IL VICOLO CIECO DEL DR.HOUSE

La serie del “Dr.House” è stata una delle più apprezzate, negli Stati Uniti e nel mondo. Fattura perfetta, tendenze intellettuali, notevole fantasia malgrado la ripetitività delle situazioni: e tuttavia la sua fine è arrivata come un sollievo. 

Forse l’errore di fondo è stato nello schema troppo ambizioso: non si può essere costantemente brillanti. Perfino Oscar Wilde ha finito con l’essere stucchevole e chi vuol sempre sorprendere diviene irrazionale. Il telefilm insomma riesce a darla a bere a coloro che, quando non capiscono, credono che le battute incomprensibili siano più profonde di quanto loro possano intendere: ma c’è chi considera la nebbia solo scarsa visibilità, non arte o filosofia. Non sempre un comportamento incomprensibile è motivato da psicologie raffinate. 

L’impegno costante del telefilm, quello di “far nuovo, intelligente e dissacrante”, è stato temerario. La novità, in particolare, non garantisce nulla: c’è molta più intelligenza e audacia nel vecchio Nietzsche che nella maggior parte delle cose scritte dopo. 

Le critiche che si possono fare al personaggio sono infinite. Si è voluti sfuggire al cliché del medico eroicamente dedito al bene del prossimo, ma perché proporre un pazzo? Si può evitare la melassa senza per questo cadere nel fiele. 

Gli autori potrebbero obiettare che la vita di un uomo normale, anche se professionalmente geniale, non interessa nessuno. E in questo c’è del vero. Ma è anche vero che questa difficoltà i grandi artisti l’hanno spesso superata. I classici hanno creato personaggi straordinari che tuttavia agivano in modo ragionevole. Si pensi ad Ulisse. Amleto rimane comprensibile e addirittura ironico persino quando vuole recitare la parte del pazzo. Nessuno, è ovvio, pretende tanto da un telefilm; e per fare spettacolo si può tollerare qualche attentato alla verosimiglianza: purché non la si gabelli come profondità di pensiero e superiorità intellettuale.

Qualcuno potrebbe tentare di giustificare il personaggio ricordando che egli soffre molto fisicamente, tanto da ricorrere continuamente a possenti analgesici: ma il dolore non dà speciali diritti. Solo chi è debole ed egoista se ne “vendica” sugli altri. Un uomo equilibrato ne ricava al contrario una maggiore empatia.

House soffre comunque, oltre che fisicamente, di una solitudine invalicabile. Ma ne è l’unico colpevole. Molti gli fanno grandi aperture di credito – i suoi collaboratori, l’amico Wilson, la direttrice dell’ospedale – e lui avvelena i contatti con i suoi dispetti, le sue bizze, i suoi insulti. Come ha detto Voltaire: “Solo i cattivi sono soli”. E come insegnerebbe la saggezza popolare, si ottiene più facilmente l’amore col miele che con l’aceto.

House ferisce troppo facilmente il prossimo perché si possa essere tranquilli sul suo equilibrio psichico. Il dottore è sostanzialmente benefico perché salva delle vite, ma stranamente è apparentato col “Caligola” di Albert Camus. L’imperatore si comporta da pazzo perché vuole dimostrare l’assurdità dell’esistenza approfittando della sconfinata libertà del tiranno e anche House, per essere “diverso”, arriva ad aggiungere alla sua immagine pennellate caricaturali e del tutto gratuite. Magari pagandola poi con una serie di disavventure che includono il carcere. 

Gregory non visita i malati personalmente, e quando lo fa è molto sgradevole, con loro. Gli butta in faccia le più tragiche diagnosi, gli rimprovera i loro errori passati, gli dice le più rudi verità. Il personaggio infatti è stato costruito intorno al seguente principio: “Preferite un medico che vi tratta male e vi guarisce o a un medico pietoso che vi tiene la mano, vi consola e non vi guarisce?” L’alternativa è brillante ma non resiste ad un’osservazione elementare: se il successo della terapia non è legato né positivamente né negativamente al comportamento del medico, House rimarrebbe un taumaturgo anche se fosse un uomo delicato e gentile.

E tuttavia il “Dr.House” ha giustamente attratto milioni di persone. In un mondo di telefilm sentimentali, provinciali, banalmente morali, la serie si è sempre distinta per dialoghi cinici, brillanti, dissacranti, a volte molto “politicamente scorretti” ed ha rappresentato una ventata d’aria fresca. Ma col tempo il gioco ha mostrato la corda, fino a suggerire che l’indubbio fascino della serie sia derivato più dalla professionalità degli attori e dall’alto livello della fattura (quale in genere osserviamo nei telefilm americani) che dalla profondità dei testi. 

L’aver fatto morire il protagonista fa sospettare nei soggettisti la stessa stanchezza che Conan Doyle sentì nei confronti di Sherlock Holmes.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

8 luglio 2012

 
IL VICOLO CIECO DEL DR.HOUSEultima modifica: 2012-07-08T10:21:02+02:00da gianni.pardo
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