SE COMANDARE SIA MEGLIO CHE FOTTERE

 

Un detto meridionale, nella sua efficace volgarità, insegna che “comandare è meglio che fottere”. E dal momento che quello sessuale potrebbe essere uno dei massimi piaceri, quelle parole corrispondono a dire che “non c’è piacere più grande”. Ma la cosa è discutibile. Innanzi tutto un piacere può essere intenso ma breve (come l’orgasmo) o può essere meno intenso ma più lungo (l’ascolto di un concerto). E fra i maggiori piaceri bisogna certo annoverare quello della tavola, visto che dura per tutta la vita. Lo sforzo di stabilire una seria classifica sarebbe sprecato.

Più interessante è vedere perché si può attribuire un grande valore al “comandare”. Un gatto non lo capirebbe mai: essendo un animale solitario, non concepisce né il comandare né l’essere comandato. Viceversa, gli animali da branco, per esempio i lupi, hanno un capo e chi comanda ha diritto a nutrirsi per primo e a sazietà (è l’ “ordine di beccata” delle galline), oltre che il diritto ad accoppiarsi con le femmine, escludendone gli altri maschi (nella società dei leoni, per esempio). E si capisce che ci sia competizione per il posto di alfa. Dunque anche l’uomo, dal momento che è un animale sociale, ha il problema del comando e dell’obbedienza.

Noi ci distinguiamo tuttavia dagli altri animali sociali perché, mentre in alcune specie chi non prevale nella competizione rischia la nutrizione o la vita sessuale, nella specie umana la situazione esistenziale del gregario può perfino essere migliore di quella del capo. Il dirigente non ha orario, il dipendente stacca dopo otto ore. Qualcuno che in vita sua non ha sgomitato gran che può lo stesso avere una famiglia e fruire di tutti gli agi. Si arriva alla conclusione che il piacere di essere capo non si giustifica con i vantaggi che la posizione dà (infatti il grande tycoon non ha nemmeno il tempo di spendere una piccola parte di ciò che guadagna), ma col puro piacere di essere al vertice. Essere colui che dirige, colui dinanzi al quale tutti devono inchinarsi.

E tuttavia, qualcuno questo piacere non lo concepisce neppure. La gerarchia è necessaria nei grandi organismi che devono agire di concerto, per esempio l’esercito, ma è esiziale per i rapporti umani. Il comando implica che i sottoposti non siano sinceri, rispettino formalmente il “superiore” e magari lo disprezzino di nascosto. Gli ultimi – i soldati semplici – hanno fra loro un rapporto in termini di verità, che sia di antipatia o di simpatia, di odio o di amicizia; con i “superiori” invece il rapporto è invariabilmente falso. Un complimento, dal soldato al generale o dal generale al soldato, è sempre sospetto di strumentalismo. Hanno rapporti autentici fra loro anche i gradi intermedi, ma rimangono falsi quelli con  i loro superiori e i loro inferiori. Il capo supremo poi è nella situazione peggiore, perché non ha colleghi: per lui tutti sono “inferiori” e dunque non ha un solo rapporto vero. Se è veramente contento del suo grado, è uno che preferisce il comando all’amicizia, l’obbedienza al consiglio sincero, il successo dei suoi gradi al suo successo personale.

La posizione di comando influenza negativamente anche lo stile di una persona. Implica per cominciare una certa dose di brutalità: diversamente, se gli ordini vengono messi in discussione, il sistema non funziona più. Implica pure che si dimostri rispetto e interesse per i sottoposti (per ottenere la loro migliore collaborazione) mentre in realtà per loro si sente soprattutto disprezzo. E c’è un ultimo motivo, per non amare il comando. Chi guida un gruppo umano lo fa in una data direzione (il successo economico, la vittoria militare, l’efficienza dell’ufficio pubblico) e ciò implica che si creda nelle finalità di quell’attività. Nei corsi di formazione si cerca nientemeno di insegnare ai neo-assunti a prodigarsi per il successo della ditta con “entusiasmo”. Ma il singolo con tendenze individualiste trova un simile discorso blasfemo. Gli si chiede di sentire che un incremento delle vendite è più importante delle sue vacanze; di mettere l’interesse del padrone al di sopra dei suoi scopi personali; gli si chiede insomma non soltanto di essere un servo, ma di servire con entusiasmo, alienandosi totalmente.

Stranamente, questa religione del gruppo dimostra che il capo, proprio colui che comanda a tutti, ha un forte istinto gregario: infatti gli altri obbediscono a lui ma lui obbedisce con totale dedizione allo “Scopo”. Uno “scopo” fuori di sé cui una lince o una tigre non obbedirebbero mai.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

12 gennaio 2014

 

SE COMANDARE SIA MEGLIO CHE FOTTEREultima modifica: 2014-01-13T14:49:41+01:00da gianni.pardo
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