LA CRISI DELLA FAMIGLIA NELLA STATISTICA


I numeri precisi (per esempio non sette milioni ma 6.964.000) si trovano sul “Corriere”(1) ma poco importano le decine o le centinaia: la notizia triste è che il 61,2% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori. Al Sud si sale addirittura al 68,3%. Per interpretare questi dati i competenti di statistica suderanno le sette proverbiali camicie, ma anche andando a spanne qualcosa, da questa situazione, si può dedurre.

Che vivano con i genitori i ragazzi di diciotto anni o poco più non meraviglia. Moltissimi di loro sono ancora studenti e solo nei mestieri manuali a diciotto anni si è idonei al servizio. Ciò che importa è che, anche considerando la fascia dei giovani tra 25 e 34 anni (indubbiamente età lavorativa) i giovani con mamma e papà sono ancora 3.100.000.

Il fenomeno ha molte cause. La disoccupazione toglie ogni indipendenza. Chi non guadagna non ha libertà di scelta e rimanere a casa non è la migliore soluzione, è l’unica. Chissà quanti, fra questi tre milioni e passa di giovani, hanno già trovato la donna o l’uomo con cui vorrebbero vivere e sono letteralmente costretti a rimandare ad un incerto futuro la realizzazione di questo progetto. E dire  che per secoli questa è stata la placida normalità.

Fra i giovani di questa fascia d’età ce ne sono che lavorano e tuttavia rimangono a casa dei genitori perché i costi di una vita autonoma fanno spavento. Con una paga di poco più di mille euro al mese, come mettere su famiglia, come pagarsi una casa? Per non parlare di tutto ciò che serve. Un tempo, anche se si era incomparabilmente più poveri, non era necessario neppure comprare una cucina: queste erano in muratura e facevano parte, per così dire, dei muri. Le stesse suppellettili non erano una folla. I romani, quando parlavano di una separazione dei coniugi, la definivano “quoad torum et mensam”, cioè affermavano che i due non condividevano più il letto e la tavola. Perché il letto e la tavola erano l’essenziale della casa. Ma oggi chi farebbe a meno della cucina (magari con forno e lavastoviglie), del televisore, del frigorifero, del telefono, del riscaldamento, della lavatrice? E chi può evitare le spese del condominio, delle tasse, dei medicinali e presto del pediatra per il bambino? Insomma, l’età fra i 25 e i 34 anni è ancora quella dell’amore, ma non è detto che sia quella in cui si fonda una famiglia. I genitori ce la fanno ad andare avanti perché tutto ciò che serve l’hanno da tempo, al massimo devono sostenere le spese delle riparazioni: ma rifare tutto da zero è impresa tremenda. E infatti quelli che si sposano ricevono tutto il necessario dai genitori, che saccheggiano i loro risparmi.

A queste difficoltà si aggiunge un dato sociale. Un tempo l’ambizione dei giovani era quella di riprodurre lo schema che avevano sotto gli occhi: sposarsi e avere figli, come avevano fatto i loro genitori. Oggi il matrimonio è fragile e i figli sono prima una grossa spesa e poi un gravissimo problema, se ci si separa. La sessualità si è sganciata dalla procreazione e i figli li ha chi “non fa abbastanza attenzione”. I giovani, anche avviandosi alla maturità, trovano più comodo avere una vita sessuale in una camera d’albergo, nella residenza di campagna, o perfino in casa dei genitori, se questi sono tolleranti. E quando infine, per una ragione o per un’altra, sono economicamente in grado di avere figli, si chiedono se hanno ancora l’età. Si ripete in giro che una donna quarantenne può ancora essere primipara ma il buon senso invita a non trascurare i consigli di Madre Natura. E quanto al padre, se è tra i quaranta e i cinquant’anni, non rischia d’apparire il nonno dei propri figli?

Questa nuova situazione non riguarda solo i giovani. È l’indice di una mentalità prevalente nei Paesi sviluppati. L’uomo non sente più il dovere della famiglia e della continuazione della specie. È un individuo che ha come orizzonte sé stesso, e già questo è per lui un grande problema. Se questo atteggiamento fosse mondiale il problema non sarebbe grave: la Terra è sovrappopolata e sfoltire un po’ l’umanità sarebbe un affare. Purtroppo, ciò avviene dove ancora qualche figlio ce lo si potrebbe permettere, e non avviene dove, mettendolo al mondo, si rischia poi di vederlo morire di fame. Ma lamentarsi o applaudire è ugualmente inane.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

9 febbraio 2014

(1) http://www.corriere.it/economia/14_febbraio_09/60percento-single-under-35-vive-ancora-coi-genitori-e8e4281e-9184-11e3-a092-3731e90fe7ac.shtml

LA CRISI DELLA FAMIGLIA NELLA STATISTICAultima modifica: 2014-02-09T18:24:08+01:00da gianni.pardo
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