L’INUTILE PROBLEMA DELL’OMOFOBIA

In origine vi fu la legge Reale. Essa  punisce “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. In seguito, quando era ministro Mancino, essa fu ampliata prevedendo reati con finalità razzistiche, etniche, ecc. Ora si parla di includervi le finalità omofobiche. E l’opportunità dell’iniziativa è discutibile.

Bisogna premettere che le finalità della legge Reale-Mancino sono lodevoli ma essa si scontra con obiezioni di peso. La prima è che mentre qualcuno è contro il fascismo, il razzismo ecc., un altro può essere di parere diverso e nessuno, nel mondo liberale, può essere punito solo per le sue idee. La seconda è che i reati d’opinione sono per loro natura ambigui, nel senso che si può di fatto rifondare un partito para-fascista senza che lo Stato possa farci nulla. Infatti, se chiude il Movimento Sociale, domani i suoi adepti potranno fondare il Social Movimento, o il Movimento Nazionale o quello che sia. E infatti per decenni il Movimento Sociale non è stato disturbato. È stato sufficiente che fosse reso inoffensivo dagli elettori. 

Un ulteriore elemento negativo è che, proprio per l’ambiguità delle opinioni, si può arrivare a condannare un comico che intendeva solo far ridere sull’omofobia e assolvere un vero colpevole che si esprime in maniera tale da schivare l’accusa. Se in America la protezione delle opinioni, anche le più stravaganti, è ferreamente assicurata, non è solo in nome della libertà: è anche per la difficoltà di perseguire efficacemente ogni forma di fanatismo o stupidità.

Per il reato di omofobia (oppure di trasformare l’omofobia in una delle aggravanti previste dall’art.61 C.p) ci sono fondati  motivi di perplessità. Non solo un simile reato non sarebbe stato concepibile negli anni Cinquanta del secolo scorso, ma una manifestazione di evidente omosessualità sarebbe stata perseguita come atti osceni o almeno come atti contrari alla pubblica decenza. Dunque l’assurda sanzione di prima, come la pressoché eccessiva tolleranza attuale, dipendono dalla sensibilità sociale, non dai codici. E come un tempo sarebbe stato necessario battersi per consentire agli omosessuali di manifestarsi senza per questo essere perseguitati o discriminati, oggi bisognerebbe permettere ad uno sciocco di dire: “Gli omosessuali mi fanno schifo”. Si sentono tante stupidaggini che non si vede che danno possa fare una di più.

E se qualcuno dicesse che l’omosessualità è una malattia, commetterebbe reato? Secondo molti certamente sì. Ma la cosa è discutibile. Innanzi tutto, perché offendersi, per la parola “malattia”? Se essa non disonora i tanti degenti degli ospedali, perché dovrebbe disonorare gli omosessuali? Naturalmente la risposta è che essi non sono affatto malati, sono come tutti gli altri: ma questa è la loro legittima opinione, come legittima è l’opinione di chi li reputa malati. Forse che non si considerano malati i viziosi del gioco, della droga e perfino del sesso eccessivo? Perché non inserire nella nuova legge anche i drogati e i sex addicts? Se ci si mette ad inseguire le opinioni, non si finisce più. E per giunta qua c’è il grave sospetto di seguire una moda, una sorta di glorificazione coattiva della political correctness.

La verità è che in Italia si vogliono risolvere tutti i problemi con le leggi: tentativo non solo vano ma spesso pericoloso, come nel caso dei reati d’opinione. Mentre si rischia di conculcare la libertà di manifestazione del pensiero, la repressione è possibile senza modificare il codice. Questo prevede per ogni reato una pena che va da un minimo ad un massimo. Recita l’articolo 582 del Codice Penale ( Lesione personale): “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale (anche un graffio), dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente (un graffio richiede qualche giorno per rimarginarsi e scomparire) è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”. Ora, se il giudice, nel caso che la vittima sia un omosessuale, reputa che il fatto è insignificante e l’aggravante dell’omofobia è ridicola, può infliggere il minimo della pena, tre mesi, più un mese per l’aggravante, quattro mesi. Se invece è un fanatico della lotta all’omofobia, e nessuna legge prevede l’aggravante di questa finalità, può ancora, in teoria, condannare il reo, senza aggravante, a tre anni di carcere. Cioè una pena nove volte maggiore. Perché dunque non lasciare che i magistrati apprezzino liberamente questa circostanza? Del resto, l’art.61 prevede come prima delle molte aggravanti “l’avere agito per motivi abietti o futili”. Basta considerare come abietti o futili i motivi razzistici, etnici, omofobici e via dicendo. 

Ma contro la libidine legislativa pare che non ci sia rimedio.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

23 luglio 2013

L’INUTILE PROBLEMA DELL’OMOFOBIAultima modifica: 2013-07-23T14:44:58+02:00da gianni.pardo
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15 pensieri su “L’INUTILE PROBLEMA DELL’OMOFOBIA

  1. Io sono contento, che vi sia una differenziazione a favore degli omosessuali.

    Sono contento di questo e sono a favore di leggi che proteggano ogni singolo gruppo che insista nel definirsi minoranza.
    Siano essi immigrati, gay, ebrei, genitori single, ex detenuti, poliziotti e venditori ambulanti di palloncini colorati.

