IL CASO NON ESISTE

Il caso non esiste. Tutto ciò che si verifica è il risultato ineluttabile della catena causale. Tempo fa, a Pompei, è rovinata parte della “Caserma dei gladiatori”, che resisteva da secoli. Naturalmente la cosa  non è avvenuta per caso. Il fenomeno è stato il risultato dell’erosione, della temperatura, delle piogge, di una miriade di condizioni che ignoriamo. Ma chi avrebbe potuto dire se e quando si sarebbe avuto? Si sa che una determinata placca continentale si muove in una data direzione e che ciò provocherà notevoli terremoti: ma chi può dire in quale preciso momento l’insieme dei fenomeni sarà sufficiente a fare scattare il movimento? Il momento del loro verificarsi per noi è casuale.

Viceversa quando le cause sono poche e chiare, il caso scompare. Il moto dei corpi celesti è sottoposto a leggi che scoraggiano l’uomo della strada ma gli astronomi sono in grado di calcolare con estrema esattezza quando si verificherà un’eclissi.  E infatti sul più banale giornale di provincia si legge a che ora comincerà, quanto durerà e quando finirà. Nessuno parla di caso. 

Per la natura, tra l’eclissi, la pallina della roulette e il terremoto non c’è differenza: tutti sono dominati dall’ineluttabile catena della causalità. Ma mentre l’uomo domina il meccanismo dell’eclissi, non domina il meccanismo degli altri fenomeni e parla di imprevedibilità. Il caso non è in contrasto con la legge della causalità, è solo una confessione della nostra ignoranza riguardo agli elementi che determineranno un dato fatto. Nessuno è in grado di prevedere quante e quali cause concorreranno a far sì che la pallina lanciata dal croupier si fermi su un dato numero e ciò fa vivere i casinò.

Il caso pesa sull’umanità più di quanto generalmente si creda. Anche chi ama credersi padrone della propria vita e del corso che essa ha preso, se esamina accuratamente il suo passato riconoscerà che l’essersi innamorato di una donna e non di un’altra ha cambiato la sua vita: e se non l’avesse mai incontrata? Sarebbe bastato che lei non andasse a quella festa, quella sera, che non fosse mai destinata al suo stesso ufficio o che lui non l’avesse tamponata, in automobile. Si sarebbe innamorato di un’altra e la storia della sua vita sarebbe stata diversa. 

A nessuno piace riconoscersi in balia dell’imponderabile e arriva addirittura a trasformare il caso nell’intervento di Dio. Napoleone vinse ad Austerlitz perché un’improvvisa schiarita gli fece comprendere meglio la situazione sul campo di battaglia e per questo i francesi parlano ancora del “soleil d’Austerlitz”: un intervento del destino a favore del grande Corso. 

L’imponderabile appare contrario alla dignità e alla responsabilità dell’uomo e per questo i moralisti predicano che “faber est suae quisque fortunae” (ognuno è l’artefice della propria fortuna). Ma se è vero che bisogna darsi da fare – altrimenti si è colpevoli della propria sfortuna – è anche vero che, preso alla lettera, quel principio è un errore. Costituisce un eccesso simmetrico all’abbandono alla volontà di Dio. I musulmani credono giusto lasciare che tutto vada come vuole andare, Inshallah, perché “è la volontà di Dio”: ma di fatto così divinizzano la causalità e commettono un errore teologico. Dicono che Dio è onnipotente e onnisciente e che dunque nulla avviene che egli non conosca e non consenta: e fin qui avrebbero ragione. Ma poi pensano che attivarsi per deviare il corso degli eventi corrisponda, in un certo senso, alla volontà di contrastare la Sua volontà e qui entrano in contraddizione con la stessa dottrina. È semplice: se non avviene nulla che Dio non voglia, e se l’uomo devia il corso degli eventi, è segno che Dio ha voluto che egli li deviasse. La gazzella che scappa quando vede la leonessa non cambia forse il corso della giornata del felino? Non vorremmo che l’inerzia di certi arabi derivasse più da pigrizia che da preoccupazioni religiose.

L’uomo con la sua volontà non può determinare tutti i fatti, ma la sua attività si inserisce legittimamente nel meccanismo dei procedimenti causali con pari diritto rispetto alle altre cause. Per questo molti discorsi sulla bioetica sembrano poco logici. 

Al caso va lasciata la sua parte ma non per questo bisogna essere inerti. Bisogna fare il possibile per ottenere certi risultati (per esempio essere benestanti e longevi) senza tuttavia avere la pretesa che ciò dipenda soltanto da noi. Il banale principio, degno di essere scritto in fondo a un posacenere, è: “Fai del tuo meglio e poi incrocia le dita”. Non si può dire molto di più.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it 

1 settembre 2012

IL CASO NON ESISTEultima modifica: 2012-09-02T18:25:38+02:00da gianni.pardo
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