IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI

Ci sono espressioni che assicurano l’esecrazione, per esempio “discriminazione razziale”, ed espressioni che assicurano l’applauso, per esempio “protezione dei più deboli”. Ma il loro valore non può essere aprioristico. Se la scienza rilevasse un’effettiva differenza fra due razze, non si potrebbe certo negare il risultato sperimentale solo perché non è politicamente corretto. Nello stesso modo la protezione dei più deboli non può essere spinta fino a costituire una inaccettabile discriminazione a danno dei più forti. 

Un’altra espressione che predispone all’applauso è: “riconoscimento dei diritti”, e tuttavia essa è più ambigua di quanto non si possa credere. Infatti comprende due fattispecie completamente diverse; il riconoscimento di diritti esistenti e il riconoscimenti di diritti che dovrebbero esistere. 

Consideriamo una pratica del diritto romano che possiamo considerare barbarica: se nel corso di un processo penale si doveva interrogare uno schiavo come testimone, l’interrogatorio si svolgeva mediante tortura; se invece si ascoltava la testimonianza di un libero, la tortura non era obbligatoria. Ciò significa che se il giudice avesse ordinato l’interrogatorio con tortura di uno schiavo, e costui avesse potuto obiettare di essere stato nel frattempo liberato, in quanto liberto avrebbe potuto vedersi riconoscere il diritto a non essere torturato. Se, viceversa, essendo ancora schiavo, avesse reclamato il diritto a non essere torturato perché la tortura è una pratica inumana, avrebbe con ciò chiesto “il riconoscimento dei suoi diritti”? Assolutamente no. Il liberto avrebbe reclamato l’applicazione di una norma esistente, lo schiavo avrebbe reclamato l’applicazione non di una norma esistente, ma di un principio nuovo e nobile, che tuttavia non faceva parte dell’ordinamento giuridico. Nel primo caso si era nell’ambito del diritto positivo, nel secondo nell’ambito della morale o del presunto diritto naturale.

Riguardo a quest’ultimo diritto – al quale molti credono come si crede alla legge di gravità – va innanzi tutto detto che esso è una fantasia nata nel XVII Secolo cui nessun serio giurista crede. Innanzi tutto esso avrebbe un contenuto insignificante (pochissime norme, bastano le dita di una sola mano), poi un diritto è tale quando è “azionabile” e cioè riconosciuto e sanzionato dallo Stato. Diversamente il cittadino si troverebbe nella scomoda condizione di chi, attaccato da un leone, avesse l’unica risorsa di sventolargli sul naso un libro di morale.

C’è un secondo argomento, contro il diritto naturale. Non si può dimenticare che la tortura – oggi del tutto inammissibile – è stata generosamente praticata ancora durante il Settecento: si pensi alle proteste di Voltaire e di Beccaria. Un altro istituto inaccettabile, la schiavitù, è stato praticamente universale, nell’antichità, e in vigore ancora nell’Ottocento. Sarà pure stato qualcosa di orrendo ma non per questo di “inumano”. L’umanità l’ha avuto per millenni e forse in qualche posto esiste ancora.

Ecco perché l’espressione “riconoscimento dei diritti” va usata con cautela. E soprattutto ricordandosi che il discorso è serio solo quei diritti fanno già parte dell’ordinamento giuridico. Al contrario, quando si sente parlare di riconoscimento dei diritti del malato, dei bambini, o addirittura degli animali, si dicono sciocchezze. A parte il fatto che i malati, i bambini e perfino gli animali sono già protetti dall’ordinamento giuridico, se i diritti di cui si parla non esistono, non bisogna chiederne un impossibile riconoscimento, bisogna chiederne l’istituzione. Solo in questo modo si trasforma ciò che si desidera per motivi morali in norma cogente. Dei diritti si può reclamarne il rispetto soltanto dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il caso più paradossale, in questo campo, è stato la pretesa tanto spesso ripetuta dai palestinesi, in passato, del “riconoscimento dei loro diritti legittimi”. Quali diritti? E poi “legittimi”? Si dica in quale codice (israeliano) sono inseriti. Ecco un caso in cui si pretende il riconoscimento di un diritto che non esiste. Né l’Onu – se per esempio stiamo parlando di qualche risoluzione del Consiglio di Sicurezza – è una fonte di diritto, per Israele. Come non lo è per nessun altro Stato.

Chi dice: “sarebbe giusto questo”, “sarebbe giusto quello”, potrà anche avere ragione ma non starà parlando di diritto. Il diritto si ha quando, dopo le parole: “è giusto”, si può aggiungere: “e te lo farò imporre dal giudice”. Oppure:  “e chiederò allo Stato di punirti”. Non bisognerebbe mai chiamare diritti quelli che sono tali soltanto per esigenze di enfasi e di retorica. Il rispetto dei concetti è rispetto dell’intelligenza,  delle idee e infine della realtà. 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

13 maggio 2013

IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTIultima modifica: 2013-06-09T18:29:40+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI

  1. Caro Gianni
    complimenti! Bel post. Anche i concetti più ostici diventano con le sue parole semplici. Grazie.

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