L’INTERREGNO SEGUITO DALL’INTERREGNO

Il governo Monti sarà ricordato come una parentesi. Un interregno. Forse addirittura  come quell’amministrazione controllata che si impone alle imprese in vista di un concordato o di un fallimento. Esso infatti non è il risultato di normali elezioni ma di un accordo di Palazzo.  Non rappresenta tanto la volontà degli elettori quanto l’intervento propiziatorio di un Presidente della Repubblica come minimo molto attivo. 

Sulla sua costituzione ha indubbiamente pesato la situazione economica: tuttavia la sua più straordinaria caratteristica è quella di essere appoggiato sia dai Montecchi sia dai Capuleti. Il Pdl e il Pd lo hanno incaricato di realizzare un programma che non era né quello del primo né quello del secondo, ma il programma delle autorità europee. 

Quando nell’autunno scorso il differenziale con i titoli decennali tedeschi ha avuto un’improvvisa e drammatica impennata, Berlino e gli altri avranno detto all’Italia: o fate come diciamo noi o vi lasceremo fallire. Ecco la lista dei “compiti per casa”. Silvio Berlusconi e il suo partito, letto l’elenco, non se la sono sentita di affrontare l’inevitabile collera del Paese e avranno risposto: se tutti sono disposti ad accollarsi una parte dell’impopolarità, lo faremo anche noi; se tutti sono disposti ad appoggiare un governo di transizione, lo faremo anche noi; diversamente si vada ad elezioni.

 Le intenzioni degli elettori, in quel momento, davano vincente il centro-sinistra: dunque, in condizioni normali, esso si sarebbe buttato con entusiasmo sull’occasione. Stavolta invece sapeva che, andando al governo, si sarebbe trovato dinanzi a un dilemma: o mandare a fondo l’Italia nel giro di qualche settimana oppure accettare l’incarico che Berlusconi aveva rifiutato, attuando – sempre che ci fosse riuscito – una serie di provvedimenti estremamente sgradevoli. Dunque non si trattava tanto di beneficiare del potere quanto di rimanere col cerino acceso in mano. Ecco perché alla fine per tutti l’unica soluzione è stata quella di far finta che, per amor di patria, si rinunciava al potere. 

Malauguratamente, l’accordo è riuscito soltanto a rinviare il problema. Infatti, se la ricetta imposta dall’Unione Europea fosse stata giusta e se, magari nella prossima primavera, l’Italia fosse salva e in piena ripresa, i partiti potrebbero concorrere per riconquistare il potere, promettendo ai cittadini di allentare la morsa fiscale e di concedere loro qualche premio per i sacrifici sopportati. Si sarebbe ripreso a fare di nuovo politica, normalmente. Ma al momento nulla di tutto ciò appare verosimile. Bisogna dunque fare ipotesi diverse.

La prima è che la terapia europea sia sbagliata. Non solo il malato non guarisce ma addirittura peggiora. E tuttavia, qual è la cura giusta? Nessuno sembra saperlo. Infatti, malgrado i magrissimi risultati, contro venti e maree si insiste su quella formula in Grecia, in Spagna e in Italia.

La seconda ipotesi è che la terapia sia giusta ma che, per funzionare, richieda un tempo più lungo di quello che ci separa dalla prossima legislatura. Se così fosse, e se i partiti mantenessero la proclamata intenzione di non formare nessuna Große Koalition, il partito che vincesse le elezioni dovrebbe poi proseguire l’attuale politica subendo il violentissimo contrasto di un’opposizione agguerritissima, costituita non da formazioni folcloristiche come la Lega o da angiporto come l’Italia dei Valori, ma da enormi partiti come il Pdl o il Pd: e come potrebbe resistere, se già oggi Monti traballa?

Il dubbio è allora che i grandi partiti sappiano già che, se non si vuole che l’Italia vada in malora, anche nella prossima legislatura ci si dovrà accordare su una Große Koalition. Ma essa è molto sgradita e dunque, prima delle elezioni fingeranno di escluderla (“Allearci con quel partito? Mai!”); poi, ad urne chiuse, la costituiranno. Il vincitore, anche avendo ottenuto il premio di maggioranza, se ancora ci sarà, chiamerà l’altro grande partito ad una “assunzione di responsabilità”. Gli ricorderà l’esperienza dell’autunno 2011. Minaccerà all’occasione di non chiedere la fiducia delle Camere, passandogli la patata bollente dell’ingovernabilità. E si continuerà come oggi.

Plumbee prospettive. Se la cura Merkel-Monti non riesce prima della primavera prossima (e la cosa è improbabile) non si vede come la situazione possa veramente migliorare.  L’Italia avrà lo stesso debito pubblico (se non sarà aumentato) e sarà del tutto incapace di cambiare sistema produttivo. Può anzi avvenire che i mercati l’attacchino fino a farle portare i libri in Tribunale e in questo caso si ripartirebbe da zero. Certo, in capo a un paio di decenni si uscirebbe dalla crisi, ma chi vorrebbe essere a Palazzo Chigi, per amministrare il fallimento?

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

L’INTERREGNO SEGUITO DALL’INTERREGNOultima modifica: 2012-09-01T11:10:00+02:00da gianni.pardo
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