successore. Ma innanzi tutto l’imperatore non rischiava di essere spodestato dal designato, e poi quella non era una democrazia. In questa, il successore designato potrebbe essere esautorato in breve tempo. E se si mantiene a lungo (Gianfranco Fini) è per merito proprio, non per merito della designazione.

Nelle imprese come in tutte le organizzazioni in cui c’è un capo, questi diviene tale per forza propria. O perché batte gli avversari nella corsa al trono, o perché addirittura elimina il numero uno. Roberto Maroni è stato a lungo un fedele alleato di Bossi e ne ha rispettato l’indiscutibile leadership, ma quando il Senatur si è trovato in difficoltà non ha esitato a pretendere per sé la Segreteria del partito anche se l’anziano capo era ancora disposto a mantenerla o almeno a candidarsi ad essa. Il modo normale di successione inter vivos, se si accetta l’ossimoro, è il parricidio.

Dunque è inutile rimproverare a Berlusconi di non avere designato il proprio successore. Sta a quest’ultimo emergere in quanto tale. Se del caso estromettendo dal trono lo stesso capo. E poi si potrebbe chiedere ai critici chi possa essere, a loro parere, il nuovo leader: Gasparri? La Russa? Frattini? Cicchitto? Ad ogni nome sboccia un sorriso. E se sorridete voi, perché non dovrebbe sorridere il Cavaliere?

Berlusconi per giunta avrebbe una ulteriore risposta da spendere: egli infatti ha già designato il segretario del partito nella persona di Angelino Alfano. Dunque se il partito andasse in briciole è perché la base non accetta un diverso leader, non perché lui non l’abbia nominato.

Forse si dibatte un falso problema. Non si diviene leader né per rescriptum principis (decisione dall’alto) né perché vincitori di un concorso per titoli ed esami. Se il leader di un partito dura nel tempo e diviene carismatico è per meriti suoi – come il primo classificato nella vendita dei libri o dei dischi – non per la benevolenza o la saggezza altrui. Né si può dimenticare che certe personalità sono uniche e insostituibili: basta sfidare chiunque a fare i nomi dei diadochi, cioè dei successori di Alessandro Magno.

Se il Pdl si disfarà o sopravvivrà non dipenderà dall’avere “allevato” un nuovo leader. Dipenderà da un insieme di fattori del tutto imprevedibili, di cui è pressoché inutile dare il merito o il demerito al Cavaliere.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

16 maggio 2012

 
IL SUCCESSORE DI BERLUSCONIultima modifica: 2012-05-16T08:24:39+02:00da gianni.pardo
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