LA TERRA È TONDA E LA GIUSTIZIA È DISCUTIBILE

Per dimostrare la rotondità della Terra, si può – come si diceva ai tempi di Colombo – buscar el levante por el poniente, arrivare ad est andando ad ovest; si può osservare l’ombra che la Terra proietta sulla Luna, durante le eclissi; si può constatare che lo sguardo non può andare oltre l’orizzonte e infine contemplare le fotografie prese dallo spazio. Qualunque dato riguardante questo problema conferma che la Terra è una sfera. Analogamente ogni volta che si considera l’incrocio tra politica e giustizia penale la conclusione è sempre che è meglio tenerle separate. Se stiamo parlando dell’assessore di un piccolo comune, c’è speranza che il Tribunale faccia giustizia. Ma quanto più si sale nella scala gerarchica, tanto meno si può ragionevolmente fidare nell’imparzialità della sentenza. Quando infine si arriva ai parlamentari e ai ministri, la fiducia arriva a livelli prossimi allo zero. 

È per questo che il giurista liberale rimane perplesso, quando si giudica un governante e in particolare un governante sconfitto. Se ha fatto delle cose orribili, ma ha creduto di farle nell’interesse della sua patria, si possono misurare i suoi atti col metro del diritto penale? Nel processo di Norimberga i gerarchi furono accusati anche di avere provocato una “guerra d’aggressione”, e ciò è stupido. Con questo metodo sarebbero stati dei criminali anche Alessandro il Grande, che arrivò fino all’Indo, e Giulio Cesare che conquistò la Gallia. I nazisti di fatto erano colpevoli anche di atti che nulla avevano a che fare col bene della patria e per quello meritavano le più severe condanne. Ma la “guerra d’aggressione” non poteva essere un reato. Senza dire che è difficile perfino identificarla. Può anche lanciarla uno Stato gravissimamente minacciato e in procinto di essere attaccato e cancellato dalla faccia della terra: come avvenne nella Guerra dei Sei Giorni.

Ad un certo livello, politica e diritto penale possono soltanto scontrarsi. La conduzione di uno Stato, soprattutto ma non esclusivamente in materia di politica internazionale, non può essere del tutto soggetta alle normali regole borghesi. Gli interessi in gioco sono troppo importanti perché possano costituire un freno considerazioni di ordine morale o giuridico. 

Ne abbiamo un’ennesima riprova nelle vicende egiziane. Caduto il regime di Mubarak, invece di ricordarsi che questo ruvido militare ha assicurato all’Egitto decenni di pace interna ed esterna, ci si è chiesti se abbia commesso qualche reato, in particolare mantenendo per anni ed anni lo stato d’emergenza. E benché vecchio e malato, si è deciso di processarlo. Cosa grottesca. Ora il caso si ripete col suo successore Mohamed Morsi. Costui è stato eletto Presidente, sulle ali della tanto malintesa “primavera araba”, dopo la fine dell’era Mubarak ed ha governato più male che bene nello stile richiestogli dalla “Fratellanza Musulmana”. Finché non è stato rimosso a furor di popolo ed incarcerato perché non potesse guidare la folla dei suoi seguaci disposta a menar le mani per rimetterlo al potere. Fino a questo punto, tutto bene. Invece è difficile accettare che ora lo si voglia processare – con la possibilità di condannarlo a morte – perché, una volta deposto dai militari, ha incitato i suoi sostenitori a resistere, affrontando con le armi i rappresentanti del nuovo potere. Qui proprio non ci siamo più.

Se un cittadino durante un comizio incita gli astanti ad ammazzare i carabinieri è più che giusto che sia condannato penalmente. Il caso è diverso se un governante si trova a fronteggiare una ribellione e ordina ai suoi gendarmi di sparare sui rivoltosi. Uno Stato ha il diritto di difendersi con la forza contro chi lo attacca. In questo senso Bashar al-Assad non deve rendere conto a nessuno di come conduce la sua battaglia contro gli insorti. Nel caso egiziano il potere è stato assunto dai militari secondo la volontà della maggioranza del popolo, ma è vero che Morsi è stato eletto democraticamente e deposto poco democraticamente. Sicché, in un certo senso, incitando i suoi sostenitori alla controrivoluzione, può farlo in nome del precedente assetto costituzionale. Che poi quell’uomo non sia un fior di democratico occidentale, si sa: ma si può prescindere dalla legalità della sua posizione? 

Se si considera legittimo il governo di militari, Morsi è colpevole; se si considera illegittimo il governo dei militari, Morsi è innocente. E nell’uno come nell’altro caso la verità non può dirla un giudice penale che ha come riferimento il potere in carica. Processare Morsi è una pessima idea. E come ogni osservazione ci riporta alla rotondità della terra, ogni discussione riguardante giustizia e politica ci consiglia di tenerle per quanto è possibile ben separate.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

4 novembre 2013

LA TERRA È TONDA E LA GIUSTIZIA È DISCUTIBILEultima modifica: 2013-11-05T09:47:00+01:00da gianni.pardo
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