    Ancor piu’ che di leggi, sarei per la suddivisione dei cittadini in classi e sottinsiemi sistematizzati e legalmente riconosciuti.
    Le leggi servirebbero semplicemente a regolare i rapporti tra queste classi.

    Per esempio se un tifoso dell’inter single gay picchiasse un ciabattino di Pavia eterosessuale, ci dovrebbe essere una pena diversa se chi picchia il ciabattino fosse di Monza, ma conduttore di treni e con una nonna sposata nel mese di Maggio ad un Cavaliere di Vittorio Veneto.

    Sarei poi favorevole ad un tatuaggio su di un avambraccio, in modo che i furbi non possano sognarsi di cambiare la propria posizione sociale e legale per convenienza.

    La legge in favore dei gay sarebbe solo il primo passo.
    Pochi pero’ si rendono conto che sarebbe il primo passo verso un Ordine Nuovo.

    E gli italiani sarebbero intelligenti?
    Davvero non ci si rende conto di che porte si aprono, con certe banali leggi?
    Davvero non ci si arriva, che una volta definita una “minoranza da tutelare”, il “tutelare” potrebbe un giorno venire a mancare e rimarrebbe solo una “minoranza”?

    Cordialmente.

  2. È il perfezionismo, la minuzia delle leggi italiane che crea quella che poi si chiama “giungla legislativa”. Ma ogni volta che si tratta di creare una nuova legge, invece di pensare che si sta inserendo un altro ostacolo riguardo alla chiarezza e alla sintesi, si è contenti come se si fosse salvato il mondo.
    La invidio: Lei è riuscito a mettere humour, nel suo commento, io no.

  3. Non e’ humor. E’ proprio sarcasmo.

    Mettiamola cosi’: se chiodo scaccia chiodo, per scacciare il chiodo delle cose che il governo non fa, ci vuole un chiodo grosso altrettanto.

    E questa gente non si pone il minimo scrupolo nel toccare certi temi solo perche’ ha bisogno di trovare un chiodone gigante.

    Ieri alla Zanzara c’era questo tizio, gay, che si lamentava del problema culturale dell’accettazione della diversita’. Non rendendosi nemmeno conto che il non accettare chi non accetta la diversita’ crea una circolarita’.
    O forse si’.

    L’altro giorno ho gioito dal profondo del cuore quando mio figlio, indicando l’unico compagno di pelle scura presente in aula, mi ha detto “quello con la maglietta azzurra”. Ho solo pensato: “Ecco il nuovo mondo!” e l’ho baciato.

    Sono subissato dalla noia di argomenti inesistenti e vorrei strozzarli.
    Donde il sarcasmo.

    Cordialmente.
    Gianfranco.

  4. Gianfranco, per me la descrizione di suo figlio suona un po’ forzata. E’ come guardare una foto di tre bambini e un cane, sulla spiaggia, e per indicare il cane uno dice “quello senza costumino”. Insomma per me un nero e’ solo un nero. Niente di peggio, o di meglio, di un bianco o un cinese. E’ nero, e basta. Anche se ha la maglietta azzurra, oppure gialla. E che c’e’ di male a dire nero? Io avrei baciato mio figlio se avesse detto “quel ragazzo nero, mio amico”, lasciando da parte la maglietta.

  5. non condivido la sua opinione, sig. nicdever. La bellezza dell’espressione del figlio di Gianfranco sta nel fatto che lui non ha proprio visto la differenza di colore della pelle del compagno con la maglia azzurra. Questa è la vera uguaglianza, quando si è tutti diversi ma si ha ugual diritto di esserlo, a tal punto che le differenze non fanno più differenza.

  6. Sara’. Pero’ secondo me il voler indicare il ragazzo dal colore della maglietta, evitando accuratamente un riferimento al colore della pelle, sembra artefatto. Potrei capirlo qui in Sudafrica, dove abbiamo neri a bizzeffe. Ma in Italia, in una classe dove c’era un unico nero (e lo dice lo stesso Gianfranco), individuarlo con il colore della maglietta non mi sembra naturale. Cioe’, c’e’ qualcosa dietro. Un complesso? Una reazione al diffuso razzismo? Come si dice qui, “there is some issue here”.

  7. Ho vissuto in Africa, la madre delle mie figlie è Camerunense, quindi può capire che il mio punto di vista non è teorico. In Mali, all’inizio, avevo dei problemi di relazione con il personale dell’agenzia dove lavoravo, e non capivo perchè. Un giorno ebbi un’illuminazione: io ero bianco e loro neri. Incominciai a smettere di trattarli da miei pari ed i problemi cessarono; mi resi conto, in quel momento, che loro erano molto più razzisti di me: io ero uno dei pochi bianchi in un Paese di neri e non vedevo la differenza, loro sì. Dovetti cominciare a vederla anche io, ma non mi fece piacere. Per questo capisco la sincerità della visione del figlio di Gianfranco.

  8. esatto,
    “il “tutelare” potrebbe un giorno venire a mancare e rimarrebbe solo una “minoranza””
    e’ ben piu’ difficile neutralizzare uno schema mentale anglo-sassonicamente categoriale in base al colore della pelle, IL MERITO o chissa’ cos’altro, che gli oggetti che in esso sono rappresentati.

  9. Non lo so. E’ il mondo nuovo, o mi piace pensare che sia cosi’.

    Siamo europei, abbiamo il razzismo dentro. Se leggiamo la nostra storia, anche solo quella italiana del medioevo, abbiamo che ogni citta’ era un comune ed anche tra vicini se le suonavano a morte.

    Abbiamo passato fenomeni alla degrelle ed evola, cultori di una certa tradizione. Ma siamo noi a dover servire la tradizione o e’ la tradizione a dover servire noi? Il milanese e’ sparito da Milano ben prima che arrivassero gli immigrati. Non e’ forse la lingua di un popolo, la prima cosa?

    No. Mi rifiuto di pensare che mio figlio, a 3 anni, abbia gia’ delle geometrie buoniste. Diffido molto di piu’ di chi smette di pensare alla persona e comincia a parlare di uguaglianza. Uguaglianza implica differenza ed implica un gestore della differenza, che io rifiuto. Non vorrei essere trattato ne’ bene ne’ male, se andassi all’estero. Vorrei solo essere trattato come merito. Libero d’andarmene, se non mi sta bene. Dimenticavo: ci sono stato, all’estero, e mi sono trovato bene.

    La grande confusione e’ voler attribuire un colore della pelle a comportamenti naturali quale l’essere buoni o essere stronzi. Uno stronzo rimane tale qualunque sia il suo colore. Cosi’ come una persona buona.

    Per quanto mi riguarda, mi ha insegnato piu’ Paolo Villaggio in un film dove da dello stronzo a un nero, e il nero gli dice “grazie, perche’ non dai dello stronzo ad un essere inferiore ma ad uno a cui riconosci la tua stessa dignita’” (o una cosa cosi’) che tutti i dialoghi sopra la prima deca di papa Francesco. O dei buonisti che tali sono perche’ si sentono superiori. Non hai bisogno di essere “buono” con chi non reputi in condizione pari alla tua…

    Piccole riflessioni.

    Amen.

    Cordialmente
    Gianfranco.

  10. Vede, Gianfranco. Chi e’ buono, o si reputa tale, deve dare. Per mostrare la propria bonta’, se no che buono e’? E chiaramente poi si sentira’ superiore, perche’ sta dando, non ricevendo. Che sia denaro, aiuto morale, consigli, insegnamenti, eccetera. D’altra parte chi riceve non si sente buono, non ha il dovere di sentirsi tale. Il suo ego non viene esaltato, e’ anzi vilificato. Il “buono”, il datore, e’ sempre superiore (o per lo meno si sente tale) al ricevente.
    Dunque non sono d’accordo con la sua asserzione per cui “Non hai bisogno di essere buono con chi non reputi in condizioni pari alla tua”. Il buonismo e’ rivolto ai deboli, ai poveri, ai diseredati, ai neri, ai rifiuti della societa’. Agli inferiori, la schifezza, altro che “condizioni pari alla tua”. A quellI che, dopo che li hai aiutati, devono dirti grazie, cosicche’ il tuo ego ne verra’ esaltato. E Dio ti sorridera’, e ti mandera’ un segno della sua approvazione. Amen.
    P.S. Oppure ho frainteso cio’ che lei ha scritto,forse era sarcasmo. Mi spieghi.

  11. nicdever, a mio parere lei ha descritto perfettamente il buonismo, che è quello finalizzato all’essere riconosciuti come buoni, o per senso di colpa, o per “political correctness”. La bontà invece è fine a se stessa; una persona buona è tale a prescindere dalla ricompensa, morale o materiale che sia, ed infatti di solito cerca di passare più inosservato possibile, e non si sente affatto superiore, anzi ha a mala pena la sensazione di aver fatto quello che si doveva fare.

  12. “Non hai bisogno di essere buono con chi non reputi in condizioni pari alla tua”

    c’e’ un “non di troppo”. il secondo.

    quindi la penso esattamente come lei, nic.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Sistemo_l%27America_e_torno

    questo e’ il film, e manco a farlo apposta: “Tutti i bianchi sono razzisti, anche tutti quelli che credono di no. Giustificare noi sempre, giustificare in tutto è razzismo. Ma tu mi hai detto “stronzo” e mi hai detto “ti spacco il muso”. Allora tu non più razzista. Ti ringrazio.”

    Saluti!

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