GEOPOLITICA DELL’ITALIA

George Friedman ha fondato e dirige una molto nota rivista di geopolitica, dimostrando una conoscenza straordinariamente approfondita dei vari scenari del mondo e dei loro sviluppi. “Geopolitica” tuttavia non sta per: “politica della Terra”, come ci si sarebbe potuto aspettare, ma per: “politica fondata sulla geografia”. Il concetto fondamentale è che le persone e i regimi passano, la geografia no. Dunque la politica delle nazioni, nelle sue linee fondamentali, tende ad essere costante nel tempo, perché costante è la sua base territoriale e gli interessi, le paure e i bisogni che ne derivano. Esempi classici sono il clima, l’accesso al mare, la mancanza di frontiere naturali o di risorse economiche, la presenza di montagne o di fiumi navigabili. Se si coglie questa mentalità, molte cose divengono chiare. 

Il nostro caso è speciale nel senso che, come Paese unito, abbiamo poco più di centocinquant’anni. In questo tempo non abbiamo dovuto temere molto le invasioni ma in compenso le Alpi e il mare hanno reso difficili i contatti con gli altri popoli. Dunque abbiamo tendenza ad una mentalità “insulare”. Agli inglesi si attribuisce una famosa frase: “Nebbia sulla Manica, il Continente è isolato”, a noi si potrebbe attribuire questa: “Che ce ne importa, del resto del mondo?” Abbiamo l’orgoglio di un grande passato ma nessuna ambizione di un grande presente. Abbiamo un eccellente clima e vogliamo solo vivere bene, se possibile senza lavorare. E non vogliamo imparare le lingue straniere (in questo riusciamo benissimo) perché non abbiamo nulla da imparare dalle esperienze altrui. In fondo siamo convinti di essere i più intelligenti. 

L’Italia vive in vaso chiuso. Da noi chi vuole dimostrare la propria estrema indignazione comincia con le parole: “In nessun Paese del mondo…”: e svela così il suo provincialismo. Questa è una frase che non direbbe mai chi ha viaggiato, chi ha un’idea di quanti Paesi ci siano nel mondo e di quanto siano diversi. Noi siamo esterofili “in fiducia”. Nella realtà non sappiamo che cosa avviene altrove e non ce ne importa nulla. L’estero è un posto che ci limitiamo ad immaginare.

L’insularità dell’Italia ha un’altra conseguenza: mancandoci la coscienza del nemico esterno – che i polacchi hanno fino all’angoscia – guardiamo con simpatia gli stranieri e rivolgiamo invece la nostra aggressività al primo che capita, purché italiano. Il livornese è contro il pisano, il catanese contro il palermitano, l’interista contro il milanista, l’antiberlusconiano contro chiunque non lo sia. La costante dell’Italia è una guerra civile a bassa intensità col programma generale: “molto rumore per nulla”. 

In politica siamo riformisti e radicali a condizione che non cambi nulla; siamo rivoluzionari che temono i colpi d’aria; siamo patrioti pronti ai massimi sacrifici, degli altri. Il nostro futuro è destinato ad essere come il presente. La penisola non cambierà e qualunque governo parlerà molto e farà poco. Anche perché noi vogliamo che non faccia niente. In queste condizioni, malgrado questo amore del quieto vivere spinto ai livelli della massima ignavia, siamo riusciti a crearci un doppio, immenso guaio: un astronomico debito pubblico (che potrebbe farci fallire in un momento qualunque) e il vincolo dell’euro. Ora non ci rimane che aspettare. O ci salverà un qualche inimmaginabile deus ex machina, oppure un giorno o l’altro ci troveremo in una crisi senza precedenti. 

Attenzione: “crisi senza precedenti” stavolta non è sinonimo di “molto grave”, ma di “mai vista prima”. L’Italia ha traversato i decenni senza traumi. Per cominciare, è riuscita a fare l’unione politica senza fare l’unione nazionale. Ancora oggi un palermitano a Milano o un milanese a Palermo sono stranieri che capiscono la lingua locale. Ma rimangono più stranieri di un belga a Parigi o di un bernese a Stoccarda. E ciò malgrado abbiamo sempre convissuto senza venire alle mani. Poi abbiamo avuto il fascismo ma non per questo siamo cambiati. Soltanto a partire dal dopoguerra, credendo che il comunismo fosse il sole dell’avvenire, abbiamo cominciato a perdere completamente il contatto con la realtà. Abbiamo inteso la modernità come una forma di utopismo, abbiamo creduto al Pozzo di San Patrizio e ci siamo lanciati alla conquista del Paese di Bengodi, arrivando invece alla situazione attuale. Ormai, nel nostro vaso chiuso,  anche i novantenni non conoscono altra mentalità- E non c’è modo di contrastarla. Così, nel momento in cui l’economia fosse azzerata e dovessimo ripartire da zero – ipotesi tutt’altro che fantasiosa – ci troveremmo spaesati e smarriti dinanzi alla spietatezza delle quattro operazioni.  La necessità riuscirebbe allora ad insegnarci il realismo? Una persona normale può solo sperare di non togliersi mai questa curiosità.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

GEOPOLITICA DELL’ITALIAultima modifica: 2013-09-15T14:47:21+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “GEOPOLITICA DELL’ITALIA

  1. E’ un problema serio.Soprattutto perche’ i giovani ereditano questo provincialismo e questa mentalita’ distorta in generale.Bello vedere i nostri neo laureati, magari con un paio di master, ragionare ancora come bottegai di frazione.Quando sento che c’e’ poco spazio per i giovani, sorrido perche’ in realta’ nessuno lo pensa veramente. E se anche lo pensasse sostituirebbe dei “vecchi” con dei “giovani” che ne sono immagine. Solo senza rughe.I pochi con un po’ di senno e che rifiutano questo, se ne vanno.Me n’ero andato anch’io, ma stupidamente sono tornato.Non c’e’ niente da fare, come dice lei.Avanti cosi’.CordialmenteGianfranco.

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