LA GRANDE ILLUSIONE

Madrid, 1° luglio. Lungo gli ultimi mesi ho letto un certo numero di valutazioni ottimistiche sulle prospettive dell’Europa. Stranamente, tuttavia, nessuna di queste valutazioni sostiene che la formula di redenzione dell’Europa attraverso la sofferenza dettata dalla Germania abbia qualsivoglia possibilità di funzionare. Al contrario, la soluzione ottimistica è che il fallimento – in particolare un crollo dell’euro – sarebbe un disastro per tutti, inclusi i tedeschi, e che in fin dei conti questa prospettiva indurrà i leader europei a fare qualunque cosa sia necessaria per salvare la situazione.

Spero che questa argomentazione sia corretta. Ma ogni volta che leggo un articolo che sostiene questa tesi, mi sorprendo a ricordare Norman Angell.

Chi è? Nel lontano 1910 Angell pubblicò un famoso libro dal titolo “La Grande Illusione”, in cui sosteneva che la guerra era divenuta obsoleta. Il commercio e l’industria, non lo sfruttamento di popoli vinti, faceva notare, erano le chiavi per la ricchezza della nazione, sicché non c’era nulla da guadagnare dai costi immensi di una conquista militare. Per di più sosteneva che l’umanità cominciava ad apprezzare questa realtà e che le “passioni del patriottismo” stavano rapidamente declinando. Non disse chiaramente che non ci sarebbero più state grandi guerre, ma dette esattamente questa impressione.

Sappiamo ciò che successe dopo.

Il punto è che la prospettiva di un disastro, per quanto ovvia, non è una garanzia che le nazioni facciano ciò che è necessario per evitare il disastro. E questo è particolarmente vero quando l’orgoglio e il pregiudizio rendono i leader poco disposti a vedere ciò che dovrebbe essere ovvio.

Tutto ciò mi riporta alla situazione economica dell’Europa, ancora estremamente drammatica.

Arriva quasi come uno shock, anche per quelli di noi che hanno seguito la storia da quando è cominciata, rendersi conto che sono passati più di due anni da quando i leader europei si sono impegnati all’attuale strategia economica: una strategia basata sulla nozione che l’austerità fiscale e “la svalutazione interna” (in soldoni, tagli alle retribuzioni) avrebbero risolto i problemi delle nazioni debitrici. In tutto questo tempo la strategia non ha prodotto storie di successo; il massimo che i difensori dell’ortodossia possano fare è ricordare una coppia di piccole nazioni baltiche che hanno visto parziali ricuperi da crolli economici a livello di depressione, ma sono ancora molto, molto più povere di quanto non fossero prima della crisi.

Nel frattempo la crisi dell’euro ha creato metastasi, diffondendosi dalla Grecia alle economie, molto più grandi, della Spagna e dell’Italia. L’Europa nel suo insieme sta chiaramente scivolando indietro verso la recessione. E tuttavia le prescrizioni di politica economica che vengono da Berlino e Francoforte non hanno subito la benché minima variazione.

Ma aspettate, mi direte: il summit della scorsa settimana non ha prodotto alcuni movimenti? Si, lo ha prodotto. La Germania ha concesso qualcosa, dichiarandosi d’accordo sia per condizioni di prestito più facili per l’Italia e la Spagna (ma niente acquisti di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea), sia per un piano di salvataggio per le banche private che di fatto potrebbe avere un senso (benché sia difficile saperlo, vista la mancanza di particolari). Ma queste concessioni rimangono piccolissime se comparate con le proporzioni dei problemi.

Che cosa bisognerebbe realmente fare per salvare la moneta unica Europea? La risposta, pressoché certamente, comporterebbe sia grandi acquisti di titoli di Stato da parte della banca centrale, sia la disponibilità dichiarata da quella banca ad accettare in qualche modo un più alto tasso d’inflazione. Perfino con queste politiche, la maggior parte dell’Europa si troverebbe a fronteggiare anni di altissima disoccupazione. Ma almeno si vedrebbe una possibile via verso la salvezza.

E tuttavia è molto, molto difficile vedere come un tale cambiamento di strategia potrebbe realizzarsi.

È parte del problema il fatto che i politici tedeschi hanno passato gli ultimi due anni a dire ai loro votanti qualcosa che non è vera: e precisamente che la crisi è tutta colpa dei governi irresponsabili del Sud Europa. Qui in Spagna – che è l’epicentro della crisi – alla vigilia della crisi il governo di fatto aveva un debito basso e avanzi di bilancio; se il Paese è ora in crisi, è il risultato di una bolla speculativa edilizia che le banche di tutta l’Europa, incluse in particolare quelle tedesche, hanno contribuito a gonfiare. Ma ormai la falsa narrativa si pone come un ostacolo sulla via di ogni soluzione operativa.

E tuttavia i votanti disinformati non sono il solo problema; perfino l’opinione delle élite europee non riesce a rendersi conto della realtà. Leggere le più recenti relazioni delle istituzioni di “esperti” con base in Europa, come quelle pubblicate la settimana scorsa dalla Bank for International Settlements,  corrisponde a sentire che si è entrati in un universo alternativo, uno in cui né le lezioni della storia né le leggi dell’aritmetica sono valide. Un universo in cui l’austerità funzionerebbe se soltanto ognuno avesse fede, nel quale ognuno può tagliare le spese e nello stesso tempo non produrre depressione.

Sicché, l’Europa riuscirà a salvarsi? Le poste in gioco sono altissime e i leader dell’Europa, con assoluta certezza, non sono né cattivi né stupidi. Ma la stessa cosa poteva essere detta, che ci crediate o no, per i leader europei nel 1914. Possiamo solo sperare che questa volta le cose vadano diversamente.

Paul Krugman, New York Times

Traduzione di Gianni Pardo

 
LA GRANDE ILLUSIONEultima modifica: 2012-07-08T18:58:03+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo